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piramide feudale

Abbattiamo la piramide feudale

Nel Medioevo, la gestione dei territori era basata su un patto di fedeltà tra il re e i suoi fedelissimi, fino ad arrivare a costituire una rete di relazioni. Ma era davvero una piramide?

8 minuti di lettura

Il feudalesimo è un concetto storico molto dibattuto, che prevede la stabilizzazione, tra IX e X secolo, di un sistema di gestione del territorio basato sulla fedeltà. Nello schema più canonico, un re – o in generale un capo militare dotato di potere e di un certo prestigio – decideva di ricompensare i fedelissimi, nella maggioranza dei casi guerrieri, con un titolo nobiliare associato ad una parte dei suoi terreni (un feudo), senza che essi diventassero loro proprietà: inizialmente infatti, alla morte del vassallo, il feudo tornava automaticamente a chi gliel’aveva concesso. Solo con il tempo, e dopo aver superato forti resistenze, in alcune zone d’Europa il passaggio delle proprietà di un vassallo ai suoi eredi, senza che prima ripassassero nelle mani del re, cominciò ad essere più frequente, fino a diventare la prassi entro la prima metà dell’XI secolo (con il capitolare di Quierzy dell’877 e la Constitutio de feudis del 1037).

Diffusosi soprattutto sotto Carlo Magno, che proprio così si teneva stretti i suoi paladini più fedeli, il feudalesimo è tra i fenomeni che più definirono le forme amministrative e i confini nel continente europeo. Era anche un metodo efficace per gestire meglio territori vasti, delegandone il controllo a qualcuno senza perderne i benefici, che ritornavano sotto forma di imposte e servizi militari. Il vassallo, oltre all’influenza su una certa area, otteneva la protezione del suo signore in caso di soprusi esterni e l’accesso al suo giudizio super partes qualora fossero sorte diatribe interne.

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Se questo discorso vi accende almeno una lampadina è perché a circa metà della prima media abbiamo sentito parlare di feudalesimo, e nel capitolo del libro ad esso dedicato c’era l’immagine di una piramide, con il re in cima, sotto di lui pochi vassalli, sotto di loro i valvassori e poi i valvassini (seguiti da altri personaggi della società medievale, compresi gli artigiani e i servi della gleba). La didascalia diceva qualcosa sulla piramide feudale. I termini sono facili e hanno un suono simpatico, e forse quella spiegazione schematica è tra le pochissime cose che passi per la mente dei più quando si parla di Medioevo. Peccato che certi concetti richiedano perlomeno una riflessione: il problema sta soprattutto nel fatto che nel Medioevo i protagonisti di questo presunto sistema non lo concepissero come una rigida gerarchia. Il rapporto era di fiducia reciproca e personale tra due individui, non tra i due elementi di uno schemino. Prestare giuramento di fedeltà al proprio signore, ottenendo in cambio un feudo, legava il vassallo esclusivamente a quella persona e viceversa; non aveva particolare rilevanza che il proprio signore fosse o meno a sua volta vassallo di qualcuno. Questo per dire che diventare vassalli non significava collocarsi in una casella immutabile dell’ordine sociale, perché proprio i legami che ci si riusciva a costruire avrebbero permesso forti cambiamenti: la rete dei rapporti feudali era anche un ascensore sociale, che avvicinava personaggi lontani.

Un lento adattamento inizia a notarsi su alcuni libri, perché a volte si parla di catene di legami, oppure di reti, formulazioni decisamente più adeguate; peccato che poche pagine dopo, tra gli esercizi, lo studente si ritrovi proprio una piramide da completare con il re, i vassalli, i valvassori e i valvassini. Proprio questi ultimi due termini fanno accendere un’altra spia: i valvassori (da vassus vassorum), prima di tutto, non denotavano necessariamente il vassallo di un vassallo come ci hanno insegnato, ma il significato dipendeva dalle zone, o talvolta addirittura dalla fonte che stiamo consultando: un valvassore poteva essere qualcuno che aveva ottenuto un particolare privilegio su un territorio (senza che ad esso fosse associato un titolo nobiliare), o un vassallo generico economicamente poco rilevante. I valvassini, ancora peggio, non vengono mai menzionati nei documenti con cui si ufficializzava o si rinnovava un rapporto tra signore e vassallo.

In moltissimi, su internet, per strada e in classe, giustificano queste e altre inesattezze, a loro dire innocenti, affermando che per gli undicenni certe cose siano troppo complesse da capire, troppo difficili per le loro giovani menti innocenti, e che gli sforzi della didattica dovrebbero andare in direzioni più tradizionali; perciò, sarebbe giustificabile inventarci paradigmi storiografici o perpetrarli impunemente. Per altri queste sono facezie da storici che non hanno modi migliori per usare il loro tempo. Ma oggi più che mai anche quella che sembra pignoleria è fondamentale, perché veicola dei messaggi: è ciò che la nostra generazione sceglie di trasmettere alla successiva, perché la reputiamo importante per continuare a sopravvivere come specie umana. Ma quando le cose si radicano in modo fisso nel pensiero non è sempre un buon segno: la mente, anche quella di un popolo, ha bisogno di movimento per rimanere attiva, altrimenti si adagia sulle sue conoscenze date per certe e non ha più voglia di andare da nessuna parte.

Posta nel modo giusto e concreto, la questione del feudalesimo piace molto agli studenti: rendere politica una faccenda come l’amicizia ha un fascino incredibile. Per chi ci tiene, trovare concetti errati sui libri di testo può diventare un trampolino per una bella lezione sul metodo storico: far presente che su alcuni argomenti esiste un dibattito tra gli studiosi che può dimostrare che il libro di storia non va preso come una lista di fatti apparsi lì per caso. Spiegare alla classe che sì, il libro può sbagliare, insegna che non esistono verità assolute ed eterne, e che ricerche più approfondite o modi diversi di maneggiare le fonti possono, e devono, permetterci sempre di riscrivere la storia. A voler spulciare i libri chissà quanti articoli del genere si potrebbero scrivere, e non è un lusso che la nostra società può permettersi quello di sottovalutare le nuove generazioni e le loro capacità solo perché non siamo in grado di farci ascoltare e di essere comprensibili.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

1 Comment

  1. SALVE SIGNOR DANIELE RIZZI
    GRAZIE PER AVERMI AVERMI AIUTATO NEL RECUPERO DI STORIA SULLA PIRAMIDE DEL FEUDALESIMO CON IL SUO TESTO SCRITTO .

    grazie mille. yudhveer singh

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