Con l’avvento e lo sviluppo della modernità, le periferie hanno fatto la loro silenziosa comparsa ai margini delle grandi città. La popolazione mondiale si faceva e si fa sempre più numerosa e gli spostamenti di uomini e merci sempre più frequenti. Così, ai lati dei grandi centri urbani, si costruiscono mostri di cemento pronti a ospitare milioni di persone in cerca di benessere, ricchezza, lavoro. È una dimensione nuova e ibrida tra la campagna e la città, quella della periferia, è l’impronta architettonica della globalizzazione, il non-luogo della modernità.
Le conseguenze delle discriminazioni nelle periferie
Alcune periferie, però, si sono col tempo trasformate in bolle totalmente sconnesse dal centro che le aveva generate. Nelle periferie vediamo tutte le tendenze demografiche più note: l’invecchiamento della popolazione, la convivenza tra stranieri e italiani e la disgregazione delle famiglie. Chi abita in periferia, poi, è spesso sottoposto a condizioni di lavoro precarie e ha un reddito medio, come nel caso di Milano, fino a cinque volte inferiore a quello dei quartieri-bene. La stessa disparità si nota anche nel tasso di istruzione, che scende notevolmente quando si passa da centro a periferia e che si riflette anche sul tasso di occupazione.
Non si tratta dunque solo di “zone” diverse, ma di un divario sociale, economico, demografico e politico. È quindi più facile e frequente che le periferie e il centro vadano incontro a processi di “ghettizzazione”, chiudendosi ciascuno nella sua bolla e limitando al minimo le interazioni. In questo modo muore lo spirito della città, il suo senso di appartenenza, viene meno la presenza di spazi comuni di vita che fungano da “unificatori” sociali, in cui il ricco e il povero si equivalgono. Si tratta di un arcipelago di isole vicine solo geograficamente e incapaci di un’identità forte.
Anche politicamente, quindi, diventa difficile parlare di orientamenti elettorali ben definiti in una città: centro e periferia non pensano, non parlano e non votano alla stessa maniera. L’isolamento progressivo dei quartieri periferici, inoltre, non favorisce per nulla la vita e la mobilità sociale di una città.
La sfiducia dei cittadini in questi luoghi tocca quindi vertici storici e non c’è da stupirsi se alle ultime elezioni nelle periferie di Roma e Milano l’affluenza si assesta sotto il 50% degli aventi diritto.
Mutualismo e reti sociali: le iniziative dal basso che ridanno vita alle periferie cittadine
Se da un lato la sfiducia caratterizza il rapporto dei cittadini di periferia con le istituzioni, l’altra faccia della medaglia è rappresentata dalle reti sociali, basate soprattutto sul mutualismo, che caratterizzano queste zone. La percezione del divario rispetto agli abitanti del centro non si risolve, in questi luoghi, in passività e rassegnazione. Essa apre spesso il varco alla rivendicazione di giustizia sociale e all’attivismo, politico e non, per rispondere alla decostruzione del welfare che a livello globale ha caratterizzato molti paesi occidentali dagli anni Ottanta ad oggi.
Lo studio Reti di mutualismo e poli civici a Roma, condotto dal Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università Sapienza e dall’Associazione Fairwatch con riferimento a casi studio nella Capitale, ha analizzato proprio alcuni fenomeni di protagonismo sociale e auto-organizzazione. Lo studio identifica questi processi locali come delle modalità di riqualificazione sia fisica che sociale ed economica delle zone periferiche degradate. Questa terza via emerge dal basso e così si differenzia dalle due strade principali percorse dalle autorità pubbliche in questo campo: l’abbandono delle periferie oppure i progetti di riqualificazione imposti dall’alto, che spesso si distinguono per un approccio securitario e che lasciano presagire il rischio di gentrificazione di queste aree urbane.
Le realtà mutualistiche che emergono in questi centri periferici – l’ossimoro è voluto – hanno come obiettivo l’integrazione e non la sostituzione dei servizi pubblici di base, e la sperimentazione di una società locale caratterizzata dalla cura reciproca, dall’egualitarismo e dall’indirizzo ecologico. Alla base di questi esperimenti sociali c’è il pilastro dell’economia trasformativa che rompe con la forma-contratto e propone i nuovi modelli di “economia della cura” ed “economia dei beni comuni”, il cui indice di misurazione principale è il benessere collettivo piuttosto che il PIL.
