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Ucraina: il punto sui primi giorni di guerra. E adesso?

L’avanzata russa in Ucraina è giunta oggi al quinto giorno. I fatti si susseguono incessanti, caotici, a volte contraddittori. La guerra delle informazioni è in corso al pari di quella sul campo. Proviamo a fare chiarezza su cosa sta succedendo.

7 minuti di lettura

L’avanzata russa in Ucraina è giunta oggi al quinto giorno. I fatti si susseguono incessanti, caotici, a volte contraddittori e la guerra delle informazioni, in corso al pari di quella sul campo, non aiuta a fare chiarezza.

I primi cinque giorni d’assedio in Ucraina

Ci sono alcuni punti fermi in mezzo a tutto ciò e da questi sarebbe bene cominciare. Il Cremlino non sembra intenzionato ad alienarsi del tutto la popolazione ucraina, probabilmente in vista di un’occupazione futura. Da qui il paradosso della scelta di invadere cercando di procurare il minor danno possibile ai civili. Questa scelta però sta portando delle conseguenze difficili da gestire per Mosca che, potenzialmente sarebbe in grado di schiacciare in poco tempo sia l’esercito ucraino che le eventuali sacche di guerriglia, ma che rifiutandosi di farlo corre il rischio di logorarsi in una guerra di durata estremamente dispendiosa, che costituisce un incubo per tutte le potenze impegnate all’estero.

Le principali città ucraine, infatti, per ora resistono all’avanzata russa. A Kyiv questa mattina è stato sospeso il coprifuoco per la prima volta da quando i carri russi hanno varcato il confine e sono cominciati i combattimenti per impadronirsi degli aeroporti poco fuori la città. Nel complesso i russi avanzano, ma più lentamente e con meno facilità di quello che ci si sarebbe aspettato.

La guerra in Ucraina contro ogni previsione

Ciò ha creato uno stallo che altri attori hanno sfruttato per inserirsi nella catena degli eventi, primi fra tutti i paesi dell’UE. Germania, Francia e Italia sono state colte inizialmente impreparate dal rapido degenerare delle cose. L’intelligence americana da mesi ormai avvisava di un’imminente invasione di terra, ma nelle cancellerie occidentali molti, e non a torto, sostenevano che si trattasse più di una strategia per alzare la tensione che un reale pericolo. Alcuni, infatti, quando effettivamente poi l’invasione ha avuto luogo, hanno commentato beffardi che anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno. Al di là delle spicciole diatribe, tra le democrazie europee non vi è stato subito un accordo chiaro su come affrontare l’orso russo in modo credibile ed efficace, ma al contrario di altre occasioni vi si è giunti in un lasso di tempo ragionevolmente breve.

L’UE e le sanzioni in sostegno dell’Ucraina

Alle prime timide sanzioni ad personam, rivolte soprattutto al cerchio ristretto delle élites moscovite e che hanno riguardato, caso abbastanza significativo, anche il presidente Vladimir Putin direttamente ed il suo plenipotenziario Ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, sono seguite poi azioni di più ampia portata sia in campo finanziario che militare.

L’esclusione russa dal sistema Swift per ora è solo parziale, ed è qui da ricercare il motivo del dietro front, avvenuto nell’arco di 24 ore, del presidente Draghi. I settori dell’energia sono stati per ora risparmiati dal ban, con evidente soddisfazione anche della Germania. Questa mossa può essere letta in due modi diversi: da una parte è vero che le carte negoziali riguardo possibili sanzioni in mano agli occidentali, una volta bannato completamente il sistema russo dal sistema finanziario internazionale, sarebbero nulle, meglio quindi, secondo alcuni, procedere in modo duro ma graduale; dall’altro lato, invece, vi sarebbe stata la chiara richiesta da parte di Germania e Italia di aspettare la primavera inoltrata, quando un deficit nelle forniture di gas avrebbe un impatto meno consistente sulle economie occidentali, già fortemente provate dalla pandemia. Il costo di un ban totale potrebbe essere per l’economia italiana fino a due punti percentuali di PIL, secondo i calcoli più pessimisti.

