Quante volte, di fronte a un’opera d’arte contemporanea, abbiamo sentito qualche visitatore accanto a noi affermare: «Questo avrei potuto farlo anche io». È quasi inevitabile, davanti a molte opere, che questo pensiero nasca nella mente dei frequentatori di musei meno esperti o di coloro che sono meno interessati all’arte contemporanea, alle sue dinamiche e ai suoi significati.
Pensiamo a uno dei casi limite più famosi, i White Paintings di Robert Rauschenberg, tele completamente dipinte di bianco e così esposte. O, per spostarci verso un ambito performativo, A Line Made By Walking, fotografia di Richard Long che presenta al pubblico, in forma di documentazione, ciò che Long aveva creato camminando per ore su un prato, ovvero una linea di terra ben definita. Cosa ci vuole, quindi, per realizzare queste opere da milioni di dollari? Molto più di quanto si possa immaginare.
Arthur Danto e La cravate di Picasso
Lo sviluppo di nuove pratiche artistiche dagli anni Sessanta del secolo scorso segna un punto di non ritorno verso un’arte completamente diversa da tutto ciò che la precede. Questo cambio, piuttosto improvviso, di rotta porta moltissimi intellettuali a riflettere sulla natura dell’arte stessa e delle sue manifestazioni in relazione al contesto circostante. Alcuni si oppongono fermamente all’affermazione delle nuove forme d’arte, che non ritengono tali, mentre altri spendono l’intera vita di studi a indagare e spiegare queste forme ancora sconosciute di bellezza.
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Proprio in relazione al problema dell’apparente semplicità delle opere d’arte contemporanee e della loro riproducibilità, il critico d’arte e saggista Arthur Danto ipotizza uno scenario:
Supponiamo che poco prima della sua morte, coronando con un’opera straordinaria il suo già strabiliante corpus, Picasso avesse fatto una cravatta, che descriverò così: Picasso, che non portava cravatte da anni, trovò una delle sue vecchie cravatte e la dipinse tutta di un blu brillante. […] La cravatta di Picasso (La cravate) è esposta insieme ad altre opere del maestro, e uno degli spettatori, passandole davanti, mormora che l’avrebbe potuta fare anche suo figlio.
A.C. Danto, La trasfigurazione del banale – Una filosofia dell’arte, a cura di Stefano Velotti, Roma; Bari: GLF editori Laterza, 2008
Per quanto quest’ultima affermazione sia vera, da un punto di vista meramente materiale, non tiene conto di ciò che precede la realizzazione dell’opera stessa, per quanto apparentemente semplice o banale, il bagaglio culturale dell’artista che l’ha realizzata, ciò che intende esprimere. Il fatto che il bambino possa realizzare un indiscernibile da un’opera d’arte riconosciuta, ovvero un oggetto completamente identico e quindi indistinguibile dall’originale, non rende automaticamente lui un artista o, per opposto, l’opera originale meno valida. Ciò che Picasso avrebbe potuto esprimere mediante La cravate sarebbe, secondo Danto, il ripudio della pittoricità, del dripping newyorkese, ma anche l’esaltazione della tecnica nel nascondere la materialità della pittura. Concetti, insomma, non proprio alla portata di chiunque, men che meno di un bambino.
Il critico si spinge oltre, affermando che, se anche la cravatta realizzata dal bambino finisse esposta al posto di quella di Picasso, arrivando ad acquisire quindi un valore monetario non indifferente, ciò non la renderebbe valida da un punto di vista artistico e non permetterebbe l’affermazione dell’autore come artista, in quanto non è l’oggetto materiale al centro dell’opera. Ma c’è di più: se anche Picasso firmasse la copia realizzata dal bambino, inconsapevole del fatto che non si tratta dell’originale, non cambierebbe nulla, quello esposto e firmato dall’artista sarebbe comunque una copia senza alcun valore (se non il valore insito nella firma stessa di Picasso).
La nascita dell’opera d’arte contemporanea come momento unico e irripetibile
Si può affermare, dunque, che è l’atto di creazione originario operato dall’artista a determinare lo statuto e la vita futura dell’opera. Sia da un punto di vista intellettivo che materiale, non è possibile, in alcun modo, riprodurre gli effetti che il momento della nascita infonde all’oggetto che poi diventerà opera d’arte, anche se l’oggetto riprodotto si presenta del tutto identico all’originale (cosa che, tra l’altro, è tecnicamente impossibile secondo il filosofo Nelson Goodman).
Come avviene per i falsi meritevoli, tuttavia, è possibile che questi oggetti, chiamiamole riproduzioni, entrino a far parte del corpus dell’arte. Ciò, però, non in virtù della loro somiglianza con il referente, bensì quali opere autonome e valide artisticamente per caratteristiche personali. Ma questa è un’altra storia.
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