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Siamo tutti Charlie…
finché non tocca a noi

6 minuti di lettura

je suis charlie

Il 7 gennaio 2015, giorno del tragico attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo che provocò dodici morti e undici feriti, l’Europa intera si strinse intorno alla Francia e alla città di Parigi, rivendicando con forza  un diritto, quello della libertà di espressione. Nell’opinione generale, infatti, i terroristi che avevano fatto irruzione nella sede del giornale al numero 10 di rue Nicolas-Appert erano degli incivili, rei di aver reagito barbaramente a delle vignette che insultavano la religione musulmana e i suoi fedeli.

Insomma, erano dei fondamentalisti, delle teste calde, persone inferiori che non riuscivano a capire che in fondo si trattava solo di satira, non c’era da prendersela, dopotutto la Francia è un paese libero, l’Europa è libera e se a loro non piace sono altrettanto liberi di tornarsene in Liberia.

L’europeo medio invece, dotato di una mente superiore, illuminata, le cui decisioni vengono guidate dal raziocinio, non si sarebbe certo offeso per delle innocue vignette. O almeno questo è quello che c’è piaciuto pensare.

Così come ormai accade sempre più spesso, allora il pubblico italiano, soprattutto attraverso i social network, si esprimeva in giudizi telecomandati, non suoi, spartendo il mondo in giusto e sbagliato, in buoni e in cattivi, in bianchi e neri. Giustificando da una parte e condannando dall’altra. Ma tutto questo senza aver mai vissuto una situazione con cui confrontare ciò che era successo, quindi di fatto basando la sua “opinione” sulle imboccate dei media, schierati quasi all’unanimità dalla parte dei vignettisti, e del sentire comune, della massa, che, purtroppo però, comprende anche molti analfabeti funzionali.

Qua e là qualche voce ha provato, con vari gradi di asprezza e sfidando le sassate degli utenti che sfoggiavano matite spezzate in copertina, a soppesare anche le responsabilità delle vignette di Charlie Hebdo, giudicandole quantomeno di pessimo gusto e poco lungimiranti. Ma è stata travolta dagli slogan, dalle foto di Voltaire e dagli hashtag #JesuisCharlie.

hebdo

Ma ora che la libera ironia di Charlie ha colpito anche noi, forse assisteremo a un’inversione di tendenza. Forse ora qualche matita la si spezzerà pure qui. Perché gli eroi difensori della libertà di Charlie Hebdo ci hanno regalato la tristissima opportunità di confrontarci con quei musulmani emarginati nelle banlieue e punzecchiati da vignette utili e intelligenti. Di metterci nei panni di chi vive un momento o una condizione di difficoltà e si vede aggiungere la beffa al danno.

Perché mentre ad Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto ancora si scava, ancora si piange, ancora si cerca un perché, e mentre gli Italiani si stringono attorno al ventre devastato della loro Italia, quei simpatici burloni di Charlie Hebdo hanno pensato di rivendicare la loro libertà di espressione invitandoci a un pranzo dal menù tutto particolare. La vignetta, dal titolo Sisma all’italiana, si commenta da sola. Apparsa sul numero del 31 agosto, è una delle vignette disegnate nell’ultima pagina del periodico, tradizionalmente intitolata “Le altre possibili copertine”. Nella stessa pagina compare anche un’elegantissima battuta, che recita: «Non si sa se il terremoto abbia urlato Allah U Akbar prima di colpire».

Ora, viene da chiedersi cosa abbia spinto così in basso questi eroici paladini della libertà per disegnare degli italiani ammassati tra strati di pasta al sugo invece di spendere due parole di cordoglio. O semplicemente tenere la bocca chiusa e la matita a freno. Viene da chiedersi se non ci siano dei limiti che non la legge, ma quantomeno la decenza e il rispetto per le vite umane non possano imporre a questo tipo di humor. Viene da chiedersi in che modo sia d’aiuto ai parenti delle vittime immaginare i loro cari come ripieno delle lasagne.

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Fonte: Labadessa, Facebook

Ma più che altro viene da chiedersi quale differenza ci sia tra le vignette contro i musulmani e questa ridicolizzazione della nostra catastrofe. La verità è che non c’è nessuna differenza. La verità è che Charlie Hebdo faceva, fa e continuerà a fare questo tipo di satira e, ora che a essere scottati siamo stati noi, ce ne stiamo accorgendo. Sicuramente molti si sentiranno offesi, delusi, ma soprattutto traditi, da quel Charlie Hebdo al quale avevano espresso la loro profonda vicinanza telematica a suon di hashtag. Era comodo rivendicare la libertà di satira quando a subirla erano altri, inneggiare a Voltaire e sentirsi superiori rispetto a un branco di terroristi islamici.

Lungi dall’inneggiare a un nuovo assalto alla sede del giornale, ecco come ci si sente a essere vittime dell’innocua satira. Questa volta difficilmente sentiremo riecheggiare «Je suis Charlie».

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Yuri Cascasi

Nato nel 1991, laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università degli Studi di Milano. Molte passioni si dividono il mio tempo, ma nessuna riesce a imporsi sulle altre. Su di me, invece, ci riescono benissimo.

2 Comments

  1. […] Il 7 gennaio 2015, giorno del tragico attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo che provocò dodici morti e undici feriti, l’Europa intera si strinse intorno alla Francia e alla città di Parigi, rivendicando con forza un diritto, quello della libertà di espressione. Nell’opinione generale, infatti, i terroristi che avevano fatto irruzione nella sede del giornale al numero 10 di rue Nicolas-Appert erano degli incivili, rei di aver reagito barbaramente a delle vignette che insultavano la religione musulmana e i suoi fedeli. L’europeo medio invece, dotato di una mente superiore, illuminata, le cui decisioni vengono guidate dal raziocinio, non si sarebbe certo offeso per delle innocue vignette. O almeno questo è quello che c’è piaciuto pensare. Continua a leggere… […]

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