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Vi sarebbe poi una considerazione da fare sull’impatto che le sanzioni avrebbero sul regime russo. In un interessante articolo pubblicato recentemente su Foreign Affairs, dal titolo The United States of sanctions, veniva messo in dubbio l’effetto reale che queste hanno sui regimi che dovrebbero subirle. Ne risultava un quadro poco edificante, sia dal punto di vista che spesso si sono sostituite ad una diplomazia fatta sul campo, sia perché queste poi rarissimamente hanno portato alla caduta di regimi, come nei casi iraniano o coreano.

Gli aiuti militari dall’Unione Europea

La vera novità al momento però, al di là delle sanzioni di carattere finanziario, sta nella disponibilità dell’Unione Europea a consentire l’invio diretto di armi, munizioni e sostegno esterno all’esercito ucraino. Si tratta di un passo avanti della portata enorme per un’istituzione che si è sempre rifiutata in prima persona di sostenere guerre di qualsiasi sorta attraverso finanziamenti comunitari. La formula attraverso la quale si è giunti a questa svolta è stata sintetizzata nella European Peace Facility, strumento in realtà nato nel marzo 2021 ma non pensato inizialmente per la crisi in Ucraina. Si tratta di una posta finanziaria fuori dal bilancio, ma finanziata da tutti i paesi membri. Secondo le parole di un funzionario europeo:

Questo strumento verrà utilizzato per acquistare materiale militare e umanitario da inviare in Ucraina. È necessaria l’unanimità. I paesi membri neutrali daranno il loro consenso attraverso una astensione costruttiva.

La lista degli aiuti militari che almeno diciotto paesi UE hanno deciso di destinare al contrasto dell’invasione russa è lunga e comprende mitragliatrici pesanti, missili anticarro, carburante, sistemi radar, supporto cyber, mortai. La postura degli stati occidentali dell’Unione è cambiata dai tempi in cui, alcune settimane fa, la Germania rispondeva agli appelli di Kyiv inviando 5mila elmetti e bloccava, ove poteva, l’afflusso di munizioni anche qualora avvenisse attraverso altri paesi. La svolta sarebbe arrivata su impulso dell’Eliseo, il quale ha successivamente precisato che nessuno si illude di bilanciare le forze in campo, ma che l’obiettivo è aumentare esponenzialmente il costo della guerra per indurre Putin a riconsiderare i suoi piani.

La risposta alle mosse occidentali, alle quali si è aggiunto il rafforzamento del fianco orientale della NATO con contingenti inviati dai paesi membri sul campo, non si è fatta attendere, e traspare un certo nervosismo da parte di Mosca. Il presidente ha messo in allerta il sistema di difesa nucleare, minacciando di essere in grado di radere al suolo Europa e Stati Uniti se necessario.

Putin, gli equilibri interni e gli alleati esteri

In questi giorni si è discusso molto anche su dove quando e dove Putin fermerà l’escalation. Questa volta non vi è una risposta univoca. Molti analisti, che credevano un’invasione via terra di questa portata impossibile, stanno riconsiderando i propri margini di errore di fronte ad un uomo che sembra intenzionato a prendere il posto che gli spetta sui libri di storia.

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Putin ha indubbiamente un’influenza enorme sulla politica russa, che in gran parte dipende dalle sue dirette volontà, ma sarebbe sbagliato non considerare il peso che gli apparati hanno nella definizione delle scelte. Il colloquio registrato, non tagliato e successivamente trasmesso in mondovisione, durante il quale il presidente umilia il direttore dei servizi segreti Sergey Naryshkin è sintomatico del fatto che uno dei fattori che determina l’attuale controllo del presidente sugli apparati sia la paura. E se c’è bisogno della paura per compattare la classe dirigente russa, significa che possono esserci malumori rispetto alla gestione presidenziale della vicenda. Anche tra gli alti papaveri dell’esercito vi sono alcune frange nazionalistiche contrarie all’espansionismo militare in un paese da sempre intimamente legato alla Russia.

