Puntuale come sempre, ogni 25 aprile si scatena una delle più accese polemiche che coinvolgono il nostro paese. Rigorosamente, tornano a galla i libri di Pansa, i «massacri dimenticati», il giustificazionismo assolutorio sui crimini della RSI, gli «italiani brava gente» e gli «allora le foibe?».
Tuttavia se un dibattito, pure se macchiettistico, sulla storia accende così tanto gli italiani significa che i morti non sono ancora stati del tutto seppelliti, che l’identità nazionale deve ancora solidificarsi su valori comuni e che le ferite devono ancora cicatrizzarsi. Dunque, forse c’è ancora qualcosa da dire sul 25 aprile e su perché, mai come oggi, va festeggiato.
Non erano tutti uguali. C’era chi combatteva per la libertà da clandestino e c’era chi combatteva (consapevolmente o meno, volontariamente o no) per l’oppressione, per Hitler e per la tirannia. Non si trattava di due opinioni che si scontravano, ma della libertà d’opinione che si scontrava contro il pensiero unico. Come disse Foa a Giorgio Pisanò, «Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore».
«Anche i partigiani hanno commesso massacri». Questa è l’accusa che si fa più spesso alla Resistenza. Di certo i partigiani hanno commesso massacri ed efferatezze ed è giusto studiarli e ricordarli. Ma questo non può e non deve significare che la Resistenza si riduce a quei massacri. Non tutti i partigiani furono dei santi, così come non tutti i fascisti furono dei diavoli, ma l’ideale che li spinse a combattere era diverso: gli uomini possono sbagliare, le idee non si discutono. Per questo i massacri partigiani, di minore portata e comprensibili nel contesto bellico, furono l’imperfezione di un’idea giusta, mentre i massacri nazisti e fascisti furono l’ultima e perfetta realizzazione dell’idea totalitaria. Le idee partigiane professavano altro, e altro portarono, mentre le idee totalitarie professavano odio, discriminazione e razzismo (e questo, ahinoi, portarono).
Sì, è una festa divisiva. È la festa di chi ama la libertà, la democrazia e l’antifascismo. Non è la festa di chi odia libertà, democrazia e antifascismo. Spetta ad ognuno di noi decidere dove schierarsi.
Il 25 aprile dev’essere la grande epopea fondante la nostra nazione, l’occasione per abbandonare gli odi e le divisioni di parte per ricordare il sangue, la guerra e il dolore che abbiamo subito e per celebrare i diritti e le libertà di cui godiamo, la festa di tutti gli italiani e tutte le italiane, indipendentemente da opinioni, religioni, condizione sociale. È la festa che ci ricorda che è giusto ribellarsi ad un potere tiranno, corrotto, totalitario e liberticida. Lezione, questa, che non scade mai.
Il 25 aprile ci impone di non dimenticare il sacrificio di chi ha combattuto per poterci garantire, oggi, anche di non festeggiare questa ricorrenza e pensare che i partigiani fossero nel torto. Dimenticare, fingere di non sapere o non ricordare, significherebbe uccidere di nuovo la verità e gli uomini che per essa si sacrificarono.
Se il fascismo non è, come spesso si vuole far credere, un periodo storico morto e sepolto, ma, come scrisse anche Eco, un’attitudine dell’uomo e una tendenza della società di massa, la guardia non va mai abbassata. Il 25 aprile è e deve essere sempre poiché sempre bisogna guardarsi dal pericolo totalitario, costantemente in agguato da ogni parte.
Ora e sempre 25 aprile. Tanti auguri agli amanti della libertà dalla redazione di Frammenti Rivista.
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