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Nietzsche

Demistificando Nietzsche

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14 minuti di lettura

Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) è uno di quei pensatori che possono a buon titolo essere annoverati tra i “grandi” della filosofia. Il motivo è assai semplice e, in fondo, ce l’ha detto lui stesso: «Io non sono un uomo, sono dinamite»¹. Come un candelotto di TNT, Nietzsche ha fatto comparsa nella storia della filosofia, distruggendo buona parte di quello che prima vi era stato e tracciando un solco con i quali i pensatori successivi non hanno potuto fare a meno di confrontarsi.

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Il suo pensiero è magma fluente, non incanalabile negli schemi concettuali tradizionali: un pensiero poliedrico, dalle mille sfumature – proprio questa è stata la sua più grande fortuna, ma insieme la sua sventura maggiore. Mille interpretazioni sono state date alla sua straordinaria opera e mille ancora ne riceverà: è impossibile tenere insieme un dire così sfumato, controverso e, talvolta, contraddittorio – impossibile, almeno per chi ragiona ancora in modo umano, troppo umano. Così, fra le sue varie letture emerse negli anni, ve ne sono state alcune che hanno radicalmente travisato l’intendere nietzscheano, sebbene esse trovino comunque riscontro in alcuni passi.

Nietzsche

Se noi volessimo sapere cosa pensa Immanuel Kant dell’estetica, apriremmo la Critica del Giudizio e troveremmo la risposta ad ogni nostra domanda; se, invece, volessimo scoprire cosa Nietzsche ne pensa, dovremmo inseguirlo nel mare burrascoso dei suoi aforismi, raccolti in opere diverse, scritte in periodi diversi della sua vita – questo è proprio il problema di Nietzsche: non avendo mai scritto saggi filosofici in senso tradizionale, nelle varie epoche della sua vita ha, come chiunque, cambiato idea circa un tema e dunque all’interno del suo stesso pensiero si possono trovare delle contraddizioni. In fondo, però, già Eraclìto l’Oscuro ci aveva insegnato che il logos, che è il fondo delle cose, è la contraddittorietà profonda che si cela al di sotto dell’apparente linearità – «l’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia»².

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Accennavamo a quelli che sono i fraintendimenti radicali del pensiero di Nietzsche: ne prenderemo in esame tre e proveremo a sostenere che siano letture, se non errate, quanto meno inesatte. Essi sono:
– che secondo Nietzsche non esistano verità;
– che secondo Nietzsche non esistano valori;
e, conseguentemente,
– che Nietzsche sia il padre del nichilismo.

Una genealogia della verità

Il nostro Friedrich nel 1873 scrisse un breve e bellissimo testo, Su verità e menzogna in senso extra-morale (disponibile anche online), che verrà però pubblicato solo postumo. In questo scritto, lungo appena una ventina di pagine, troviamo un Nietzsche ancora agli inizi della sua avventura filosofica: se volessimo essere degli storiografi rigorosi, la sua “svolta” filosofica (prima, come è noto, si occupava di filologia classica, non disdegnando comunque riflessioni filosofiche, sebbene non particolarmente rilevanti) è databile al 1871, con la pubblicazione de La nascita della tragedia. In Su verità e menzogna in senso extra-morale, come annuncia già il titolo stesso, l’argomento centrale è proprio la verità.

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Dopo un bellissimo e molto poetico incipit, il filosofo muove da una constatazione: l’uomo, a differenza degli altri animali, è costitutivamente debole e, nella terribile e sanguinosa lotta per l’esistenza, è riuscito a farcela grazie ad un’arma sua propria: l’intelletto, la cui peculiarità è quella di ingannare, poiché:

«essi [gli uomini] sono profondamente immersi in sogni e illusioni, il loro occhio scivola soltanto sulla superficie delle cose e non vede che “forme”, in nessun modo la loro sensibilità conduce al vero, bastandole di ricevere stimoli ossia di giocare un gioco tattile sul dorso delle cose»³.

