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La sinistra in Italia è morta

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Sostenere, oggi, che la sinistra sia morta può sembrare paradossale«Ma come – si dirà – da poco è nata Sinistra Italiana, la Leopolda si è appena conclusa, nel weekend hanno avuto luogo le convention della minoranza PD e di Possibile!». Appunto.

All’apparenza sono giorni di grande fermento nel vasto e talvolta ridicolo campo della sinistra all’amatriciana. Eppure, ad oggi, i medici non possono che accertarne la morte, giunta dopo una pluri-decennale agonia. Si è tentato l’accanimento terapeutico, ma questo non ha prodotto altro risultato se non aggravarne ulteriormente le già fragili condizioni di salute. Sue, e di chi, un tempo, da essa veniva rappresentato.

Risalire storicamente al momento preciso in cui il virus si è (o è stato) inoculato nel corpo del paziente qui in esame non è facile e, per ogni proposta di datazione avanzata, sarebbero già pronte a innalzarsi innumerevoli altre interpretazioni. Se il momento di avvio della degenerazione è incerto, tuttavia non altrettanto si può dire dei sintomi: essi sono evidentissimi anche oggi, quando il corpo esanime della sinistra italiana è ancora caldo. Radicalchicchismo, innanzitutto. Autoreferenzialità a seguire. Chiude il quadro una totale incapacità di leggere la società italiana e i suoi cambiamenti.

Partendo da quest’ultimo punto, l’operaio oggi, se vota, vota prevalentemente Lega, Movimento 5 Stelle o Forza Italia, schieramenti politici che di sinistra, così come comunemente intesa, non hanno un bel niente. Lo stesso si può dire per quei 4 milioni e 102 mila italiani che, nel 2014, erano in condizioni di povertà assoluta (stando al report pubblicato dall’Istat il 15 luglio 2015). Insomma gli strati sociali più bassi, storicamente coloro i quali in epoche ormai lontane sarebbero stati rappresentati dalle forze di sinistra, oggi non si riconoscono più in esse e o disertano le urne, o votano altre forze ideologicamente contrapposte, se non addirittura opposte.

Chi milita nelle principali forze di sinistra, invece, proviene principalmente dal ceto medio-alto: giornalisti, avvocati, medici, insegnanti, lavoratori nel pubblico impiego, qualche lavoratore dipendente, qualche lavoratore autonomo e, soprattutto nel Partito Democratico a trazione renziana, anche banchieri e imprenditori. Quindi persone benestanti, se non addirittura ricche.

Con la morte del Pci e la nascita del Pds prima, dei Ds poi e infine, dopo la fusione con gli ex-popolari della Margherita e qualche reduce socialista, con la nascita del Partito Democratico, il campo maggioritario della sinistra si è spostato sempre più a destra, si è allontanato sempre più dai lavoratori e ha iniziato a parlare una lingua diversa da quella parlata dai ceti più bassi. È in questa fase convulsa che la sinistra si è ammalata di radicalchicchismo, cancro tuttavia condiviso con le forze di sinistra-sinistra. Emblematici di questa transizione sono Massimo D’Alema e Fausto Bertinotti. Di pari passo, si è sviluppato anche il morbo dell’autoreferenzialità: parlare di se stessi a se stessi. Insomma, la perdita di ogni rappresentatività.

Nelle ultime ore di vita della sinistra italiana, queste contraddizioni sono esplose. Il Partito Democratico ha abbracciato politiche nettamente di destra e, alla sua sinistra, rimangono solo macerie. Quale credibilità hanno Possibile o Sinistra Italiana, per non parlare di Rifondazione Comunista e via dicendo? Chi rappresentano? Oltre a se stessi, beninteso. Ma davvero costoro possono farsi portavoce delle istanze delle classi subalterne, senza sembrare ridicoli? Davvero le classi subalterne stanno aspettando il Fassina o il Civati di turno con cui lottare per il riscatto sociale?

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Le fasce più basse della popolazione non sono più quelle di una volta. Sono cambiate, radicalmente. Il lavoratore sfruttato, oggi, non legge la versione semplificata de Il capitale di Marx, ma guarda il Grande Fratello, legge – se legge – riviste scandalistiche, parla di calcio e di figa. Non sa scrivere fluentemente, non parla certo l’italiano letterario. La sinistra, anziché trattare con disprezzo il nuovo nazional-popolare, scagliarsi contro la televisione rinchiudendosi in cima alla torre d’avorio dalla quale si sente nella posizione di «dare a tutti il consiglio giusto», dovrebbe forse interrogarsi su come è cambiato il mondo negli ultimi anni e ricominciare a sporcarsi le mani. Analisi e azione, insomma.

Per farlo, dovrebbe abbandonare i salotti televisivi e tuffarsi nel cosiddetto “paese reale”. Non deridere, ma comprendere. Non trattare il famoso “italiano medio” come una bestia sottosviluppata, ma dialogarci, capire quali sono i suoi problemi, le sue istanze, i suoi bisogni concreti, senza paternalismo. E ovviamente questo deve essere fatto da persone nuove, provenienti dal contesto che vogliono rappresentare, con un orizzonte ideale/ideologico chiaro e senza guardare i sondaggi.

Solo così, forse, la sinistra può sperare un giorno di risorgere.

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Michele Castelnovo

Classe 1992. Laureato in Filosofia. Giornalista pubblicista. Direttore di Frammenti Rivista e del suo network. Creator di Trekking Lecco. La mia vita è un pendolo che oscilla quotidianamente tra Lecco e Milano. Vedo gente, scrivo cose. Soprattutto, mi prendo terribilmente poco sul serio.

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