L’emergenza di queste oasi di mutuo-aiuto nel bel mezzo delle storicamente ostili aree periferiche ha visto una notevole accelerata durante la pandemia da Covid-19. I lockdown hanno colpito duramente in particolare le fasce più fragili della popolazione: i precari, le persone socio-economicamente svantaggiate, gli anziani e diversi altri profili che sono molto comuni proprio tra gli abitanti delle periferie. Quel che è successo dunque è che proprio nel momento in cui lo Stato mancava sempre di più e non aveva i mezzi per rispondere ai bisogni fondamentali di larghe fasce di popolazione, le comunità periferiche si sono attivate.
Il ruolo dello Stato e le iniziative pubbliche
Il carattere non sostitutivo rispetto alle necessarie iniziative pubbliche-statali di queste realtà vuole rimarcare il fatto che lo Stato è chiamato ad avere un ruolo centrale nel supportare queste iniziative, accettando però il loro carattere bottom-up. L’abbandono dei “quartieri ghetto” e la criminalizzazione dei loro abitanti fanno infatti parte di una non-strategia che da decenni esclude e così facendo discrimina parte della popolazione.
Continuare sulla strada dell’abbandono significa, tra l’altro, lasciare che l’assenza di sinergia danneggi l’economia, causi immobilismo sociale e tenda a portare molto presto una città all’obsolescenza. Così anche l’integrazione si fa più difficile in una città divisa: con grande facilità si sono formate, in Italia e all’estero, delle isole etniche dove immigrati della stessa nazionalità si ritrovano a vivere tra loro, senza integrarsi con il tessuto socio-culturale del paese in cui vivono. Proprio queste comunità diventano l’obiettivo di attacchi razzisti e violenti e proprio la ghettizzazione diventa un ostacolo al dialogo e alla vera integrazione. In questo contesto la convivenza diventa difficilissima e la speranza negli italiani figli di immigrati si affievolisce: meno disperati e più arrabbiati dei genitori, questi giovani sono pronti a ribellarsi a un sistema che li giudica uguali solo sulla carta. Si pensi alla rivolta delle banlieue.
PNRR: è in arrivo una svolta?
Le periferie, in quanto non-luoghi della modernità, vivono insomma da vicino i problemi di cui lo Stato, spesso, non si occupa: l’integrazione, l’urbanizzazione incontrollata, la disoccupazione, l’assenza delle istituzioni e via dicendo.
Di fronte a queste problematiche il PNRR italiano prevede uno stanziamento di 2.7 miliardi di euro destinati ai piani urbani integrati nelle città metropolitane. In aggiunta, 272 milioni di euro sono stati stanziati per questo fine dallo Stato Italiano attraverso il fondo Ripresa e Resilienza Italia. I piani che saranno in questo modo finanziati includono le politiche di riqualificazione urbana da implementare per raggiungere l’obiettivo fissato di riduzione del divario di cittadinanza. La scelta dei progetti per la riqualificazione di aree metropolitane da realizzare viene fatta sulla base dell’Indice di Vulnerabilità Sociale e Materiale (IVSM).
A gennaio 2023 erano stati approvati 31 piani urbani distribuiti sul territorio nazionale. Le città a ricevere più fondi sono state Napoli (351 milioni), Roma (330 milioni) e Milano (277 milioni).
Concretamente le linee guida del PNRR per questi piani urbani per la riduzione del divario di cittadinanza hanno un occhio di riguardo per il Sud e comprendono delle iniziative di sviluppo fisico del territorio, per esempio attraverso il miglioramento di edifici e infrastrutture nei termini di efficientamento energetico e idrico, ma anche la promozione di attività sociali, culturali ed economiche. Anche il miglioramento dei servizi educativi e la lotta all’abbandono scolastico sono inclusi nelle linee strategiche di questa sezione del PNRR, in aggiunta all’attuazione di politiche attive per il lavoro.
Il problema del divario centro-periferia riguarda quindi una frattura tra Stato e modernità che assume connotati tanto sociali ed economici quanto politici. Di fronte alla presenza di iniziative bottom-up come le reti mutualistiche da un lato e progetti top-down finanziati dal PNRR, l’obiettivo pare essere quello di trovare una sintesi. La sfida che si prospetta è quella di destinare le risorse necessarie alle iniziative locali che abbattano le disuguaglianze senza però snaturare dei luoghi, le periferie, che presentano, oltre alle molte ombre, non poche luci.
Questo articolo fa parte della newsletter n 27 – Aprile 2023 di Frammenti Rivista riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:
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- Quando i marziani sbagliano pianeta
- Agrodolce, imperfetta, disperata come la periferia
- Nella periferia delle categorie marginalizzate
- Le periferie del desiderio, le periferie del corpo
- Lontani dal centro, lontani dal cuore: l’umanità e le sue periferie
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