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Cosa c’è da sapere sulla scarcerazione di Patrick Zaki

Non ancora assolto ma rilasciato dopo ventidue mesi di detenzione, Patrick Zaki può finalmente riabbracciare la sua famiglia. Ma la strada per riottenere la libertà è ancora lunga

9 minuti di lettura

Lo scorso 8 dicembre 2021 è finalmente arrivata la scarcerazione di Patrick Zaki, che ha riabbracciato i familiari dopo ventidue mesi di detenzione. Scarcerato, ma non assolto, dalle autorità giudiziarie egiziane, il suo presente ora è meno insostenibile dei quasi due anni in cui è stato costretto dietro le sbarre delle invivibili carceri di Tora e di Mansura, ma al suo futuro non è ancora garantita la libertà.

La conclusione della prima udienza del processo, che si è tenuta il 7 dicembre dopo mesi e mesi di rinvii, è stata la concessione a Patrick Zaki di lasciare le quattro mura della prigione egiziana e ad aspettarlo fuori dal carcere c’era la famiglia. Il suo primo tweet è stato «Libertà, libertà, libertà» e in collegamento a Che tempo che fa, Zaki sorride e ribadisce a più riprese la sua gioia, ma anche l’incredulità che ha provato mentre gli toglievano le manette e saliva in auto per rientrare a casa.

La mobilitazione per la scarcerazione di Zaki

Non solo la pressione della società civile a livello internazionale e soprattutto dall’Italia, ma anche la serie di incontri tra la Farnesina e il Ministero degli Esteri egiziano dell’ultimo periodo hanno permesso la scarcerazione di Zaki come esito inaspettato della prima udienza.

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Se i contenuti specifici del dialogo istituzionale e diplomatico tra i due governi non sono accessibili, le iniziative a sostegno della causa di Zaki non solo si sono ovviamente svolte alla luce del sole, ma hanno anche avuto grande eco in Italia e all’estero. Il primo di numerosi flash mob e manifestazioni veniva organizzato a Bologna il 9 febbraio 2020, mentre a livello UE era stato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli a sollecitarne il rilascio nei giorni appena successivi all’arresto. In seguito una fascia sempre più ampia di popolazione italiana ha preso a cuore la questione e ha proposto ripetutamente, anche attraverso petizioni, l’opzione del conferimento della cittadinanza italiana.

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Le accuse e l’arresto

Al momento del suo arresto all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio 2020, sulla base di un mandato di cattura emesso nel settembre 2019, Patrick Zaki era un attivista della ONG Egyptian Initiative for Personal Rights e uno studente iscritto al master in Studi sulla parità di genere all’Alma Mater di Bologna. Ad oggi, quasi due anni dopo, i capi d’accusa che pendono sul giovane detenuto politico sono quelli di istigazione alla violenza e alle proteste, diffusione di notizie false e sovversive, in cui figurano dei presunti post pubblicati da Zaki sui suoi profili social e un articolo del 2019 riguardo la condizione della minoranza cristiana copta in Egitto a cui lui stesso appartiene, e terrorismo.

Tra il 7 febbraio, quando Zaki volava in Egitto per una vacanza dalla famiglia, e l’8 febbraio, data in cui l’arresto veniva formalizzato e l’accusato trasferito in cella, sono trascorse ore in cui è stato sequestrato e torturato con percosse ed elettroshock dalla National Security Agency, cioè i servizi segreti egiziani.

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Le astuzie di cui il sistema giudiziario egiziano si è successivamente servito per mantenere in stato di detenzione il giovane per quasi due anni senza una sentenza di condanna sono stati l’arresto preventivo, per i primi 150 giorni, e successivamente il rinnovamento della reclusione preventiva ogni 45 giorni fino all’udienza del 7 dicembre. Seppur asmatico e rinchiuso in celle sovraffollate e dalle condizioni igieniche indicibili, Zaki è riuscito a sopravvivere a questo e all’isolamento dai suoi cari, dei quali gli è stato concesso di ricevere la prima visita soltanto cinque mesi dopo l’inizio della sua detenzione.

La macchina di repressione egiziana

Le violenze e le ingiustizie subite da Patrick Zaki non sono episodi isolati nell’Egitto di Abdel Fattah Al-Sisi. Dal 2013, anno in cui l’attuale presidente si è posto alla guida di un colpo di stato militare e ha instaurato il suo regime, i diritti umani nel paese sono sistematicamente violati in un’ottica di repressione del dissenso. Condanne a morte, torture e sparizioni sono alquanto diffuse e affidate all’NSA, Agenzia di Sicurezza Nazionale che si configura come polizia di un regime autoritario. Accanto all’impiego di questa forza esecutiva, il presidente egiziano si è dotato degli strumenti giuridici per l’attuazione della repressione: nel 2015 è stata emanata una legge antiterrorismo in cui il significato del termine “terrorismo” viene esteso a una moltitudine di azioni che rientrano nell’esercizio dei diritti e delle libertà degli individui – proprio Patrick Zaki, attivista, è infatti imputato di un simile capo d’accusa – e dal 2017 fino all’ottobre 2021 è rimasto in vigore lo stato d’emergenza. Queste misure, messe in atto anche di fronte al crescente numero di attacchi terroristici di matrice fondamentalista tra il 2014 e il 2018, hanno reso possibile perquisizioni in casa, arresti e ricorso a tribunali speciali di cui il regime non ha esitato ad abusare. Basti pensare che secondo il Committee to Protect Journalists l’Egitto è il terzo paese al mondo per numero di giornalisti in reclusione, dopo Cina e Turchia.

Abdel Fattah Al-Sisi

A costituire un altro e fondamentale ingranaggio della macchina di repressione del dissenso egiziana è la Sssp, la Procura Suprema per la Sicurezza dello Stato, che lavora a strettissimo contatto con la NSA e si occupa di indagare specificamente i reati che si presumono essere fattori di pericolo per la sicurezza pubblica. La NSA svolge indagini indipendenti oppure commissionate dalla Sssp, quest’ultima incrimina, emette il mandato d’arresto, che l’NSA esegue, e sottopone a processi in tribunali speciali gli imputati. Non solo effettivi atti terroristici, ma anche riunioni, scioperi e qualsiasi tipo di manifestazione ed espressione di opinioni non accettate dal governo sono materia di competenza della Sssp.

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Questo il difficile clima in cui le vicende del coraggioso attivista sono destinate a evolversi. La prossima udienza è prevista per il 1 febbraio 2022 e Patrick Zaki, pur ripetendo quanto siano travolgenti la voglia e l’impazienza di tornare in Italia, nella sua Bologna, probabilmente rimarrà in Egitto fino a quel momento.

La pace per ora non è stata raggiunta, ma una tregua nella battaglia contro l’ingiustizia della detenzione arbitraria e crudele è stata ottenuta. Grazie alla scarcerazione, ora Patrick Zaki dorme a casa della sua famiglia e abbraccia la madre, anziché resistere nella solitudine di una cella sovraffollata.

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Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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