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Perché leggere, nel 2018, l'”Orlando furioso” di Ariosto

9 minuti di lettura

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto

Eccolo, uno degli incipit più famosi della nostra letteratura. L’inizio de l’Orlando Furioso, acclamato capolavoro di Ludovico Ariosto, pubblicato per la prima volta nel 1516 a Ferrara. Opera composta 46 canti in ottave, per un totale di 38.736 versi. E già a qualcuno sarà passata la voglia di leggere.

Ciascun canto non è altro che un insieme di otto versi in endecasillabi, di cui i primi sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata. In più si tratta di un poema cavalleresco, nonché di una celebrazione della casata degli Este sullo sfondo della guerra tra mori (mussulmani) e cristiani.

Ecco, forse ora un buon 90% dei lettori ha deciso di fare come ha fatto pochi mesi fa chi scrive, smettendo di interessarsi a quest’opera che sicuramente non avrà niente a che spartire con noi millennials, che l’unico punto di incontro che possiamo avere con l’Ariosto è la verifica sul ‘500 il lunedì mattina.

Ma per i più coraggiosi, quelli che si sentono di dare una chance alle rime baciate di questo tomo immenso, abbiamo qui da elencare un paio di temi affrontati nel libro che lo fanno sembrare stranamente, incredibilmente, assolutamente attuale.

L’amore

Partiamo dal più lampante, l’amore. «Ovvio – direte – d’amore si è sempre parlato». E direte anche che non conta il cosa ma il come, che è l’idea di amore cinquecentesca ad essere, per fortuna di tutti, superata da un po’. Direte che l’amore non è banale conquista di una donna angelo qualsiasi, che è una mescolanza di attese, di paure, di immagini che ci facciamo in testa e idee che non esistono, di forze che strappano l’anima e il cuore. Bene.

Canto XXIII, La pazzia d’Orlando. Come in un film, vediamo un uomo che cammina accanto a un fiumiciattolo e si accorge che, intorno a lui, tutti gli alberi sono segnati con scritte e piccole incisioni che riportano il nome della donna che ama. Il primo pensiero, ovviamente, è che lei abbia scritto quei messaggi per lui, ma il nome inciso accanto a quello di Angelica, tra un cuore e l’altro, è Medoro. Come si spiega? Angelica mi chiama forse con un altro nome perché non osa scrivere il mio?

Orlando ci mette un po’ a tornare alla realtà, come ogni volta che non riusciamo ad accettare qualcosa perché fa troppo male. Ma quando arriva arriva, e colpisce come un pugno ben assestato nello stomaco. Il nostro cavaliere non mangia, non beve, non si regge neanche in piedi, ovunque guardi vede solo la sua donna tra le braccia un altro. E sebbene sia un’esperienza che tutti, dal 1516 al 2018, abbiamo provato almeno una volta, l’architettura di Ariosto prende il nostro male, lo impasta e lo risputa sottoforma di opera d’arte.

[…]
Queste non son più lacrime, che fuore
stillo dagli occhi con sì larga vena.
Non suppliron le lacrime al dolore:
finir ch’a mezzo era il dolore a pena.
Dal fuoco spinto ora il vitale umore
fugge per quella via ch’agli occhi mena;
et è quel che si versa, e trarrà insieme
e ‘l dolore e la vita all’ore estreme.
[…]

Queste non possono essere le mie lacrime, dice, che quelle le ho già piante tutte. Dev’essere la mia anima che scorre via attraverso i miei occhi. E questo corpo che si trascina non è il mio, che io, Orlando, sono morto, ucciso dalla mia stessa donna. Questo è un fantasma, che sia d’esempio a tutti quelli che nell’amore credono ancora.

L’invisibile

Quante volte ci è capitato di desiderare qualcosa talmente tanto da credere in un certo senso che dovesse essere vero per forza, agendo di conseguenza? O di essere convinti di un fatto, un’idea, talmente tanto da andare contro ogni realismo e logica per dimostrare a noi stessi che è vero, che abbiamo ragione noi? Questa nostra piccola debolezza è un tema ricorrente anche per l’Ariosto. A partire dall’Orlando, talmente innamorato di Angelica da convincersi che lei lo ricambi, fino al cavaliere in attesa della strega che lo ha ammaliato – che ad ogni piccolo rumore nella propria stanza sente e spera di vedere lei – il rapporto con l’invisibile è quasi onnipresente nel racconto.

La paura, il tempo e i pretesti

Cosa spinge i personaggi del poema a muoversi da una parte all’altra, scappando dalla guerra per inseguire l’amore, scappando dall’amore stesso, inseguendo gli oggetti del desiderio fino in cima alle montagne più alte? Sembra che la linea non sia mai continua. L’intreccio è talmente dinamico che non c’è tempo di fermarsi a fare il punto, a chiederci «perchè, ma dove sta andando, cosa diavolo fa?» in uno scorrere della storia frenetico come e forse più del nostro. Storia in cui pare che tutto sia un pretesto per qualcos’altro, mai un fine ma sempre una tappa, in attesa del prossimo colpo di scena. E da questo mondo in cui tutti si lanciano in avventure mirabolanti, in cui tutto può succedere e tutto succede, forse possiamo imparare anche qualcosa. A non lasciarci sopraffare dalla paura – che nel libro è pressoché inesistente – per esempio, a lasciarci portare dalla nostra, di storia.

La donna

Fin qui tutto bene. Eroi senza paura che però sanno anche amare, storie avvincenti, anche quel filo di introspezione che sorprende e di certo non guasta. L’unica cosa che non si salva, si può pensare, è la visione del mondo femminile. Dopotutto ricordiamoci che anche se non sembra, l’Orlando è stato scritto a inizio ‘500, una mentalità per così dire retrogada all’Ariosto avremmo potuto perdonarla. Eppure anche qui non si smentisce.

Certo, a partire dal nome di Angelica ritroviamo tutti i cliché della donna bella e basta, da conquistare facendo a gara a chi ha la spada più lunga. Eppure ad un occhio più attento non sfugge che in realtà le uniche con un po’ di sale in zucca nel racconto sono spesso e volentieri proprio le donne, che nonostante siano in difetto dal punto di vista fisico riescono sempre a trarsi d’impiccio grazie alla propria astuzia (non dimentichiamoci poi che uno degli eroi più forti e valorosi del racconto si scopre alla fine essere di genere femminile).

In conclusione

L’universo creato dall’Ariosto funziona in modo diverso dal nostro. È un luogo dove ci si può permettere di non pensare alle conseguenze delle proprie azioni, dove se la tua relazione ti ha stancato puoi uscirne trasformando il tuo partner in una pianta o rendendoti invisibile con un anello magico. Ma tra una battaglia epica e l’altra, le dinamiche rimangono le stesse. E sono raccontate in un modo che vale la pena di leggere.

 

Marta Mantero

Sulla carta c'è una ventitreenne laureata in scienze delle relazioni internazionali.
Sulla pelle ci sono i libri, la musica, il buon cinema e il mare mosso.
Nella pancia c'è il teatro.

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