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Mediterraneo orientale

Quale può essere il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo?

La politica estera italiana non può prescindere dal suo cortile naturale: il Mediterraneo. Ma qual è il ruolo attuale del Belpaese nel mare (quasi) nostrum?

14 minuti di lettura

La posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo, protesa verso il continente africano del quale lambisce le coste e pivot naturale tra Gibilterra e Suez, dovrebbe già di per sé suggerire che la politica estera nazionale non può prescindere dal suo cortile naturale: il mare.

I fronti caldi che si affacciano sulle coste italiane/su questo cortile, sono rappresentati da teatri diversi ma con alcune caratteristiche comuni, per i quali lo stivale ha sempre rappresentato un interlocutore privilegiato: i balcani oltre l’Adriatico ed il nord Africa, in particolare Libia e Tunisia, al di là dello stretto di Sicilia.

Sicilia come porta italiana sul Mediterraneo

«Sicilia prima docuit maiores nostros quam praeclarum esset exteris gentibus imperare», ovvero «La Sicilia fu la prima a dimostrare ai nostri antenati quale nobile compito fosse dominare su popoli stranieri». Così scriveva Cicerone nel 70 a.C., riferendosi, probabilmente, ad una delle prime grandi guerre d’espansione che l’Impero romano dovette combattere, quella contro Cartagine per il controllo dell’isola e quindi delle rotte marine strategiche che passavano, e passano tutt’ora, al largo delle sue coste.

Successivamente, ed in ordine sparso, proprio da quest’isola gli Alleati decisero, prima ancora che in Normandia, di sbarcare durante la Seconda Guerra Mondiale. Garibaldi sbarcò a Marsala per unire l’Italia, protetto dalla Royal Navy che desiderava sottrarre alla marina borbonica il controllo sullo stretto di Sicilia, essenziale dal punto di vista commerciale e militare per proteggere la rotta tra Suez e Londra. Anche gli arabi, durante una fase di espansione, vi misero gli occhi e la governarono per circa tre secoli a cavallo tra il primo ed il secondo millennio.

Nave della Royal Navy britannica
Nave della Royal Navy Britannica

L’importanza strategica dell’Isola è quindi riemersa più e più volte nel corso dei secoli che separano il dominio romano sul mare (quasi) nostrum dall’attuale situazione, che vede la Sicilia ultima estensione dello Stato italiano in un bacino estremamente conteso, in cui la Pax Americana deve fare i conti con le pretese di turchi e russi, sempre più presenti in Tripolitania e Cirenaica, e quindi sempre più a ridosso dei confini italiani. Recentemente un gruppo navale russo, composto da sei mezzi anfibi, ha varcato Gibilterra e si è diretto verso il Mediterraneo orientale. Di per sé non si tratta di una minaccia significativa.

La presenza russa nel Mediterraneo

In questi giorni sono in corso delle esercitazioni congiunte tra Francia, Italia e U.S. Navy, che coinvolgono ben tre portaerei con i rispettivi gruppi di attacco, per una potenza complessiva ben superiore a quella russa ma, nel contesto della crisi in corso in Ucraina, si temeva la possibilità che la flottiglia russa potesse varcare i Dardanelli, posizionarsi in Crimea e contribuire nel caso di una escalation (sempre meno probabile). In ogni caso, risulta significativo sottolineare che era dai tempi dell’Unione Sovietica che non si vedeva un gruppo navale russo di simile portata nel Mediterraneo. Questo è anche il risultato dei punti di appoggio che Vladimir Putin ha saputo ottenere nei porti siriani come diretta conseguenza del sostegno ad Assad durante la guerra civile.

La via russa al Mediterraneo
La via russa al Mediterraneo

La presenza russa in quello che può essere definito un “medio oceano”, termine che fa riferimento al nuovo rango ricoperto dal Mediterraneo nello scacchiere internazionale a causa della rilevanza strategica e della caratura delle marine che vi operano, è appunto possibile grazie all’attivismo che le ha consentito di ricavare spazi di manovra laddove non ne aveva mai avuti.