L’uomo non ha accesso alla realtà delle cose, la verità gli si presenta sotto forma di maschera, di metafora, di menzogna – ma questo basta a dire che non esistono verità? Nietzsche non dice questo. Noi abbiamo delle verità cui non rinunceremmo per nulla al mondo, per il semplice motivo che non possiamo rinunciarvi: dobbiamo sognare sapendo di sognare – dopo un’analisi critica, dobbiamo essere consapevoli del carattere fittizio delle nostre “verità”, ma continuando a servircene. Perché? Perché esse ci hanno consentito di sopravvivere, celandoci la crudezza e il dolore dell’esistenza, e senza di esse ci estingueremmo.

Dio è morto, l’uomo quasi

Un altro travisamento, veramente diffuso, è quello che consiste nel sostenere che per Nietzsche non esistano valori. Ne La gaia scienza (1882), ad avallare questa tesi, si trova un celeberrimo aforisma chiamato L’uomo folle (disponibile online), nel quale viene annunciata la morte di Dio:

«Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue?»4.

È tuttavia ormai comunemente accettato che qui non ci si trovi dinanzi solo ad una professione di ateismo, ma al fatto che, con Dio, a morire siano tutti i valori della cultura occidentale. Potremmo dire che questo aforisma sia il risultato del lavoro del “primo” Nietzsche: una radicale critica della società e dei suoi valori. Questo tema viene poi esplicitamente affrontato nella Genealogia della morale (1887), in cui scrive:

«Enunciamola questa nuova esigenza: abbiamo bisogno di una critica dei valori morali, di cominciare a porre una buona volta in questione il valore stesso di questi valori […]. Si è preso il valore di questi “valori” come dato, come risultante di fatto, come trascendente ogni messa in questione; fino a oggi non si è neppure avuto il minimo dubbio o la minima esitazione nello stabilire il “buono” come superiore, in valore, al “malvagio”, superiore in valore nel senso di un avanzamento, di una utilità, di una prospettiva in rapporto all’uomo in generale (compreso l’avvenire dell’uomo). Come? e se nel bene fosse insito anche un sintomo di regresso, come pure un pericolo, una seduzione, un narcoticum, attraverso il quale a un certo punto il presente vivesse a spese dell’avvenire? Con maggior agio, forse, e con minor pericolo, ma con uno stile inferiore, più volgare? . . . Così che precisamente la morale sarebbe responsabile del fatto che una in sé possibile suprema possanza e magnificenza del tipo uomo non è mai stata raggiunta? Così che proprio la morale sarebbe il pericolo dei pericoli? . . .»5

Nietzsche
Edvard Munch, Ritratto di Friedrich Nietzsche (1906), olio su tela, 201×160 cm, Munch-Museet, Oslo.

Quest’opera, sublime ma, proprio per questo, molto controversa, ruota proprio intorno a ciò: che valore hanno i nostri valori? Qui non si sta sbandierando l’a-moralità (l’assenza di valori), ma l’immoralità (il fondarsi su valori diversi). La nostra cultura, che nasce dal Cristianesimo, ha mutuato da esso la morale degli schiavi, del ressentiment, in opposizione alla morale dei signori, riscontrabile nella Grecia arcaica. Il Cristianesimo ha introdotto nuovi valori, ma ci ha anche consegnato un’immagine dell’uomo ben diversa da quella offertaci dai “signori” e, secondo Nietzsche, ci siamo stancati di questo nuovo animale:

«Giacché è così: l’immeschinirsi e il livellarsi dell’uomo europeo nasconde il nostro massimo pericolo, data la stanchezza che ci infonde questo spettacolo . . . Oggi nulla vediamo che voglia divenire più grande, abbiamo il presentimento che tutto continui a sprofondare, a sprofondare, divenendo più sottile, più buono, più prudente, più agevole, più mediocre, più indifferente, più cinese, più cristiano – l’uomo, non v’è alcun dubbio – si fa sempre “migliore” . . . Appunto qui sta la fatalità dell’Europa – col timore per l’uomo abbiamo anche perduto l’amore verso di lui, la venerazione dinanzi a lui, la speranza in lui, anzi la volontà stessa tesa a lui. La vista dell’uomo rende ormai stanchi – che cos’altro è oggi nichilismo, se non è questo? . . . Noi siamo stanchi dell’uomo . . .»6

