Cosa succede quando uno dei più grandi autori francesi viventi decide di raccontare il suo incontro con il Cristianesimo? Nasce Il Regno (Le Royaume, 2014) di Emmanuel Carrère, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2015. È un libro difficile da inquadrare in un genere fin da subito, come l’autore nato nel 1957 ci ha abituato con le sue opere: è un saggio storico, è narrativa, è romanzo storico, è inchiesta giornalistica, è autobiografia.
Carrère si apre con i lettori sul suo triennio di vicinanza alla fede da credente, durante i quali trascorreva ore a leggere il Vangelo e a commentarlo su dei quaderni, oltre a incontrare personaggi ricordati nel libro con dolcezza. Nel Regno a parlare è l’uomo di vent’anni dopo, uscito dal novero dei credenti (e lasciatosi alle spalle le difficoltà che l’avevano portato alla conversione) e deciso a guardarsi indietro, spingendosi ben più dietro agli anni Novanta, ma scivolando fino ai momenti cruciali della prima diffusione del Cristianesimo.
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Spicca subito la capacità (invidiabile) di rendere sorprendentemente accessibile la storia antica. Come il migliore dei divulgatori, Carrère narra e coinvolge al posto di spiegare, mescolando elementi di fiction e saggio, e giocando con i riferimenti storiografici da cui attinge. I contenuti così intrecciati diventano vivi, incarnati, tangibili.
Nel Regno l’autore non è in cattedra, ma è protagonista: Carrère non si limita a raccontare la storia degli altri, ma inserisce se stesso nel racconto, riflettendo sulle proprie esperienze e sul proprio rapporto, presente e passato, con la fede. Quella che potrebbe essere scambiata per un’indagine storica è in realtà un commovente viaggio interiore. Al posto di utilizzare il vissuto come una cornice, l’autore lo mette al centro della storia, facendolo prevalere sull’indagine: simpatie personali, impressioni, cinismo e istinto costituiscono lo scheletro del libro. Nei capitoli, i momenti di ricostruzione storica si alternano a vicende personali dell’autore e a digressioni storiografiche dal taglio giornalistico, a volte scandalistico.
Qui ci sbilanciamo: è un libro che va letto al momento giusto della propria vita spirituale, senza forzarsi. Il rischio è di percepire la continua introspezione come un ostacolo alla comprensione della storia che Carrère racconta – che potrebbe sembrare girare in circolo o reggersi su speculazioni.
Gesù, il fondatore della setta, è quasi un personaggio secondario. Ben più sfaccettati e affascinanti sono gli apostoli e gli altri seguaci che portano in giro il Verbo, ma anche le persone che si muovevano in quell’epoca rivoluzionaria che fu il I secolo della nostra epoca: Paolo di Tarso, Luca l’evangelista, Flavio Giuseppe il cronista, Nerone l’imperatore incompreso… E così costruiamo con loro un rapporto umano, come se fossero vicini a noi o se li stessimo seguendo nelle loro peregrinazioni per il Mediterraneo.
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Tutto è avvolto nel dubbio e nell’incertezza, la stessa che dovevano provare i primi cristiani quando la religione che avrebbe plasmato l’Occidente e il mondo era ancora un traballante passaparola di racconti. Le prime comunità cristiane sorte intorno agli apostoli non erano sempre i gruppi compatti e decisi che tendiamo a immaginare. Carrère ci legge gli scritti di Paolo, il Vangelo di Luca, l’Apocalisse di Giovanni con lo sguardo di chi sta indagando su un crimine ma che si accorge di condividere molto sia con le vittime sia con i carnefici. Non mancano le persecuzioni, i dettagli scabrosi (che erano nella quotidianità di molte comunità cristiane), ma anche le rivalità interne, i dibattiti teologici e i periodi di basso profilo nei minuscoli appartamenti di Roma o nelle grotte delle isole greche.
Emerge una splendida confusione, quella di gruppi senza punti di riferimento (se non dei capi, spesso lontanissimi) ma certi di una cosa: che nel Regno c’è spazio per tutti, specialmente per gli ultimi, per chi si contraddice, per chi sbaglia. Carrère fatica dalla prima all’ultima pagina a mandare giù il messaggio radicale del rivoluzionario che fu Gesù.
La fede di Carrère deve convivere con la vita quotidiana e con le convinzioni personali che emergono nel corso dei suoi tre anni di fede. Il vero protagonista è lui, con tutti i dubbi che lo divorano. Ma è proprio in questa lotta tra fede e ragione, tra misticismo e ironia, che Il Regno prende forma. Il libro non si limita a raccontare la storia delle origini cristiane, ma diventa testimonianza dell’identità occidentale, un’indagine filosofica su cosa significhi credere — o smettere di farlo. Carrère riflette non solo su Dio, ma sul linguaggio, sull’autenticità dei testi sacri, sul potere delle narrazioni che diventano verità collettive nonostante siano create da uomini imperfetti.
Il tono di Carrère oscilla costantemente: è dolce, sprezzante, colmo di fascinazione sincera, soprattutto mai falsamente modesto né irrispettoso; si sentono tutto il coinvolgimento profondo e l’empatia che ha provato nei suoi anni da credente, è come se parlasse di una vecchia fidanzata che ricorda con affetto. Il Regno è quindi anche un tentativo di restare connessi a quella domanda essenziale — «E se fosse vero?» — senza lasciarsi travolgere né dal fanatismo né dal disincanto.
Poco altro da aggiungere, troppo coinvolgimento. Il Regno è un’opera complessa e affascinante che sfida le convenzioni dei generi letterari e prende per mano. Carrère riesce a intrecciare storia, fede e autobiografia in un racconto che stimola la riflessione e coinvolge il lettore. È un’opera che merita di essere letta non solo per la sua ricostruzione storica, ma anche per la sua capacità di esplorare le sfumature della fede e del dubbio. Carrère ci offre uno specchio in cui possiamo riflettere sulle nostre convinzioni e sul nostro rapporto con la spiritualità. In una parola: un libro umano.
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