Il caos libico

Anche in Libia si registra una forte presenza di mercenari legati al gruppo Wagner, longa manus dell’armata russa, e la possibilità di un altro porto russo nel Mediterraneo, questa volta affacciato direttamente sulle coste siciliane, potrebbe non essere così remota. La situazione libica continua ad essere quasi completamente fuori controllo.

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Le elezioni che dovevano tenersi lo scorso 24 dicembre sono state rimandate a data da destinarsi e, fra i 98 candidati (98!), si registravano nomi di ricercati per crimini contro l’umanità, latitanti, capi di milizie locali e discutibili uomini d’affari, non ultimo il premier attuale Abdul Hamid Mohammed Dbeibah. Altro attore presente in Libia con una certa libertà d’azione è la Turchia, che gioca la sua partita espansionistica con un difficile equilibrismo tra la NATO, alla quale appartiene almeno formalmente, la Russia, della quale è interlocutore privilegiato, e paesi mediterranei come Francia, Grecia, e Italia, ostili alla deriva neo-ottomana del presidente Recep Tayyp Erdogan, definito non per caso “dittatore” dal primo ministro italiano Mario Draghi. Sta di fatto che ora la Turchia potrebbe controllare entrambe le principali rotte migratorie verso l’Europa, aprendo e chiudendo a piacere i rubinetti usando decine di migliaia di migranti allo stremo come leva negoziale con l’UE.

La Turchia di Erdogan

Le ultime stime riferite al 2021 dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (IOM) parlano di circa 32.425 immigrati clandestini recuperati in mare e riportati in Libia, quasi il triplo rispetto all’anno precedente. Gli errori strategici, commessi sin dalla capitolazione di Gheddafi e durante l’ultimo decennio, sono ormai assodati e lo stato dell’arte sembrerebbe difficile da cambiare nel breve periodo, a meno che i turchi non passino il segno e vengano riportati a miti consigli da parte dell’amministrazione americana. Un esempio può essere certamente l’acquisto da parte turca di alcune batterie di sistemi antimissile s400, fiore all’occhiello della produzione militare russa. La conseguenza diretta è stata l’esclusione del paese, con veto del congresso, dal programma dei caccia di ultima generazione F35. In questo senso, le minacce di Trump all’economia turca e le sanzione dell’attuale amministrazione Biden in campo militare non devono certo essere piaciute al sultano di Ankara, che per ora procede spedito nel consolidare il ruolo che si è ritagliato.

Libia - Turchia
Libia – Turchia

La spartizione delle acque: Zone Economiche Esclusive

Alcuni problemi relativi al caos libico, ma legati anche al nuovo corso che sta prendendo forma in Algeria (dotata di sei sommergibili di fabbricazione russa), sono sorti relativamente al rispetto delle relative ZEE (Zona Economica Esclusiva) con lo stato maghrebino che si è spinto a lambire le coste sarde credendo, forse provocatoriamente, l’isola terra di nessuno e riguardo ai diritti di pesca. A proposito si ricordi il peschereccio di Mazara del Vallo ostaggio delle milizie libiche e rilasciato alla fine del 2020 dopo quasi cento giorni, e la contesa riguardo alla riserva di ripopolamento ittico del Mammellone.

In questo senso è bene segnalare che il parlamento italiano ha approvato una proposta di legge relativa proprio all’istituzione di una ZEE italiana lo scorso giugno, in risposta alle crescenti pressioni esterne.

La questione energetica

Vi è poi, certamente, l’aspetto legato alle risorse energetiche: mai come in questo periodo è chiara la necessità di diversificare il più possibile l’approvvigionamento nazionale per mettersi a riparo dalle bizze di Mosca. Al momento, Libia e Algeria rappresentano due partner fondamentali della politica energetica nazionale. Dipendere su due fronti da russi e turchi aprirebbe un fronte ingiocabile sia per Roma che per tutta l’UE .

