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Il sogno nella Grecia antica: tra morte, dèi e follia

Qual era il rapporto degli antichi greci con il mondo onirico?

11 minuti di lettura

Il sogno, nell’antica Grecia, è rappresentato da Hypnos: un essere alato che trasporta la nostra mente nei suoi viaggi notturni, un’esperienza della vita umana che accomuna tutti noi. Chi non si è mai svegliato trascorrendo buona parte dei rituali mattutini in un limbo, fissando stordito il soffitto o la propria immagine riflessa nello specchio, oscillando tra la speranza di recuperare ogni frammento di quel che si è vissuto nel mondo onirico e tra il desiderio di dimenticare al più presto quanto sognato? Si tratta di un mondo che riesce sempre a sorprenderci con le sue creazioni, talvolta non senza un po’ di turbamento e sensazione di “non detto”. Eppure, non possiamo negare di esserne incredibilmente affascinati, forse proprio per l’incapacità di controllarlo. Per molto tempo, l’uomo si è interrogato su questo momento incredibilmente variabile nelle sue realizzazioni, durante il quale si è spesso spettatori passivi della propria immagine.

Le discussioni sul mondo dei sogni e sulla loro interpretazione risalgono al momento in cui l’essere umano ha iniziato a percepirsi come tale e a sviluppare l’idea dell’esistenza di un “qualcosa d’altro” che andava al di là del tangibile. Difatti, come si sarebbe potuta spiegare altrimenti l’esperienza onirica tanto svincolata da ogni apparente logica e “corporeità”? Gli antichi si sono impegnati nel cercare di comprendere cosa fossero i sogni, di quali significati si facessero portatori o, ancora prima, di dove fosse quel che oggi definiremmo “coscienza” durante il sonno. Svariati sono stati i tentativi di fornire una risposta e dare una forma ad un qualcosa di intrinsecamente complesso, al punto che, nell’antica Grecia, si giunse con il tempo ad una vera e propria catalogazione dei sogni in differenti categorie e allo sviluppo della disciplina dell’Onirocritica. Nonostante il riconoscimento di diverse tipologie oniriche, una caratteristica accomuna tutte le svariate rappresentazioni del sogno antico: si tratta dell’alterità, ovvero, la percezione di una condizione liminale dell’essere umano durante questo momento.

Ma perché “altro”? Una condizione liminare rispetto a cosa? Qui si apre un discorso interessante. L’esperienza è percepita come distante dal vissuto, in quanto, essendo addormentati, non è attiva la nostra parte più razionale, più specificamente la nostra parte umana. L’anima del sognatore, se di “anima” si può parlare in una società in cui questo concetto è ancora in fase di formazione, è sopita, momentaneamente in stand by, sopraffatta dalla potenza di forze estranee. Sono forze primordiali, quelle che si impossessano dell’uomo durante la fase del sonno, forze che vengono fatte risalire all’origine stessa dell’Universo e che da Esiodo sono collocate prima della venuta del kósmos (ordine) divino. In effetti, la schiera dei sogni è generata dalla Notte, l’elemento caotico per eccellenza, un momento in cui i contorni del reale divengono sfumati ed assumono delle sembianze inquietanti. Il sonno è il regno dell’irrazionale, una realtà (o meglio dire non-realtà) composta da mostri e da Thanatos, la morte.

E cos’è il sonno per i Greci, se non una morte temporanea dell’individuo? Tutto della persona addormentata ricorda un corpo senza vita, dalla posizione alla (momentanea) assenza di una psyché, della parte senziente e ragionante dell’individuo.

«Shake off this downy sleep, death’s counterfeit […]» diceva William Shakespeare (Macbeth, II, 3, 76-77), il quale era particolarmente affascinato ed influenzato dall’immaginario antico. Il ciclo della vita umana, scandito nel suo ritmo dell’alternarsi tra veglia e sonno, viene percepito come una continua oscillazione tra coscienza ed incoscienza, tra mondo dei vivi e una fase dell’esistenza a sé stante, incredibilmente vicina alla non-vita; se per vita si intendono le esperienze vissute dall’essere umano senziente e che ha (più o meno) perfetta cognizione di quanto avviene attorno a esso.

Questo stretto legame che unisce Hypnos e Thanatos ha fatto in modo che i Greci più volte vedessero nel momento del sonno, durante il quale l’uomo (la cui condizione distintiva è la vita) è non-uomo, una condizione ideale per la comunicazione con chi non era più vivo. In un mondo in cui sulla mente umana cala il sipario e le regole della veglia non sono valide, ecco che si fa strada l’assurdo, l’incredibile, il meraviglioso. È proprio nel momento del sonno che Achille vede Patroclo morto (Iliade, XXIII), ci parla e tenta di abbracciarlo; tuttavia, per via della natura contorta del sogno, al tentativo di contatto, l’immagine svanisce e si ristabiliscono gli equilibri, temporaneamente rotti dal momento onirico.

