Agli Oscar 2015 Birdman di Alejandro González Iñárritu strega la giuria, guadagnandosi i quattro premi più importanti (migliore sceneggiatura originale, migliore fotografia, miglior regia, miglior film). Gli appartenenti al mondo dello spettacolo sono infatti gli unici a potersi immedesimare nella storia, perché il film è lo specchio di Hollywood, dei personaggi che si muovono nella preparazione di una commedia o di un dramma come Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. Vediamo di approfondire brevemente lo sguardo sul miglior film del 2014.
Come abbiamo scritto , il film si presenta come un curioso caso meta cinematografico. Inoltre il protagonista Riggan Thomson entra in conflitto con se stesso, tra la fama di celebrità e l’ambizione a regista serioso. In questo modo, tale scissione interiore da un lato si legge perfettamente nella mimica straordinaria di Michael Keaton– il reale attore- dall’altro definisce le contraddizioni dell’industria del cinema, affascinando la giuria stessa. «Miglior film» è quindi il riconoscimento a Birdman e Iñárritu per aver plasmato sullo schermo il labirinto che imprigiona qualsiasi attore e, più in generale, qualsiasi film.
Tuttavia, ciò sarebbe stato impossibile senza movimentare una storia che di per sé risulterebbe quasi noiosa e scontata- cioè il declino dell’uomo di spettacolo hollywodiano-. E Iñárritu ci riesce magistralmente con due mosse: sfruttare il talento del proprio cast e stupire il pubblico con una colonna sonora così originale da risultare incosciente secondo qualcuno, e una fotografia innovativa.
La batteria del jazzista Antonio Sánchez è il solo accompagnamento musicale alle scene, senza sfociare nella monotonia, riuscendo anzi ad accrescere tanto la suspense quanto la comicità stridente di alcune scene. Dal rullante al timpano, dai piatti e ancora al timpano, e infine il rullante, in una varietà incredibile di suoni che danno le giuste sfumature a ciascuna sequenza.
E poi la fotografia, vera protagonista del film, che ha giocato il ruolo principale per il trionfo agli Oscar 2015- difatti non è un mero sperimentalismo ma fornisce la chiave per interpretare il senso del film-.
Si tratta di un’ apparente assenza di montaggio: sembra che la ripresa sia solo una e che la telecamera si sposti continuamente, dando l’ impressione di un piano sequenza di due ore. Ovviamente questo è impossibile, e solo grazie ad un montaggio molto accurato si è potuto creare l’illusione di un’ unica vastissima scena.
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Hollywood si specchia in se stessa, dunque, senza poter mai distogliere lo sguardo dallo schermo ché il tempo si estende e all’improvviso si contrae assieme al moto perpetuo telecamera, che plana sui personaggi e vola da un giorno all’altro come se avesse le ali. I corpi sono scrutati da ogni posizione possibile e i luoghi appaiono tutti connessi dagli stessi muri: insomma, Alejandro Iñárritu gioca ad assottigliare la linea, già di per sé labile, fra realtà e farsa.
Birdman sembra ideato dall’incoscienza tipica di un regista ambizioso e alle prime armi, eppure tra il 2000 e il 2006 il regista messicano ha girato la Trilogia della morte: Amores perros, 21 Grammi e Babel possono vantare le apparizioni rispettivamente di Gael Garcìa Bernal (interprete di Che Guevara ne I Diari della motocicletta) Sean Penn e Benicio del Toro, e Brad Pitt. Stavolta Inárritu ha voluto osare, preferendo il virtuosismo tecnico alla profondità esistenziale della trama, ha osato e ha vinto quattro Oscar. Chapeau.
Andrea Piasentini
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[…] sia già un ottimo candidato all’Oscar. In effetti due anni fa il film di apertura a Venezia, Birdman, ha fatto incetta di premi. Speriamo che questa circostanza porti fortuna anche a La La Land, che […]