Proprio quando l’arte audiovisiva di stampo commerciale sembrava ormai irrimediabilmente incatenata ad una mera riproposizione di immaginari precostituiti in studi prefabbriccati, un piccolo team di 145 animatori ha presentato al mondo un gioiellino talmente curato da mostrare un nuovo modo di integrare diversi media, pur sempre derivativi e citazionistici, con le vaste possibilità dal cinema. Un metodo ed una forma che crescono però nel suo contenuto, moderno e contemporaneo, ritmato e iconico.
Stiamo parlando del cinefumetto Spider man: un nuovo universo. Tutto iniziò con un misero budget di 90 milioni di dollari e una singola clip di dieci secondi. Studiata, architettata e manipolata da un animatore affinché in essa potessero coesistere le molteplici realtà che definiscono lo stile unico di quest’opera d’animazione. Da lì un team, 145 animatori dicevamo, ha iniziato a lavorare per stratificare, sfilacciare, avviluppare tra loro tecniche e modi per raccontare ancora una volta una storia come tante, quella di un ragazzo di periferia in cerca di se stesso. Miles, questo il suo nome, Miles Morales. Adolescente di Brooklyn la cui vita cambierà per sempre con il morso di un ragno.
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Ecco però che Spider man: un nuovo universo sa che in un mondo viziato dai supereroi, fumettistici, cinematografici, seriali, televisivi, non può esserci curiosità per l’ennesima storia sulle origini di un ragazzino mascherato. Entra quindi in gioco il carattere quantistico, scientifico e nerd come nelle storie Marvel anni ’60. Ci dice che di Miles, ovvero di Spider man, ci sono decine di altre versioni. Qui e là nella vasta e infinita rete del multiverso. Allora Spider man: un nuovo universo cambia volto, forma, e non si fa più canonica storia di formazione sul passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, o meglio, non può proprio esserlo. Perché in un mondo di quasi otto miliardi di individui non può più essere credibile immaginare di essere l’unica versione possibile dei propri desideri, che quindi la propria dimensione egoica inizi e finisca in noi, anche quando questa appare straordinaria come il morso di un ragno geneticamente modificato.
Allora molti Spider man, molte versioni di una stessa visione, moltiplicata come in una critica ad un mondo che riproduce se stesso all’infinito, ma anche in un’ode alla diversità nei suoi modi di applicarsi all’identità, di genere, di arte, di luogo.
Lì dove Avengers Infinity War proponeva l’apocalittica e profetica lotta di un mondo che essendo copia del nostro è anch’esso irrimediabilmente sovrappopolato, Spider man: un nuovo universo rallenta e non proponendo la stessa drastica soluzione si rivela maggiormente complesso, studiato; fondamentale.
Sono il solo e unico Spider Man, o almeno lo pensavo
Appare quindi chiaro come sia impossibile rivolgersi a Spider man: un nuovo universo con uno sguardo esclusivamente estetico e tecnico. Il comparto visivo è infatti quello che, anche giustamente, ha attirato di più l’attenzione del pubblico e della critica, spesso perdendo però di vista l’inscindibile legame che le numerose innovazioni tecniche riescono a siglare con l’altrettanto importante narrazione.
Facile sarebbe infatti limitarsi ad elencare le molteplici innovazioni che il team di Bob Persichetti è riuscito ad attuare nel campo dell’animazione, tra cui l’attenta commistione di tecnica 2d e 3d in un preciso immaginario, così come la perfetta integrazione della granulosità del fumetto nell’immagine in movimento, perdendo però tutto quel che, al di là di ciò che appare, lo rende un qualcosa in più di un semplice virtuoso gioco di stile.
Perché se da un lato l’analisi tecnica è senza dubbio quella che potrebbe donare maggiori spunti e soddisfazioni, è anche nel lavoro di Phil Lord e Christopher Miller, già sceneggiatori di the LEGO movie, e con un passato da animatori, che Spider man: un nuovo universo si erge non solo ad ottimo lavoro d’animazione, ma a riformatore dell’intero concetto di cine-fumetto.
Potremmo in qualche modo concepire in Spiderman: un nuovo universo la massima, e forse l’unica, vera, espressione realizzata del cinefumetto, posto in scena in un connubio tra racconto e rappresentazione. Forte soprattutto di un’idea precisa sul concetto di eroe e possibilità registica offerta da dei poteri, così come non lo era dallo Spider man di Sam Raimi.
Ma quel quid che tanto emoziona durante la visione non giunge solo dall’immagine, ma anche dalla parola, dal testo scritto che proprio come accade nel fumetto si integra nelle scene attraverso un gioco alternato di significati e significanti, avvicendando il codice grafico in scritte che appaiono sulla pellicola, a volte didascaliche, a volte onomatopeiche.
Il gioco di commistione tra i media, permesso soprattutto dall’utilizzo dell’animazione come tecnica posta in punta di piedi sui confini di più arti, si realizza così in ogni sua possibilità, permettendo allo spettatore di seguire con interesse ogni singola inquadratura come portatrice di un senso proprio. Ad ogni personaggio un suo stile, spesso talmente diverso da lasciar sorpresi di quanto splendidamente questi riescano ad amalgamarsi in una stessa inquadratura in cui non di rado si vedrà stile anime, fumettistico e noir comunicare tra loro. Sullo sfondo una New York mastodontica, sfumata da una aberrazione cromatica che mischia splendidamente i colori, possente quanto le spalle di quel villain, Kingping, talmente grande da coprire in un effetto volè l’intero schermo.
Il gioco della ricerca alla citazione, spesso comunque esercitato, si fa più nobile, costruito affinché ogni livello dell’immagine racconti il carattere dell’ambiente, dell’atmosfera, della realtà, in cui Miles Morales, giovanissimo Spidey alle prime armi, si specchia e riflette come perfetto prodotto del suo tempo, o ancor meglio, del nostro.
Un film completo, distante da quella frammentarietà che negli anni ha portato i cinecomics, come molti altri generi commerciali, ad una sorta di serialità cinematografia. Dall’incipit, allo sviluppo, sino alla conclusione, Spiderman: un nuovo universo mantiene ben salda una totalità, senza seminare troppi buchi congegnati affinché ci si possa inserire in futuro qualche sequel prontamente esplicativo. Un’unità declinata affinché il film sia godibile per ciò che è, e non per ciò che potrebbe, semmai, in futuro, diventare.
L’idea di creare un film sulle origini che sia però allo stesso tempo corale è stata forse la più efficace, nonché quella meglio sviluppata. Una polifonia di situazioni comico-epiche in cui molteplici personaggi interagiscono tra loro in un insieme splendidamente accordato, in cui personaggi ridotti alla macchiettismo faticano a stonare il lavoro d’approfondimento di Miles e Peter. Essendo infatti i vari comprimari versioni differenti di uno stesso concetto, ovvero Spider man, ognuno di esso riesce a vivere di una luce riflessa che è il vero centro indiscutibile. Il concetto alla base è così l’essere Spider man, ovvero essere ciò a cui siamo chiamati. Diventare in qualche modo ciò che siamo, senza l’obbligo di doversi però piegare ad una visione sociale di esso.
Meno propaganda sullo stare al proprio posto per un bene comune (visione cara a Disney e al suo Ralph spacca tutto) e più libertà da borghi newyorkesi schiacciati da quella giungla di vetri e neon che tanto sembra simboleggiare un mondo senza più spazi aperti.