Poche cose sono oscure come la salute e la mente. Nel suo capolavoro Il normale e il patologico (1943), il filosofo e storico francese George Canguilhem, ispiratore di Michel Foucault, riporta un’ironica storiella:
E tuttavia, quanto è doloroso e difficile obbedire a un medico che dice: riguardatevi! “Riguardarmi è facile a dirsi, ma io ho il mio daffare”, diceva durante una visita in ospedale una madre di famiglia […] Un “daffare” è l’eventualità del marito o del figlio malato, del paio di pantaloni strappati che bisogna aggiustare quando il bambino è a letto […] Risparmiarsi, che impresa, quando si viveva senza sapere a che ora si sarebbe mangiato […] La salute è un margine di tolleranza nei confronti delle infedeltà dell’ambiente.
Tesi forte, all’interno di una filosofia della medicina e della scienza di impianto vitalistico. Centrali sono, appunto, i concetti di normale e patologico. Dopo una critica all’impostazione positivista, il filosofo non rigetta ingenuamente l’idea che la polarità sia inesistente:
Al contrario, noi pensiamo che, per un vivente, il fatto di reagire con una malattia a una lesione, a un’infezione, a un’anarchia funzionale, esprima il fatto fondamentale che la vita non è indifferente alle condizioni nelle quali essa è possibile, che la vita è polarità e proprio per questo istituzione inconscia di norme; in breve, che la vita è di fatto un’attività normativa. […] È normativo, in senso stretto, ciò che istituisce delle norme.
Come si configura, dunque, la normalità? La normalità è conformità a una norma, stabilita su delle costanti. Il normale è quindi espressione di quella norma che, a sua volta, è però essa stessa frutto della normatività. «Il malato è malato perché può ammettere soltanto una norma. Per usare un’espressione di cui ci siamo già serviti, il malato non è anormale per assenza di norma, ma per incapacità di essere normativo».
Se la vita è istituzione di norme, ne consegue che l’anormalità non è tanto il semplice allontanamento dalla norma che si traduce in patologia, ma a sua volta sforzo di istituzione di nuove norme a seguito di modificazioni tali da presagire la catastrofe. Il libro, che meriterebbe una trattazione specifica, postula quindi che salute, guarigione, malattia, normalità e patologia, più che essere semplicemente relativi a un dato ambiente e a una data condizione, si configurano nell’ambito di quello sforzo del vivente di essere, nello stesso momento, aperto alle fluttuazioni (l’infedeltà ambientale, cioè il divenire) e capace di normatività. La questione non è la malleabilità o l’adattabilità totale, né l’abuso della parola “resilienza”: se «il patologico è una sorta di normale», cioè è anormale solo in relazione a una situazione…