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Ma il sogno non è solo morte, è anche inno alla vita, dominio degli dei, tanto irraggiungibili per gli esseri umani quanto lo sono i morti. Tuttavia, in questa irraggiungibilità, il sogno può creare uno spiraglio e dar modo ai numi di comunicare con i mortali. Non che una conversazione non possa avvenire in altre condizioni, ma, forse per l’aura di alterità e mistero che circonda i sogni, molto spesso essi vengono eletti a tramiti con il mondo umano. Il sogno può essere plasmato in infiniti modi, con il fine ultimo di generare gli scenari più adatti allo scopo, i personaggi che hanno più possibilità di fare breccia nell’interiorità del sognatore e portare l’individuo a compiere la volontà divina. E allora ecco che Penelope viene confortata dall’immagine della sorella Iftime, Nausicaa è spronata da Atena nei panni di una sua compagna di confidenze e Agamennone consigliato da un ombroso Nestore. Confortati ed ingannati.

Fatto curioso e ancora più interessante è che tutte queste conversazioni avvengono secondo un modulo cosiddetto “teatrale”, uno schema ripetitivo e quasi da copione: un’immagine si palesa di fronte al sognatore, il quale però rimane come paralizzato di fronte al panorama onirico. Vede, sente ma non può parlare o toccare la propria visione perché gli risulta impossibile interagire attivamente con il proprio “interlocutore”, sebbene questo termine richieda un dialogo per poter esistere. Anzi, si può dire che la comunicazione avviene verso un’unica direzione (da apparizione a spettatore) e, anche se vi è una risposta, è come se proprio per l’alterità e l’anormalità del limbo del sonno i due piani fossero impossibilitati a comunicare, troppo diversi per avere un punto di contatto: il sogno “parla”, il dormiente tace.

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Tutto secondo i piani, tutto nella norma, se non per un piccolo dettaglio: un monito era sempre rivolto agli uomini, ovvero quello di diffidare dai propri sogni. Come mai diffidarne? Perché ineffabili, fallaci nel loro essere costruiti da false immagini (in quanto subite dall’uomo in una non-realtà) e separati dalla vita umana da un confine labile, eppure incredibilmente consistente. Il loro appartenere alla sfera della negazione del reale ed essere al contempo parte integrante della quotidianità di ogni persona, crea un vero cortocircuito nel sistema. Credere o non credere? Ascoltare o non prestare ascolto? Questi sono i dubbi che il sogno instilla nella mente dell’uomo, lasciato a sé stesso e portato spesso a sbagliare per la natura poliforme del sogno, che si configura come ricettacolo di esperienze soprannaturali, specchio delle emozioni umane e passaggio per un altro mondo. Hypnos “come un soffio di vento” (per citare Odissea, VI) leggero ed inconsistente, entra ed esce dalle porte della mente, sconvolgendo l’esistenza umana nella sua pur effimera durata.

Riferimenti bibliografici
Le citazioni provenienti dai poemi omerici prendono come testi di riferimento le edizioni di Iliade e Odissea a cura di F. Codino e R. Calzecchi Onesti (Einaudi, 2014). A questo proposito: Scene oniriche nei poemi omerici, Brillante, in «Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici» 24, 1990, pp. 31 – 46 (si trova facilmente online). Per una panoramica sul sogno nella Grecia antica: Il compagno dell’anima, Guidorizzi (Cortina, 2013) e Studi sull’interpretazione del sogno nella Grecia antica, Brillante (Sellerio, 1991). Sull’onirocritica: Il libro dei sogni, Artemidoro, a cura di D. Del Corno, (Adelphi, 1975 e ristampe); mentre sulla follia del sogno: I Greci e l’irrazionale, E. Dodds (prima edizione italiana 1959; si fa riferimento a Rizzoli BUR, 2009 e ristampe).

Eleonora Bonacina

Sognatrice disillusa, classe 2000. Proveniente dalla leggendaria Domodossola e milanese acquisita, sono attualmente una studentessa magistrale in Filologia, Letterature e Storia dell’Antichità. Appassionata da tutto ciò che ha una storia da raccontare - con un fetish per il curioso e l’assurdo - e nerd occasionale, vivo per i piccoli istanti rubati, facendo finta di giocare a pallavolo tra un libro e l’altro.

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