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Per i palestinesi il 2022 è stato un anno di sangue

Questo è stato l’anno con maggior numero di vittime palestinesi. Ma la tragedia israelo-palestinese continua, e tra gli attacchi terroristici e una situazione politica che non promette bene, si vocifera una Terza Intifada

10 minuti di lettura

Il 2022 è stato un anno drammatico per la popolazione palestinese che ha visto le vittime civili salire, gli scontri armati tra esercito israeliano e milizie palestinesi nei territori occupati intensificarsi e i bombardamenti sulla Striscia di Gaza riprendere, a un anno e qualche mese di distanza dalla guerra degli undici giorni che nel 2021 aveva sconvolto il mondo.

I dati delle vittime palestinesi

La cifra delle vittime differisce a seconda delle fonti, a causa della difficoltà di riportarne con precisione il numero in territori di violenza permanente. Tutti i report però concordano nel segnalare che il 2022 è stato l’anno con maggior numero di palestinesi rimasti uccisi dalla Seconda Intifada.

Secondo Middle East Monitor il numero di vittime palestinesi era già 183 a fine ottobre, Al Jazeera riporta che a fine novembre i palestinesi uccisi a Gaza e in West Bank erano saliti ad «almeno 200», inclusi 47 bambini. Save the Children negli stessi giorni lanciava un allarme, contando 32 palestinesi minori di diciotto anni uccisi da soldati israeliani, uno da un colono israeliano e uno colpito contemporaneamente dagli spari di un soldato e di un colono. La cifra riportata da Save the Children indica un raddoppiamento dei minorenni palestinesi uccisi quest’anno rispetto al 2021, in cui i bambini e ragazzi uccisi erano stati 17. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) conferma la tendenza, segnalando solo tra il 6 e l’11 dicembre la morte di 6 palestinesi, tra cui due bambini.

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West Bank

L’epicentro delle violenze sono le aree dei Territori Palestinesi Occupati in cui le forze israeliane e le milizie palestinesi si scontrano direttamente, in particolare Nablus che ha subito un assedio dall’11 ottobre al 3 novembre perché roccaforte di un nuovo gruppo palestinese, la Fossa dei Leoni, nato ad agosto di quest’anno, che unisce strategie di resistenza armata e civile.

Le operazioni dell’esercito israeliano nei campi profughi in West Bank sono momenti di violenza e scontri, che secondo le forze israeliane prendono di mira obiettivi specifici. L’entrata nei campi e il sequestro di cittadini attraverso lo sfondamento inaspettato delle porte delle loro case sono cosa tristemente comune in quelle zone, ma spesso fanno vittime anche tra i giovani che, trovando soldati per le strade di casa loro reagiscono. Per esempio non mancano i racconti di adolescenti a Dheisheh Camp che hanno perso amici che erano studenti di medicina e che sono morti, colpiti da un proiettile, perché scesi in strada a soccorrere feriti durante queste operazioni.

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Dheisheh Camp, periferia di Betlemme, West Bank, Settembre 2022

Non mancano nemmeno le violenze gratuite che si consumano nelle zone dove gli insediamenti israeliani si ergono in pieno territorio palestinese, in cui i coloni celebrano le feste sacre con parate di violenza nei confronti della popolazione palestinese, come è successo tra il 22 e il 23 novembre quando gli israeliani celebravano «Il giorno di Sarah» a Hebron, unico luogo in West Bank in cui gli insediamenti sorgono nel centro di una città organizzata nel segno dell’apartheid. Qualche settimana prima Shuafat Camp, unico campo profughi all’interno della municipalità di Gerusalemme veniva chiuso completamente, impedendo l’accesso ai servizi alle 24mila persone residenti, dopo l’uccisione, da parte di un palestinese non identificato, di una soldatessa israeliana al checkpoint del campo.

Striscia di Gaza

Anche nella Striscia di Gaza la situazione resta drammatica, in tre giorni, dal 5 al 7 agosto, durante l’operazione preventiva «Breaking Dawn» lanciata dall’esercito israeliano, 51 persone sono rimaste uccise sotto le bombe, tra queste c’erano 17 bambini. Giorni di bombardamenti a raffica su un territorio blindato via terra, mare e aria, in cui sono stati definiti «target» edifici in aree residenziali, soprattutto campi profughi come quello di Jabalia a nord della Striscia. Il motivo scatenante, secondo le forze israeliane, era la necessità di neutralizzare al Jihad, partito islamista radicato nella Striscia, dopo che l’IDF aveva arrestato uno dei capi della formazione, a Jenin, qualche giorno prima.

