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Tra storia e natura: le tesi sul clima di Dipesh Chakrabarty

È possibile articolare le storie della terra, della vita e della industrializzazione entro un modello complesso in grado di mostrare come si intersecano e modificano il nostro modo di pensare la disciplina storica stessa?

12 minuti di lettura

Nel suo The Climate of History: Four Theses[i], lo storico indiano Dipesh Chakrabarty propone una rilettura in chiave storiografica dell’Antropocene al fine di pensare una concezione della storia capace di confrontarsi con le rotture – teoriche, epistemologiche e pratiche – che questa nuova epoca geologica produce nella nostra comprensione della realtà[ii]. Si tratta, sostiene Chakrabarty, di registrare le implicazioni relative a come noi «pensiamo la storia umana»[iii] che discendono dal verificarsi di fenomeni complessi quali il cambiamento climatico antropogenico e, come detto, dal profilarsi nella storia della Terra di una nuova epoca geologica. La tesi che apre l’articolo in questione, a detta dello stesso Chakrabarty[iv], è la più fondamentale delle quattro e indica il problema che vorremmo affrontare: il collasso della distinzione fra storia umana e storia naturale. Le restanti tre ne sviluppano le implicazioni. 

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Ciò che caratterizza l’umanità nell’Antropocene è il fatto che essa detenga una «potenza geologica»[v]. Perciò, se la portata della sua azione – pari a quella di altre forze geologiche come gli eventi di glaciazione, le eruzioni vulcaniche, gli slittamenti delle placche tettoniche e così via – può alterare nel suo complesso l’equilibrio del pianeta, allora l’idea di una separazione tra storia umana e storia naturale viene messa in crisi. Tale divisione, alla base della pratica storiografica così come l’ha intesa la modernità occidentale, secondo Chakrabarty non sarebbe più in grado di rendere ragione della «congiuntura planetaria in cui si trova oggi l’umanità»[vi], nella quale un evento come, ad esempio, il cambiamento climatico – ascrivibile secondo i canoni tradizionali al regno “immobile” e senza storia della natura – rappresenta l’effetto, e non lo sfondo, della prassi umana. Per tale ragione – questa la prima tesi di Chakrabarty – è necessario riconfigurare la teoria della storia al fine di includere anche l’elemento geologico come parte determinante della storia umana. E ciò non tanto nel senso che, per farlo, si dovrebbe spingere agli estremi l’idea braudeliana dei livelli temporali che compongono la storia, ossia pensare come e in che forme gli umani interagiscono con la natura, ma, più radicalmente, capire cosa significhi, da un punto di vista ontologico per questi ultimi essere assimilati ad una «forza della natura in senso geologico»[vii].

Questa tesi, che si sviluppa nella seconda e nella quarta problematizzando rispettivamente i concetti di libertà e di comprensione storica, anch’essi inadeguati ad inquadrare l’Antropocene. Da un lato, infatti, la portata dell’azione geologica che gli umani acquisiscono nell’epoca dell’Antropocene richiede una revisione del concetto di libertà così come, secondo Chakrabarty, è stato concepito dall’Illuminismo europeo in poi, ovvero slegandolo dalla considerazione del tempo geologico e dagli effetti planetari dell’azione umana. Dall’altro lato, inoltre, l’idea di deep time, di un tempo naturale profondo entro il quale dovrebbe essere reinserita la storia umana, è per definizione una scala temporale che fuoriesce dai limiti dell’esperienza individuale, che non è comprensibile, così come non è comprensibile, nei termini delle nozioni gadameriane evocate da Chakrabarty, l’idea di umanità – di un “noi” umano – in quanto “specie biologica”. Se la “coscienza storica” è sempre una modalità della conoscenza di sé che deve estendersi dal mondo privato a quello pubblico e storico, allora non è possibile affermare che l’umano possa ricomprendere entro la sua esperienza anche la propria appartenenza biologica, poiché, sostiene Chakrabarty, non si ha mai esperienza di sé come specie, ovvero come “universale” biologico. Di qui, la necessità di integrare, o modificare, la categoria ermeneutica della comprensione storica attraverso una considerazione sulla dimensione biologica dell’umano. 