Vi è poi il tema della disponibilità a impegnarsi da parte di altri paesi su cui la Russia esercita la sua influenza. Per certi versi si tratterebbe di un test di fedeltà. Le truppe cecene, guidate dal sanguinario dittatore Ramzan Kadyrov, non hanno tardato a occupare il loro posto al fianco dei russi. Non che ci fossero dubbi a riguardo, vista l’infima caratura del leader ceceno e la parte che la violenza ha avuto nel plasmare la società durante dieci anni di guerra civile. Altri invece, come il Kazakistan, hanno deciso di negare l’invio di truppe al fronte ucraino. Non si tratta di reazione scontate, qualcuno al Cremlino certamente se le sta annotando con cura.

Alcuni scenari futuri per l’Ucraina

La questione ora più dirimente sembrerebbe capire se e come il presidente abbia intenzione di continuare a spingersi verso Leopoli, ovvero verso il confine tra l’Ucraina e i paesi occidentali. Da molti verrebbe giudicata come una follia, dato che controllare l’intero territorio risulterebbe estremamente complesso e proprio nell’Ovest, in Galizia, risiede quella parte di popolazione più intrinsecamente ostile ai russi. Si tratta infatti di una popolazione che ha radici storiche profondamente diverse, che ha conosciuto il dominio austro-ungarico e che ha radici più mitteleuropee che slave. Se invece lo Zar dovesse decidere di spaccare il paese in due si esporrebbe in futuro all’instabilità intrinseca che questo porterebbe con sé. Un’altra possibilità è quella di un cambio di regime con il paese che si dichiari formalmente neutrale ma nei fatti asservito a Mosca.

I primi colloqui tra Zelensky e Putin

Le speranze che qualcosa di positivo emerga dai colloqui previsti per questo pomeriggio sul confine con la Bielorussia sono deboli. Volodymyr Zelensky si è dimostrato disponibile, accettando il fatto che questi avvengano in un paese nei fatti belligerante, ma non ha nascosto un profondo pessimismo. Il presidente ucraino, passato nell’arco di pochi anni dai palcoscenici alla gestione della più importante crisi dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, è consapevole del fatto che non c’è posto per lui nella visione che i russi hanno del futuro. Ha passato gli ultimi giorni nascosto, consapevole di essere la testa di quella catena di comando che le forze russe vorrebbero eliminare. Il sentimento di non volersi arrendere, di non voler fare un salto indietro di trent’anni, di non voler buttare alle ortiche tutto il buono che si è costruito sembra essere quello prevalente tra la popolazione. Se tra i russi qualcuno si aspettava un’accoglienza simile a quella ricevuta pochi mesi fa dai talebani a Kabul, allora si è sbagliato.

E gli USA?

Emmanuel Macron ha avvertito la classe dirigente francese di prepararsi ad una guerra potenzialmente lunga e dagli sviluppi lenti. Nessuno sa realmente cosa succederà. Dall’altra parte dell’Atlantico l’amministrazione americana evita per ora passi falsi. Nessuno però ha più il diritto o le ragioni, in Europa, di far finta di nulla di fronte alle responsabilità americane nel degenerare degli eventi. Nei fatti, la Casa Bianca ha sostenuto le aspirazioni di Kyiv fino a quando queste, per quanto assolutamente legittime, non hanno superato la linea rossa tracciata da Mosca. Ora però il tiepido sostegno americano non serve a evitare i “danni collaterali” di un’escalation che Washington ha voluto e della quale non pagherà mai le conseguenze. L’unica domanda che davvero inquieta il Pentagono è quella che Pechino potrebbe fare a Taiwan, ovvero: “È davvero questo l’alleato che ti sei scelto?”.

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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