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Breve storia della polvere da sparo

Com'è nata e come si è diffusa la polvere da sparo? E in che modo ha cambiato l'Europa del Medioevo?

12 minuti di lettura

Salvo casi davvero fortuiti, tutte le invenzioni hanno bisogno di numerosi perfezionamenti e collaudi. I quali, se l’invenzione ha conseguenze mortifere più o meno note, rischiano di essere dispendiosi sul piano del capitale umano. E sappiamo bene che quando si tratta di portare la morte, l’ingegno e la fortuna dei sapiens raggiungono le loro vette più brillanti. È il caso di una delle scoperte/invenzioni più significative nella storia dell’umanità: la polvere da sparo – o polvere nera – e le armi da fuoco per le quali è necessaria. Nonostante varie civiltà conoscessero e utilizzassero diversi composti naturali a fini bellici (pensiamo ad esempio al mitico fuoco greco, l’arma segreta dei Bizantini), la polvere da sparo dimostrò una potenza e una versatilità imbattibili, capaci di far prendere direzioni nuove alla Storia.

Come impariamo a scuola, la potenzialità di questa miscela di salnitro, carbonio e zolfo fu scoperta e sperimentata in Cina da monaci e studiosi prima del IX secolo d.C. nell’ambito della ricerca alchemica, a caccia di un elisir di lunga vita o di un composto che trasformasse in oro minerali più poveri. Risale all’anno 808 la prima ricetta, che spiega di unire sei parti di salnitro, sei parti di zolfo e una parte di aristolochia clematite secca, una pianta che contiene abbastanza carbonio da far prendere fuoco al composto in modo rapido.

I libri di scuola propongono anche un’immagine piuttosto innocua circa l’utilizzo della miscela da parte della civiltà cinese, prima che passasse nelle mani europee, cioè quello di propulsore per i fuochi d’artificio per il diletto dell’imperatore, e di segnalazione a distanza, oltre che in alcuni ambiti della medicina taoista. Ciò che spesso si trascura è che furono i cinesi stessi ad applicare per primi l’utilizzo anche all’ambito bellico, entro la metà del X secolo, in quella che venne chiamata huǒ qiāng, “lancia di fuoco”: consisteva in una lancia a cui era stato applicato un tubo di bambù riempito di polvere da sparo e piccoli proiettili; si dava fuoco alla miccia durante le battaglie, poco prima degli scontri corpo a corpo, in modo da danneggiare il nemico con la fiammata e i proiettili che sarebbero scaturiti dal tubo nella sua direzione. Gli sviluppi successivi mirarono a perfezionare il tubo, rendendolo un’arma indipendente e facendo nascere i primi cannoni a mano entro la fine del XIII secolo.

I contatti sempre più frequenti tra i due margini dell’Eurasia, favoriti dalla pax mongolica – ossia il lungo periodo di relativa pace tra XIII e XIV secolo garantito dalla dominazione mongola nelle terre tra l’Europa orientale e l’Asia – fecero sì che entro la fine del Duecento la conoscenza e l’uso della polvere da sparo si diffondessero anche sulle sponde del Mediterraneo. Al 1326 risale la prima raffigurazione di un’arma da fuoco in Europa, una specie di cannone a forma di vaso appoggiato su un supporto; allo stesso secolo e a quello successivo risalgono una ventina di ricette per la polvere da sparo giunte fino a noi, tutti tentativi di perfezionarla, renderla più efficace o più sicura per il trasporto.

Intorno alla metà del Trecento le armi da fuoco iniziarono ad essere presenze abituali sui campi di battaglia e nel corso degli assedi: si utilizzavano soprattutto cannoni a mano e grosse bombarde, che non si differenziavano di molto come progettazione se non nelle dimensioni. L’ultimo secolo e mezzo di Medioevo fu dedicato quindi all’esplorazione di rischi e potenzialità di questa nuova tecnologia: ricaricare le armi da fuoco era molto più lento rispetto ad archi e balestre, e la gittata era quasi sempre inferiore; nonostante alcuni soldati (come i giannizzeri ottomani) venissero ormai addestrati all’utilizzo di cannoni e bombarde, l’inesperienza nella produzione faceva sì che i cannoni fossero difettosi o addirittura inutilizzabili, oltre che soggetti a danni frequenti.

La perfezione, insomma, era decisamente lontana ancora a Quattrocento inoltrato, e le armi da fuoco rimanevano spesso inaffidabili e poco sicure, come dimostra la vita (o meglio: la morte) di Giacomo II di Scozia.