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È la terza tesi, tuttavia, ad essere cruciale per noi. In essa, Chakrabarty elabora una critica alle strategie analitiche[viii] che vedono nell’Antropocene il solo effetto della storia dell’industrializzazione e della globalizzazione, il prodotto in un certo senso “destinale” del capitalismo. Secondo Chakrabarty, al contrario, per comprendere la crisi generata dall’Antropocene, è necessario inquadrare la vicenda umana come parte di una storia più profonda, di una deep history, ovvero leggerla considerando come fondamentali le «condizioni biologiche e geologiche su cui si fonda la sopravvivenza della vita umana così come si è sviluppata nell’Olocene»[ix]. Tali condizioni bio-geo-logiche sono indipendenti dallo sviluppo del capitalismo, e rappresentano piuttosto le «condizioni parametriche»[x] che ci contraddistinguono in quanto «specie», e che rendono possibile la vita sul pianeta. Per questo motivo, continua Chakrabarty, «la sola critica del capitale non è sufficiente per affrontare le questioni inerenti alla storia umana»[xi]: i parametri, a loro volta frutto di una storia profonda, che definiscono le condizioni di possibilità “materiali” della storia dell’industrializzazione non sono un suo prodotto, ma ciò che la rende possibile. Si tratta, piuttosto, di far interagire queste diverse dimensioni (geologica, biologica, umana)[xii] per incorporarle entro una visione della storia capace di superare la prospettiva unidirezionale che penserebbe la storia come esclusivamente storia umana

Tuttavia, è bene precisare che Chakrabarty non sostiene che le storie dell’industrializzazione abbiano esaurito la loro efficacia esplicativa, ma, cogliendo un punto per noi cruciale, insiste nel registrare l’insufficienza teorica della sola storia del capitalismo quale matrice esplicativa dell’Antropocene. È necessario, in altri termini, pensare in maniera più articolata e su più livelli l’idea stessa di storia, talché l’Antropocene possa essere interpretato, certo, come l’effetto di una determinata congiuntura, ma non come l’esito necessario e lineare di una vicenda che avrebbe trovato il suo culmine nel capitalismo. 

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A ben vedere, tale critica a una visione che si potrebbe definire continuista e monodimensionale della storia era il progetto alla base dell’opera forse più celebre di Chakrabarty, Provincializzare l’Europa[xiii]. Qui, Chakrabarty proponeva una critica allo storicismo[xiv] inteso nel senso di un’ideologia del progresso costruita su una concezione della storia pensata come un’entità che «si presenta […] come intero individuale e unico – come una sorta di unità almeno potenziale – e, in secondo luogo, come qualcosa che si sviluppa nel tempo»[xv]

Un modo per leggere le tesi sul clima di Chakrabarty è farlo alla luce di tale critica allo storicismo quale visione della storia individuale e unica e direzionata da uno sviluppo di tipo lineare che avviene nel tempo, una critica che in Provincializzare l’Europa viene articolata nel contesto degli studi postcoloniali. Il fine implicito alle Four Theses, come si è visto, è articolare, nella loro interrelazione, tre “storie” – quella della terra, della vita, e della industrializzazione – entro un modello complesso, non storicistico, ma in grado di mostrare come esse si intersechino e modifichino il nostro modo di pensare la disciplina storica stessa. 

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Note

[i] D. Chakrabarty, Il clima della storia: quattro tesi, in Id. Clima, Storia e Capitale, ed. it. M. De Giuli, N. Porcelluzzi, Nottetempo, Milano, 2021, pp. 49-96.

[ii] Per una discussione delle Tesi, cfr. R. Emmett, T. Lekan T (eds.), Whose Anthropocene? Revisiting Dipesh Chakrabarty’s “Four Theses”, «Transformation in Environment and Society», vol. 2, 2016. 

[iii] Ivi, p. 51. Chakrabarty si è espresso sul problema della “condizione umana” in D. Chakrabarty, La condizione umana nell’Antropocene, in D. Chakrabarty, La sfida del cambiamento climatico. Globalizzazione e Antropocene, trad. it. G. De Michele, Ombrecorte, Verona, 2021, pp. 57-112. 

[iv] D. Chakrabarty, Il clima della storia, cit., p. 55. 

[v] Ivi, p. 64.

[vi] Ivi, p. 53. 

[vii] Ivi, p. 67. 

[viii] Per un quadro delle “narrazioni” dell’Antropocene cfr. C. Bonneuil, The geological turn: narratives of the Anthropocene, in C. Hamilton, C. Bonneuil, F. Gemenne, The Anthropocene and the Global Environmental Crisis, Routledge, London, 2015, pp. 17-31; C. Bonneuil, J.-B. Fressoz, La Terra, la storia e noi. L’Evento Antropocene, trad. it. A. Accattoli, A. Grechi, Treccani, Roma, 2022, Prima Parte.  

[ix] D. Chakrabarty, Il clima della storia, cit., p. 78.

[x] Ivi, p. 90.

[xi] Ivi, p. 77.

[xii] D. Chakrabarty, Clima e capitale: storie congiunte, in Id. Clima, Storia e Capitale, cit., p. 97.

[xiii] D. Chakrabarty, Provincializzare l’Europa, tr. it. M. Bortolini, Meltemi, Roma, 2004. 

[xiv] Cfr. V. Morfino, Introduzione, in A.A. V.V., Tempora multa, Mimesis, Milano-Udine, 2013, pp. 22-23 e pp. 155 e sgg.

[xv] D. Chakrabarty, Provincializzare l’Europa, cit., p. 42. 

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Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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