Troppo spesso la vulgata confina l’archeologia allo studio del monumento, dell’opera d’arte, dell’oggetto artistico, quasi che la comprensione di un modo di vivere, di una tipologia produttiva possa considerarsi avulsa dal contesto nel quale l’oggetto di studio è inserito. Eppure dovrebbe ormai essere assodato, anche nell’opinione pubblica, il connubio fra paesaggio e archeologia e a questo proposito il sito archeologico del Guardamonte è la sintesi ideale perseguire un approccio integrato ai vari aspetti della disciplina archeologica. Il sito è posto sulla sommità del Monte Vallassa (752 m), fra le valli Staffora e Curone, nel territorio dei comuni di Gremiasco, Cecima e Ponte Nizza, al confine fra Lombardia e Piemonte. Pur essendo ancora poco conosciuto si presenta come un complesso di enorme valore archeologico, inserito all’interno di un territorio dalla grande bellezza paesaggistica. Il sito inizia a essere indagato alla metà del XX secolo quando furono effettuati i primi scavi sotto la direzione di Felice Gino Lo Porto. L’attuale fase di studio è cominciata nel 1995 ad opera dell’Università degli Studi di Milano sotto la direzione di Cristina Chiaramonte Treré e Giorgio Baratti.
Al di là di alcune fasi di abbandono il sito offre una continuità abitativa che si estende per circa 5000 anni, dall’epoca Neolitica (V millennio a.C.) ai primi secoli dell’impero romano (I-II d.C.). Particolarmente importante si è dimostrata essere la fase caratterizzata dall’insediamento “a castelliere”. Una tipologia abitativa strutturata su terrazzi che interessa quest’area dal XVI secolo a.C. al III secolo a.C., con una fase di abbandono fra il IX e il VI a.C. (in relazione probabilmente con una crisi ecologica che ha portato nel corso del Prima Età del Ferro allo spopolamento di vaste aree dell’Europa). Sul monte Vallassa sono attualmente visibili molte strutture a secco che formano i piani artificiali. Questi muri non avevano tanto una funzione difensiva, quanto piuttosto lo scopo di stabilizzare i versanti per renderli abitabili. D’altronde le costruzioni a secco sono storicamente costruite con questo fine e il loro mancato restauro è una delle concause che porta a quei fenomeni di dissesto idrogeologico tanto frequenti nell’area ligure in questi tempi recenti.
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Fin dal V millennio a.C. deve essere apparsa chiara l’importanza strategica del sito, in grado di controllare per vasti tratti percorsi che lo mettevano in comunicazione con la Liguria occidentale, l’Italia tirrenica, l’appennino emiliano, il corso del Ticino e del Terdoppio verso il Verbano e l’Europa centro-settentrionale. Per questa ragione non si deve immaginare un sito isolato, bensì un’area in stretti rapporti con il territorio circostante e con la pianura, è certa infatti l’importanza che tutte queste aree di crinale dovevano avere come punti di interazione e scambio (infatti tipologie abitative come quella del Guardamonte si diffondono nell’Italia settentrionale durante l’età del Bronzo). Queste stesse condizioni si riproposero, pur in un contesto socio-politico differente, a partire dal VI secolo a.C. quando un gruppo che è a tutti gli effetti definibile come ligure si pose come intermediario fra il mondo golasecchiano da una parte e quello dell’Etruria settentrionale dall’altra. Uno degli indirizzi di ricerca più interessanti che nascono dal sito del Guardamonte si occupa proprio di analizzare e ricostruire queste antiche vie di comunicazione e commercio. La complessa geomorfologia del territorio ha costituito un problema non irrilevante per i Romani al momento della loro espansione nell’Italia settentrionale; i Liguri li fronteggiarono infatti con azioni di guerriglia che ne complicarono notevolmente l’insediamento (a questo proposito le fonti romane abbozzano un breve e poco onorevole ritratto delle popolazioni abitanti in quest’area).
L’attività di scavo dell’Università degli studi di Milano ha permesso di avere l’esatta visione dei periodi storici che sono stati sopra elencati. Tra le tante acquisizioni risulta di particolare rilievo l’aver individuato, all’interno di una delle fasce terrazzate, un’area destinata alle finalità produttive delle ceramiche. Siamo di fronte a una popolazione che aveva una capacità progettuale tale da strutturare l’abitato secondo un disegno complesso che prevedeva la divisione funzionale degli spazi (con l’area produttiva distinta da quella abitativa) e non alle genti incivili descritte dalle fonti romane.
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Tra i ritrovamenti dell’area spicca una fornace a doppia camera orizzontale (datata al IV-III a.C.): la struttura era suddivisa in una camera di combustione e in una camera di cottura di modo che si potessero esercitare delle forme di controllo della temperatura di cottura. Questo importante rinvenimento ha permesso di sperimentare le possibili tecniche di costruzione di queste tipologie di fornaci e successivamente le tecniche di lavorazione e di cottura della ceramica. Infatti nel 2012, a scavo del settore ormai concluso, la fornace è stata ricostruita direttamente sopra il punto del ritrovamento; in seguito è stato possibile riprodurre alcuni oggetti che sono stati cotti all’interno della fornace ricostruita. Le cotture sperimentali effettuate nel 2013 e nel 2015 hanno consentito di raccogliere molti dati che permettono di approfondire la conoscenza dei metodi utilizzati nell’antichità. È questo l’aspetto della disciplina noto come archeologia sperimentale, materia che si propone di studiare e riproporre tecniche antiche, unendo diversi settori che vanno dalla ricerca storico-archeologica, alle analisi archeometriche, senza tuttavia trascurare il fondamentale contributo degli artigiani.
Guardamonte si presenta come un sito di difficile lettura che per essere apprezzato appieno necessita dell’ausilio di guide esperte. È proprio con questo fine che opera l’Associazione Culturale il Castelliere, nata all’interno del gruppo di scavo che ha lavorato sul sito nel corso degli ultimi anni. L’Associazione si propone favorire la valorizzazione e la fruizione del sito del Guardamonte attraverso l’organizzazione di attività legate alla sperimentazione di tecniche artigianali antiche, laboratori rivolti ai più piccoli e visite guidate all’interno del sito e molto altro che verrà attuato nel prossimo futuro.
Nessuno studio scientifico può essere avulso dalla sua divulgazione al grande pubblico, paradosso vuole che questa sia una visione che sta divenendo largamente condivisa solo ora grazie alla crisi. Ci auguriamo possa essere un modo per superarla.
di Maria Sole Cammelli, Nicolò Donati, Alessandro Vandelli
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