Sono passati pochi mesi da quando, il 30 gennaio 2025, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla vita degli abitanti della “Terra dei fuochi“, ma la rete sociale che da anni lotta per la tutela di questo territorio è già in pieno fermento.
Vogliamo far conoscere la sentenza, mantenere l’attenzione alta e fare una pressione che non può passare inosservata. Dobbiamo far capire che lo Stato, attualmente, sta andando in una direzione sbagliata. Abbiamo una sentenza storica che sta mostrando finalmente la verità.
A parlare è Vincenzo Tosti, attivista di Stop Biocidio, una coalizione sociale di movimenti contro l’emergenza sanitaria e ambientale. Vincenzo è uno dei volti storici di questa lotta. Insieme alle attiviste e agli attivisti dei vari comitati, ha provato un’enorme soddisfazione quando ha letto la sentenza della CEDU. Eppure, è stato ben consapevole sin da subito che l’attività sul territorio non era affatto finita e che adesso, dopo vent’anni di attivismo, arriva una delle fasi più difficili.
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La CEDU ha contestato all’Italia di non essersi occupata del problema in modo tempestivo ed efficace, dando poi due anni di tempo per elaborare una strategia per affrontare la situazione, istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente e creare una piattaforma di informazione pubblica. In risposta alla sentenza, al momento, il governo ha previsto l’istituzione di un Commissario unico nazionale per la bonifica dell’area. Una vecchia prassi, come ci racconta Vincenzo Tosti, che non porta ad alcuna effettiva risoluzione del problema:
Il commissariamento è un modo per risolvere il problema nella maniera sbagliata. La storia della terra dei fuochi ci dice che questo metodo, con l’istituzione di diversi commissari, ha sempre fallito. È un metodo semplicemente repressivo, che non tiene conto dell’aspetto sociale del territorio. La sentenza parla chiaramente della partecipazione della società civile e associazioni interessate nel meccanismo di monitoraggio delle misure introdotte, cosa ben diversa dall’attuale direzione imboccata dal governo.
Era il 2003 quando Legambiente ha utilizzato per la prima volta l’espressione “Terra dei Fuochi” per indicare quell’immensa area compresa tra Napoli e Caserta. Questo spazio racchiude quasi 3 milioni di persone e qui i livelli di inquinamento ambientale sono altissimi a causa dei roghi tossici e dello sversamento illegale di rifiuti. A diventare l’emblema di un territorio martoriato sono stati proprio questi roghi tossici che coinvolgono principalmente rifiuti industriali non regolarmente smaltiti e che interessano, secondo diversi report e inchieste giornalistiche, scarti di attività manifatturiere, edili e agricole rilasciando nell’aria alte quantità di sostanze dannose per la salute.
Nel 2020 i roghi tossici registrati erano 2.041. Nel 2022 erano 1.049. L’apparente diminuzione ha portato molti a ritenere che il fenomeno fosse stato eradicato o sconfitto, fino a dichiarazioni politiche ai limiti del negazionismo. Tuttavia, nel conteggio, rientrano solo i roghi segnalati e individuati, ma non quelli che restano occulti. Di conseguenza, non vengono considerati i roghi che non vengono denunciati, nonché quelli che vengono classificati come semplici “roghi di sterpaglia”. Le sostanze nocive liberate nell’aria dai roghi possono variare in base alla tipologia di rifiuti coinvolti. In generale, però, possono essere rilasciate diossina, formaldeide e furani.
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Nel corso degli anni sono stati molti gli studi che hanno evidenziato problematiche di salute dei residenti nella terra dei fuochi. Nel 2019 lo studio Veritas ha evidenziato livelli fuori norma di metalli pesanti nel sangue dei malati oncologici del territorio. Nello studio del 2024 Cancer Figures in Italy: an overview si legge «Per i tumori polmonari, si osservano tassi più elevati per la città di Napoli». Inoltre, un report del dicembre 2020 redatto dall’Istituto superiore della sanità e dalla procura di Napoli nord ha fatto emergere una correlazione tra aree con maggiori attività illegali di smaltimento rifiuti e specifici esiti sanitari tra cui incidenza di leucemie giovanili e mortalità per tumori alla mammella.
Pensiamo che bisogna creare un movimento dal basso- racconta Vincenzo Tosti- occupare le piazze per spingere al governo ad applicare questa sentenza così come la intende la CEDU e non nel modo distorto e inutile in cui vuole applicarla il governo.
Il ricorso era stato presentato da 5 associazioni e 41 persone, la maggior parte delle quali ha sviluppato direttamente un tumore o è parente di una persona morta a causa di una patologia oncologica. «Alcuni – conclude Vincenzo Tost i- non hanno fatto in tempo a poter leggere la sentenza».
Intanto, il 12 maggio, il comitato Stop Biocidio ha diramato la notizia che il governo italiano non avrebbe presentato opposizione alla sentenza.
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