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Quella notte, alla scuola Diaz

Cronaca dell'irruzione e delle torture perpetrate dalla polizia di Stato ai manifestanti che si trovavano nella scuola di Diaz il 21/07/2001

7 minuti di lettura
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di Davide Cassese

Amnesty International l’ha definita la più grave sospensione dei diritti democratici dopo la seconda guerra mondiale. Il Vicequestore Michelangelo Fournier, che dirigeva le squadre entrate nella scuola Diaz, durante una deposizione parlò di macelleria messicana. La corte di Strasburgo, molto più brevemente, l’ha chiamata tortura. E ha condannato l’Italia non solamente per le violenze inaudite patite dai manifestanti ma soprattutto perché nel nostro ordinamento non è previsto il reato di tortura.

Dopo molti anni, molte polemiche e dopo il ricorso presentato, la Corte di Starsburgo ha dato ragione ad Arnaldo Cersaro, il manifestante più anziano che andò a dormire nella scuola Diaz e che fu vittima, come gli altri, di colpi di manganello e violenze che gli causarono la rottura di un braccio e di dieci costole. Lo Stato italiano risarcirà il coraggioso ed audace manifestante che ha deciso, con perseveranza, di continuare la sua battaglia per la giustizia e per far sì che nulla fosse lasciato nei cassetti bui della memoria del Paese.

Ma cosa accadde, quella notte, alla scuola Diaz di Genova?

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Il G8 era già finito, gli uomini più potenti della terra erano ritornati nelle loro sedi, ma non erano finite, evidentemente, le violenze, le brutalità e gli abusi. La sera del 21 luglio 2001 le squadre mobili della Polizia di Stato decidono di irrompere nella Scuola Diaz, ritenendo che fosse occupata da pericolosi anarco-insurrezionalisti armati di spranghe e molotov. In realtà la scuola Diaz era un luogo di ritrovo e di ristoro in cui andavano a dormire i manifestanti – tra i quali giornalisti – molti dei quali legati al Genova Social Forum. L’irruzione avvenne con un blindato che sfondò il cancello della scuola e con dei poliziotti infervorati che, entrando nell’edificio, devastarono tutto e picchiarono chiunque si trovasse nella scuola, senza motivo. Le violenze non si contano. Manganellate, urla, umiliazioni e soprattutto sangue. Sangue ovunque. Sui muri, per terra, sui volti lividi e tumefatti dei manifestati. Sangue che, come racconta Fournier, circondava la testa di una ragazza inerme e moribonda sul pavimento della scuola. Il bilancio fu drammatico: 61 feriti, per tre dei quali fu disposta la prognosi riservata, e uno in coma. Una carneficina ingiustificata e figlia minore dell’odio e dell’intolleranza. Fu forte ed accanita la reazione di diversi manifestanti e di personalità di rilievo come Agnoletto, che – diversamente dalla brutalità e dall’insolenza mostrata dalla polizia – disse, indicando le forze dell’ordine: “Complimenti, questa è la vostra democrazia!”.

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Davanti la scuola un poliziotto di alto grado, parlando alla stampa, affermerà che c’è stata una accanita resistenza e soprattutto giustificherà l’irruzione dicendo che quel luogo era niente affatto pacifico, ma pieno di esponenti del blocco nero – mentre, nel frattempo, passano sanguinanti e agonizzanti i manifestanti sui lettini per raggiungere le ambulanze. Le prove di tale fantasiosa rappresentazione non esistono. Quindi le inventano: è provato che delle bottiglie molotov furono portate nella scuola dai poliziotti che, nella conferenza stampa, le mostrarono ai fotografi e ai giornalisti per documentare. Esistono delle controprove, però. Dalle deposizioni emerge che non ci fu nessuna resistenza e che si assistette a colluttazioni unilaterali. Sopraffazione, abuso e virulenza da una sola parte, insomma.

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Le controprove più forti, però, sono le ferite mai rimarginare che quelle persone porteranno dentro: le reazioni di paura e spavento quando sentiranno un minimo rumore, le urla di aiuto e di pietà che, per quanto assordanti, vennero sovrastate dai colpi di manganello, la sfiducia nei confronti dello Stato, che in quell’occasione si è macchiato clamorosamente. E oggi? Come reagisce, la Politica? Come reagiscono i politici che, al tempo, con piglio rigorista e intransigente, minimizzarono e ignorarono quei comportamenti?

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Oggi fanno la gara a chi presenta per primo una legge contro la tortura. Sono sempre tutti pronti a ergersi a paladini della giustizia e a professionisti della compassione, ma solo dopo le disgrazie o dopo i pronunciamenti delle Corti. Ma davvero serviva una Corte per accertare che quella fu tortura? Serviva una dichiarazione così forte per stabilire che alla scuola Diaz e a Bolzaneto ci furono scenari che lasciano ricordare realtà ripugnanti? Perché bisogna sempre aspettare che accada qualcosa? Una legge che prevede il reato di tortura è presente in diversi paesi europei, uno su tutti la Francia in cui è prevista una pena minima fino a 15 anni. Da anni tutti i governi ritengono che bisogna allinearsi all’Europa. Ma allinearsi solo per le regole che stabiliscono i tetti deficit/pil? Ci viene in mente di essere europei solo a tratti, di essere Italiani solo quando l’Italia vince il mondiale, ma di essere umani non ci viene in mente mai. É giunto il momento di mettere il numero identificativo dietro le divise delle forze dell’ordine. Bisogna prendere posizioni serie sulla tortura. E non vuole essere una presa di posizione contro le forze dell’ordine, no. Le sopraffazioni, le violenze e gli abusi non hanno colore o schieramento. Ma hanno sempre colpevoli. E non possono restare impuniti.

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