A far rete si è nodi, che più si stringono più diventano solidi. Una realtà caleidoscopica richiede con urgenza di ingaggiare dei punti faro, che indichino la superficie quando travolge il fiume in piena. I network si battezzano in tutti gli ambiti, perché la solitudine è sempre più minacciosa e sinonimo di non visibilità. Hanno fatto rete i ristoranti della tradizione canavesana, che dal 1996 coltivano e diffondono la cultura dell’enogastronomia locale. Gli associati si muovono tra il recupero delle ricette abbandonate, la valorizzazione in cucina delle materie prime indigene, la promozione della tradizione enogastronomica locale, e con lei del territorio suo terreno fertile, con lanci di eventi di risonanza anche all’estero.
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Viscerale è il rapporto tra cucina e territorio e la spinta dell’una virtuosamente si riflette sull’altro. Il legame si dichiara indissolubile fin nel simbolo dell’Associazione ristoranti della tradizione canavesana: la Trofeja, un paiolo scaldato da una fiamma alla base, che richiama esplicitamente i merli a coda di rondine dei castelli della zona. In tridimensione la Trofeja è in terracotta di Castellamonte, gloriosamente esposta all’ingresso di tutti i locali dell’Associazione.
L’arte culinaria attecchisce nelle zone spigolose di montagna e sul limitare dei laghi, in mezzo alle forme ora geometriche ora sinuose delle città d’arte. Tra le materie prime è un viaggio in delicatezze e consistenze diverse: dai funghi porcini alle castagne ai frutti di vigna. Delle stagioni più buie, l’autunno serve cipolle ripiene, zuppa di cavoli e Caponet (involtini di verza di Montalto Dora ripieni di carne), l’inverno invece si riserva la zuppa di fagioli e cotiche di maiale che dà nome all’Associazione, oltre al salame di patate, al batsoà, alla finanziera, e bagna caoda e gran fritto misto della tradizione piemontese non rimangono indietro.
Ai sapori più grassi e carichi della montagna si accostano quelli freschi dei pesci di lago: il coregone del lago di Viverone, le trote della Valchiusella, i formaggi che odorano ognuno della sua vallata: dal salignun ai tomini, dalla Tometta di Trausella al Cevrin della Valchiusella. Sono i sapori zingari delle erbe spontanee ad animare la primavera, oltre alla tradizionale zuppa di ajucche. La chiusura peccaminosa spetta al dessert: i Martin sec cotti nel vino rosso Carema e spezie, il bonet, lo zabajone all’Erbaluce di Caluso Passito, decorato di torcetti al burro o nocciolini di Chivasso.
In copertina: Caponet. Fonte: www.acanadianfoodie.com
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