L’oggetto che diventa ossessione: ecco l’elemento fondamentale della poetica pop di Giacoma Lo Coco.
Nei dipinti della giovane artista siciliana l’oggetto, ripetuto ossessivamente, viene privato della sua “oggettualità” e si metamorfizza in qualcosa d’altro: da un lato l’oggetto diventa segno, lettera dell’alfabeto pittorico creato dall’artista e impiegato da quest’ultima nel proprio corpus di opere come cifra stilistica; dall’altro, l’oggetto diventa ossessione, ombra, pensiero ricorrente che si smaterializza in reazione elettrochimica, in pulsione psichica che si reitera, puntuale, nel flusso del tempo interiore.
Il pop della Lo Coco è eminentemente pittorico e non può prescindere dalla pittura come mezzo espressivo. In ciò la sua poetica differisce da quella del pop storico che ha spesso rifiutato la pittura e si è rivolta ad altri medium al fine di sottolineare la valenza eminentemente concettuale delle proprie operazioni. Inoltre, se il pop per così dire ortodosso finisce per esaltare l’oggetto, per porlo al centro dell’attenzione, nella Lo Coco non si ravvisa nessuna esaltazione dell’universo pop. Al contrario ella usa alcuni elementi dell’estetica popular per denunciare come i codici rappresentativi della contemporaneità e della cultura di massa abbiano permeato di sé ogni aspetto della vita umana, dagli oggetti di uso comune al vestiario, dai riti sociali alla tavola.
Più che ai vari Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Claes Oldenburg la giovane pittrice siciliana sembra essere vicina al mondo poetico di un’artista quale Yayoy Kusama che fa del motivo ripetuto ossessivamente la sua cifra stilistica. Nelle due artiste la reiterazione del segno rende l’azione pittorica un atto rituale/psicologico, compulsivo-ossessivo, dalle evidenti finalità catartiche.
Ma la ripetizione dell’immagine, del “sembiante”, non disperde solo il valore dell’oggetto. La cultura stessa è minata alle fondamenta da questa ripetizione. La tradizione, ad esempio, che può esprimersi nella pasticceria siciliana, divenendo ossessivamente ripetitiva nelle tele della Lo Coco perde la sua carica di emblema culturale e diviene semplice produzione di massa in cui il valore rituale di appartenenza etnica, che si esprime nel cibo, si perde del tutto.
Infine è il soggetto stesso a essere investito da questa reiterazione annichilente. Nell’opera dal titolo New York, le persone viste dall’alto sembrano tanti piccoli cioccolatini affastellati in scatola; o ancora, il dipinto Folla non vale come indagine sociologica sui riti popolari contemporanei, come in alcune opere di Renato Guttuso dedicate allo sport, bensì esso diventa il ritratto di una massa amorfa che non riesce a trovare punti in comune neppure nel gioco.
Seppur ripetute sino al parossismo e, infine, private dalla propria oggettualità le cose rappresentate nelle tele della Lo Coco appaiono paradossalmente più animate e più dotate di vita delle persone stesse.
Il rito collettivo non è più sociale, perché non si raccoglie più attorno ad alcun simbolo o ad alcuna tradizione. Nelle opere della Lo Coco l’individuo atomizzato non partecipa al rito e non crea né esercita la socialità bensì appare solo un “essere” immerso nella folla, e la folla non è popolo bensì massa amorfa o, come direbbe brutalmente Friedrich Nietzsche, «gregge di pecore».
L’uomo diventa oggetto tra gli oggetti, non più soggetto ma “uomo-massa”. Il soggetto non esprime più nulla perché è divenuto nulla. Niente di più che un’ombra o una macchia piatta, come nelle superfici pittoriche di Giacoma Lo Coco.
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