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Dal punto di vista europeo, vi è una certa riluttanza a considerare la frontiera italiana come frontiera europea, e ad impegnarsi, di conseguenza, nel mantenerla stabile. Se da una parte, infatti, dopo alcuni periodi piuttosto travagliati dovuti a contrasti con Parigi che sembrano ora superabili alla luce del comune nemico insediatosi oltremare, da parte delle cancellerie centro e nord europee non traspare troppo interesse nel volersi impegnare concretamente per stabilizzare la zona. Almeno fino alla prossima crisi migratoria.

La marina italiana

Per capire un po’ meglio le prospettive dell’Italia in quello che dovrebbe essere il suo cortile naturale, il Mediterraneo, risulta utile riprendere una recente intervista rilasciata alla rivista di geopolitica Limes, dall’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ex capo di stato maggiore della Marina, che evidenzia alcuni punti controversi della politica estera italiana in campo marittimo: da un lato la riduzione del personale, che dovrebbe attestarsi intorno ai 25mila uomini dopo anni di forti tagli (la marina contava 36mila uomini arruolati nel 2007), dall’altro, episodi come la contestata vendita di due fregate Fremm all’Egitto, che potrebbe privare la Marina dei mezzi necessari ad operare contemporaneamente in teatri diversi. Oggetto di critica è stata anche la passività del governo italiano di fronte agli accordi stipulati da Leonardo e Fincantieri con il regime egiziano, non solo in ambito marittimo.

Cantiere navale Fincantieri
Cantiere navale Fincantieri

Il ruolo americano

Il contesto internazionale è cruciale nel valutare la partita mediterranea. In modo analogo a quanto accaduto per l’Europa orientale, dove gli Stati Uniti hanno appaltato il contenimento russo essenzialmente a Polonia, Romania e repubbliche baltiche, potrebbe accadere lo stesso nella sfera marittima. La Sesta flotta americana, con base a Napoli, resta la marina più forte e capace ad operare nella zona dello Stretto di Sicilia, ma neppure gli americani godono di risorse infinite. Washington, a partire dal 2009 circa, ha iniziato a spostare il proprio centro di gravità verso il Pacifico, in particolare nella zona compresa tra le coste cinesi, giapponesi e quelle di Formosa, drenando attenzione e risorse dagli altri contesti.

La Cina nel Mediterraneo

La presenza cinese nel Mediterraneo, che finora si è sempre limitata a brevi puntate esplorative, non preoccupa ancora, e le acquisizioni a livello portuale, che hanno fatto del Pireo, di Vado Ligure, Valencia e Marsiglia importanti avamposti commerciali, iniziano ad incontrare forti resistenze governative sulla scia di ciò che accade per le acquisizioni strategiche protette dal “Golden power”. Nonostante ciò, la rotta che passa da Gibilterra, lambisce Lampedusa, per poi attraversare Suez e Bab el Mandeb resta cruciale. Perdere mesi per doppiare il Capo di Buona Speranza non è un’opzione considerabile, militarmente ed anche dal punto di vista commerciale.

E l’Italia in questo teatro complesso?

Tirando le fila. I turchi non sono ad oggi un alleato affidabile, i greci sono momentaneamente alle prese con problemi di diversa natura. Restano i francesi, che però non entusiasmano gli ambienti americani quando parlano di difesa comune ed esercito europeo, ed infine l’Italia. Esiste la possibilità di presentarsi agli USA come attore regionale affidabile e con interessi convergenti: stabilizzare, per quanto possibile, i territori che si affacciano sull’Italia e mantenere gli stretti aperti alla navigazione. In cambio vi sarebbero alcuni dossier importanti sui quali la pressione di Washington farebbe la differenza: il caso Regeni è un esempio. Occuparsi del nostro cortile, il Mediterraneo, significa anche provare a gestire, e non subire, i flussi migratori e la politica energetica.

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

Pietro Regazzoni

Nato a Lecco tra lago e monti nel 1997. Studio economia interessandomi di mille altre cose. Amo passeggiare e immaginare il futuro.

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