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Dal 1455 al 1485 la nobiltà britannica si scontrò nella Guerra delle Due Rose al seguito del ramo Lancaster o York per scegliere l’erede al trono (spoiler: entrambe le discendenze maschili morirono nel corso della guerra e alla fine la corona andò a un terzo ramo, quello dei Tudor).

Nei primi anni della guerra, nel 1460, i Lancaster pensarono di chiamare in causa il re di Scozia, Giacomo II, in loro sostegno. Radunato un esercito, questo fervente sostenitore del potere delle armi da fuoco decise di approfittarne per liberare i castelli di Berwick e Roxburgh, su territorio scozzese ma in mano inglese. Fingendo di dirigersi sul primo per fuorviare i proprietari, Giacomo deviò invece sul secondo e lo mise sotto assedio, radendo al suolo il borgo circostante con il fuoco dell’artiglieria appositamente importata dalle Fiandre.

Il 3 agosto dobbiamo immaginare il re orgogliosamente in piedi accanto al cannone che chiamava “il Leone” mentre gli artiglieri si nascondono di corsa dietro a un mucchio di terra dopo aver acceso la miccia. Dopo alcuni secondi, un’esplosione diversa dal solito, più potente e accompagnata da sinistri rombi metallici. Gli artiglieri si affacciano e… il re è a terra, in una pozza di sangue, agonizzante, i pezzi del cannone distrutto sparsi tutti intorno. Cos’era successo?

Nelle parole del cronista Robert Lindsay di Pitscottie «mentre il re stava accanto a un pezzo di artiglieria, l’osso della sua coscia fu spezzato in due dal frammento di un cannone male assemblato che si era rotto sparando, da cui era stato buttato in terra, e morì velocemente». In pratica le lamine di ferro avvolte intorno al fusto del cannone, concepite per non farlo esplodere a causa della forza dello scoppio che avrebbe dovuto spingere in avanti il proiettile, avevano ceduto (forse perché difettose o montate male); la potenza dell’esplosione quindi, invece di concentrarsi verso la bocca di fuoco, aveva spinto i pezzi del Leone tutti intorno, falcidiando ciò che trovavano sulla loro strada (cosce di re comprese).

Nessun esito da Visconte calviniano quindi: il re morì sul campo a causa del difetto di fabbricazione o di assemblamento di un’arma che considerava così affidabile e degna di nota da darle anche un nome – e da restarle accanto mentre sparava. In un momento in cui, sulla carta, la polvere da sparo e le armi da fuoco erano già largamente usate in Europa e che quindi ai nostri occhi risultano collaudate e sicure. E chissà quante storie come la sua non sono arrivate fino a noi, e quanto simili storie e leggende metropolitane circolassero tra corti e campi di battaglia in quei secoli a cavallo tra Medioevo ed Età Moderna.

Il dibattito sul ruolo della polvere da sparo nella fine del Medioevo è un vecchio classico della storiografia e dell’antropologia, e forse non troverà mai una risposta definitiva; merita comunque un accenno.
Certamente la polvere da sparo e le armi da fuoco, che richiedevano una conoscenza approfondita, non cambiarono il volto dell’Europa dall’oggi al domani, perlomeno non più di tante altre invenzioni.

Se divenne indubbiamente un vantaggio per chi imparò rapidamente a maneggiarla, non fu letale sui campi come ad esempio l’arco lungo inglese. D’altro canto sancì la fine definitiva dei castelli del nostro immaginario, quelli con le mura slanciate, a favore delle tozze fortificazioni all’italiana: la priorità non era più impedire ai nemici di scalarle, bensì assicurarsi che i colpi di bombarda non aprissero brecce. Le armi da fuoco erano anche più facili da produrre in serie, e ridussero il costo delle armate. Forse ancora maggiore fu l’impatto psicologico di queste armi, che avrebbero avvantaggiato gli eserciti europei nella colonizzazione delle Americhe proprio nel corso dell’Età Moderna insieme alle malattie e alla spietatezza.

Non bisogna comunque dimenticare che l’impiego della polvere da sparo si estendeva anche all’ambito civile: sgomberare terreni, eliminare ostacoli, scavare gallerie, espandere miniere, divenne molto più facile e paradossalmente più sicuro, almeno da quando l’arte di maneggiare il composto e i suoi ingredienti divenne parte di una conoscenza approfondita. Anche se, al posto di ridurre il carico di lavoro dei manovali, non fece che aumentare le pretese di chi comandava.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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