Il nichilismo non è l’arrivo, ma la partenza

Se avesse ragione l’interpretazione che vuole che non esistano verità e non esistano valori, la lettura di un Nietzsche come teorico del nichilismo sarebbe ovvia conseguenza logica. Come però abbiamo letto nel precedente passo dalla Genealogia della morale, la questione è diversa. Il nichilismo, secondo il filosofo, non è generato dall’assenza di valori, ma è invece l’implosione dei valori tradizionali: nichilismo è essere stanchi dell’uomo così come lo abbiamo conosciuto. Dio è morto, resta ancora da uccidere l’uomo. È qui che si gioca il fraintendimento: non dobbiamo uccidere l’uomo per sprofondare nel nichilismo, ma per uscirne. Nietzsche ha posto al centro della sua intera riflessione filosofica lo slancio vitale, fin dagli inizi, non il nichilismo, che era invece ciò che più ha combattuto. Ma per uscirne, che fare? La sua risposta è: trasvalutare – rivalutare i valori, crearne di nuovi sulle ceneri dei vecchi.

Io sono tutti i nomi della storia

Se Nietzsche abbia ragione o meno non spetta qui deciderlo. Ciò che ci premeva trattare era il fatto che è falso, o comunque inesatto, sostenere quell’immagine un po’ misticheggiante di un Nietzsche per il quale non esistono né verità, né valori e siamo quindi condannati al nichilismo: abbiamo visto che le “verità”, anche se sono diverse da ciò che crediamo, in quanto riposano su menzogne, esistono e sono indispensabili; abbiamo visto che ad essere distrutti devono essere i vecchi valori, in modo da poterne creare di nuovi che meglio calzino all’uomo – pardon, all’Oltreuomo; abbiamo visto che il nichilismo non è l’esisto della riflessione critica nietzscheana, ma è invece il punto di partenza del pensiero di quello che gli storiografi rigorosi chiamerebbero il secondo Nietzsche.

Dalla morte di Dio e dal tentativo (riuscito? fallito?) di uccidere l’uomo, si arriva all’immaginare un uomo nuovo, che non sia più umano, troppo umano, ma che sia uno Übermensch, un oltrepassamento dell’uomo così come conosciuto, al fine di liberarci per sempre dal nichilismo e poter esprimere la gioiosamente straripante vitalità in tutta la sua travolgente pienezza.


1 F. W. Nietzsche, Ecce Homo (1888)
2 Eraclìto di Efeso, frammento 22B8
3 F. W. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extra-morale (1873)
4 F. W. Nietzsche, La gaia scienza, §125 (1882)
5 F. W. Nietzsche, Genealogia della morale, Prefazione, 6 (1887)
6 F. W. Nietzsche, Genealogia della morale, “Buono e malvagio, buono e cattivo”, 12 (1887)

 


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Michele Castelnovo

Classe 1992. Laureato in Filosofia. Giornalista pubblicista. Direttore di Frammenti Rivista e del suo network. Creator di Trekking Lecco. La mia vita è un pendolo che oscilla quotidianamente tra Lecco e Milano. Vedo gente, scrivo cose. Soprattutto, mi prendo terribilmente poco sul serio.

9 Comments

  1. […] Jean-Paul Sartre (1905-1980), considerato uno dei maggiori rappresentanti del pensiero esistenzialista, è colui che ha dato una spinta decisiva alla considerazione dell’individuo come essere libero e responsabile delle sue decisioni. Lo scritto che incarna al meglio la prima fase dell’esistenzialismo di Sartre è senza alcun dubbio La Nausea, fase impregnata ancora di quel pessimismo e (spesso) nichilismo tipici di autori a lui antecedenti, come Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche. […]

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