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Questa la motivazione ufficiale, eppure sono molti i commentatori che hanno sottolineato la finalità elettorale propagandistica dell’operazione bellica lanciata dall’allora primo ministro israeliano. Il capo di governo Yair Lapid in quel momento era praticamente già in campagna elettorale e aveva una gran lacuna, dal punto di vista dell’elettorato israeliano: non aveva mai condotto un’operazione contro i palestinesi della Striscia.

Perdite israeliane

Durante gli scontri nei campi profughi, soprattutto nel nord della West Bank e in particolare a Nablus e Jenin, ma anche in quelli che vengono definiti attacchi terroristici, tra i caduti si contano anche israeliani, ma in numero nettamente minore. Al Jazeera riporta che, oltre alla soldatessa israeliana al checkpoint di Shuafat camp, altri 25 israeliani sono rimasti uccisi in scontri o attacchi palestinesi quest’anno. A far parlare di «clima da nuova intifada», secondo il governo israeliano, è stato l’attacco che ha visto due esplosioni sconvolgere la stazione degli autobus di Gerusalemme il 22 novembre, a causa del quale è morto un quindicenne israeliano. La responsabilità palestinese per questo attacco è stata subito denunciata da parte israeliana.

Nethanyahu torna, ancora più a destra

Nel frattempo, l’1 novembre nel turbolento panorama della politica interna israeliana si sono svolte le ennesime elezioni, le quinte in tre anni. I risultati e la formazione del nuovo governo lasciano intravedere un futuro prossimo che può solo andare peggiorando. Benjamin Nethanyahu è tornato alla ribalta, dopo lo scioglimento del suo governo nel giugno 2021, un anno di governo di Naftali Bennet e Yair Lapid ha riportato lo storico leader della destra israeliana accusato di corruzione a raggiungere nuovamente la maggioranza. Una maggioranza che per formare un governo sufficientemente solido ha dovuto far ricorso all’alleanza con l’estrema destra israeliana.

Nel Knesset 14 seggi sono andati al Partito Sionista Religioso, alleato del Likud di Nethanyahu per la formazione di questo governo. Il Partito Sionista Religioso è guidato da Itamar Ben Gvir, estremista residente a Kyriat Arba, l’insediamento israeliano adiacente alla città di Hebron in West Bank, criticato per aver avuto appeso in salotto il ritratto del terrorista sionista Baruch Goldstein che nel 1994 ha ucciso 29 fedeli palestinesi in preghiera nella Moschea di Abramo. Ben Gvir è diventato famoso di recente per aver guidato i raid degli estremisti israeliani a Sheikh Jarrah volti ad ottenere lo sfratto dei residenti palestinesi nel quartiere di Gerusalemme Est.

Itamar Ben Gvir, Ministro della Pubblica Sicurezza israeliano

A Ben Gvir è stato affidato il Ministero della Pubblica Sicurezza, che comprende, tra le sue la competenze, controllo non solo sulla polizia nazionale, ma anche sulla polizia di frontiera. presente al confine tra Israele e West Bank. Ad alimentare le ragionevoli preoccupazioni dei critici c’è il fatto che per «frontiera tra Israele e West Bank» si intendono anche gli stessi quartieri di Gerusalemme Est in cui sono presenti insediamenti israeliani e le aree di campagna in cui la maggior parte di essi sono situati in West Bank.

I muri, di confine e di annessione, in Palestina non mancano, ma pensare che esistano frontiere definite in una terra in cui l’espansione dei coloni avviene a macchia di leopardo è fuorviante. Frontiera, secondo il governo israeliano, è anche un quartiere storicamente palestinese come Silwan, a sud di Gerusalemme Est, dove le case dei residenti palestinesi vengono demolite per fare spazio ai palazzi che verranno abitati da israeliani, i quali verranno poi scortati dalla polizia di frontiera israeliana in strade pattugliate e militarizzate.

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Vista di Silwan, uno dei luoghi dove opera la polizia di frontiera, Gerusalemme Est, Settembre 2022

Questo il clima in cui si inizia a vociferare di una potenziale «Terza Intifada». Presto per dirlo con sicurezza, di certo c’è solo che gli scontri stanno aumentando e le morti pure.

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Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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