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“Paradise”: tre confessioni sul nazismo

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Nato a Mosca da una famiglia di intellettuali – il fratello è il regista Nikita Michalkov mentre il padre Sergej Michalkov è autore delle parole dell’inno nazionale sovietico – Andrej Končalovskij è sceneggiatore, regista e produttore che oltre a collaborare con un genio come Andrej Tarkovskij per la sceneggiatura del film Andrej Rublëv (1966) lavora per molti anni negli Stati Uniti, producendo film d’azione come A trenta secondi dalla fine (1985) e Tango & Cash (1989).

Torna in Russia poco dopo la caduta dell’URSS e realizza un film molto critico sul regime comunista, Asja e la gallina dalle uova d’oro (1994), per poi intraprendere un tipo di carriera più internazionale, di cui lo stesso Paradise (2016), Leone d’Argento per la miglior regia alla 73ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, è un chiaro esempio. Si tratta di una produzione di ampo respiro europeo, dove si parla in francese, tedesco e russo.

Invece di limitarsi a un unico punto di vista, Končalovskij ne sceglie ben tre: tre protagonisti, tre storie differenti che pongono un’importante riflessione su alcuni nodi ancora oggi irrisolti della storia del ‘900. Senza alcun tipo di introduzione, Paradise provvede subito ad addomesticare il suo curioso spettatore al ritmo lento e rigoroso della narrazione.

Paradise

Jules

La vicenda del governo fantoccio della repubblica di Vichy, segnata dall’emblematica immagine di Hitler e Pétain che si stringono la mano in segno di suggello, fa da sfondo alla prima vicenda, quella di Jules, brusco poliziotto francese molto simile al commissario Maigret di Georges Simenon, che racconta l’ambiguità morale che si cela dietro all’oscuro collaborazionismo di Vichy. Per la Francia, infatti, questa rappresenterà sempre una macchia imbarazzante della propria storia, goffo tentativo di nascondere la corresponsabilità degli apparati francesi che misero in atto le retate di ebrei, tra cui la cosiddetta Rafle du Vélodrome d’Hiver del 1942, di cui è stato poi realizzato il Monsieur Klein (1976) di Joseph Losey con Alain Delon.

Helmut

Helmut, invece, aristocratico tedesco di alto lignaggio e antica famiglia, rappresenta la fascinazione dell’aristocrazia tedesca per l’emergente fenomeno nazista. Ormai illusa e tagliata fuori dalla storia, la nobiltà del tempo risulta infatti collassare su se stessa, ingannata dal sogno di una distopica rimodellazione demografica di stampo razziale germano-centrico che convincerà lo stesso Helmut a imbastardirsi e a cedere alle barbarie perpetrate dalle SS di Himmler.

Paradise

Olga

Forse vera protagonista chiave di questo triplice racconto è, però, Olga, una principessa russa, esule in Francia, che per un imprevisto intreccio che unisce passato e presente diventa testimone della realtà del campo di sterminio inteso come luogo di distruzione di ogni genere di dignità, a cui si affianca, inoltre, il complesso fenomeno della collaborazione all’interno dei campi che molto spesso ha significato avere la possibilità di salvare la vita a qualcuno.

Paradise

Ognuna di queste storie viene raccontata in prima persona dal protagonista secondo diverse sfaccettature, a cavallo del sottile confine tra il Bene e il Male, con salti di pellicola e voluti disturbi che, insieme allo stesso bianco e nero utilizzato da Steven Spielberg in Schindler’s List (1993), servono a mantenere la giusta distanza della finzione filmica per non premettere allo spettatore di lasciarsi trasportare da emozioni e sentimenti che potrebbero indurlo a conclusioni troppo affrettate. Il ritmo della narrazione diventa via via più incalzante, accompagna i protagonisti verso il rapido e inesorabile declino della follia nazista, trasformandoli in veri e propri fantasmi di loro stessi.

Paradise

Paradise è sicuramente un titolo che stona con il tono della narrazione – uno sguardo obbiettivo e severo, privo di colori, sfumature e voce narrante – e con le vicende dei suoi personaggi, è una parola che nel film assume numerosi significati che possono in qualche modo darci la giusta chiave di interpretazione della pellicola. Si tratta della realizzazione di un’umanità ideale che sfocia nell’ideologia fascista e, allo stesso tempo, dell’abbandono da parte dei prigionieri di qualsiasi speranza di libertà e di umanità, in un luogo progettato per sterminare ogni forma di rispetto e dignità per gli altri e per se stessi.

Del Paradiso, però, possono essere anche le porte a cui i tre protagonisti si affacciano raccontando le loro storie sotto forma di confessione, faccia a faccia con la storia e con la coscienza di tutti, implorando un qualche perdono che possa gettare una parvenza di pace su un incubo ancora nitido nella memoria dell’Europa.

Paradise

Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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