« Fotografare è un atteggiamento, un modo di essere, un modo di vivere».
Henri Cartier-Bresson
Le sale della Nuova Villa Reale di Monza, in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi, si preparano da mesi per un occasione di grande rilievo: un dialogo diretto con la storia della fotografia, tra arte e foto-giornalismo, e lo fa celebrando uno dei suoi più grandi maestri dello sguardo, in tutta la sua carriera.
Il grande sguardo di Henri Cartier-Bresson racchiuso tra le pareti neoclassiche della residenza reale: «Un’unione che rende la fotografia una vera e propria esperienza diretta, che stanza dopo stanza, diventa un ponte che permetterà di coglierne interamente l’opera». Sono le parole del sindaco di Monza, Roberto Scanagatti in apertura.
La mostra, ideata dallo stesso Cartier-Bresson e dall’amico ed editore Robert Delpire un anno prima della morte del fotografo, ha già girato il mondo e l’adattamento italiano è stato affidato all’abilità di Denis Curti.
Organizzata da Civita Mostre con Cultura Domani e AltoFragile è un ritorno al classico con stile: operazione per niente semplice e che richiede una certa maestria nel dirigere tutti i particolare in modo che quello che arrivi al fruitore non sia solo un classico, ma il ripercorrere una vita, una visione e una carriera.
Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 22 agosto 1908 – L’Isle-sur-la- Sorgue, 3 agosto 2004) nasce pittore e assistente cinematografico ma la fotografia lo folgora da subito. Durante le riprese dei film si ferma, vede una scena, scatta una fotografia e si lascia trasportare. Più volte, in altre riprese, era solito tornare sul set per fotografare altre scene.
Nel 1947 apre ufficialmente la Magnum, oggi una delle più grandi agenzie fotografiche del mondo, allora una società di fotografi uniti da più di una passione e più elementi: Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodger. Dal primo momento i fotografi sono sempre stati l’anima della Magnum e quest’anima ha la fortuna e il pregio di essere rimasta invariata nel tempo, mantenendosi fino ad ora. Nella società non era curato solo lo scatto in sé: dalla storia, a dove andare a scattare, come trattare in seguito i negativi e quindi come sviluppare, tutto era seguito nei minimi dettagli.
Denis Curti ci tiene a far notare da subito quanto tutte, le grandi e le piccole, parti che hanno ideato e composto l’intera mostra, siano tasselli fondamentali per la sua buona riuscita. In particolare ringrazia lo studio AltoFragile per aver creato un dialogo preciso tra luogo e fotografie.
L’obbiettivo principale della mostra è proprio riposizionare un classico come Cartier-Bresson, per vederlo come l’innovatore che è stato. Innovatore per il “semplice” motivo che ha contribuito a creare un nuovo sguardo della fotografia contemporanea, a dargli in qualche modo delle regole, o meglio, a fargli da guida.
«Sono un fascio di nervi in attesa del momento, e questo monta e poi esplode, è una gioia fisica, una danza, l’unione di tempo e spazio. Sì! Sì! Sì! Come la conclusione dell’Ulisse di Joyce. Vedere è tutto».
Lo scatto Gare Saint-Lazare, più noto come “la fotografia del salto”, scelta anche come immagine guida dell’intera mostra, ha un particolare tra tutte le foto scelte e esposte in questa occasione: è l’unico scatto senza bordatura nera, usata da lui e dai fotografi Magnum per evitare qualsiasi tipo di taglio e ritaglio da parte di editori o curatori. Particolare che invece caratterizza tutti gli scatti del fotografo, fino a diventata una sorta di regola dell’agenzia Magnum. Nella scelta dell’inquadratura, nel taglio, nell’esclusione o meno di un elemento, c’è l’essenza stessa del fotografo e il bordo nero è come se sancisse la sua legittima proprietà.
«Non è stata selezionata per la potenza dell’immagine, neanche per quanto sia diventata un icona dal 1932 ad ora – ci tiene a sottolineare Curti – ma proprio perché è lo scatto che ha dato vita alla sua “teoria del momento decisivo”». L’eternità di un momento racchiuso in una fotografia.
Scattata all’età di 24 anni, con una Leica appena scoperta tra le mani, ha innescato in Bresson una voglia incontrollata di buttarsi nella vita per viverla, esprimerla e mostrarla agli altri.
«Volevo soprattutto cogliere, nei limiti di una fotografia, tutta l’essenza di una situazione che si stava svolgendo davanti ai miei occhi». Situazioni e atmosfere che non tutti percepiscono, per lui erano innate. A questo si aggiungeva l’influsso all’arte: dal piacere verso il Surrealismo fino ad abbracciare il foto-giornalismo, ha creato un percorso tra tecnica e documento, tra arte e foto-giornalismo appunto senza mai lasciare che un elemento cancelli l’altro, anzi facendoli andare verso lo stesso obbiettivo.
Entrare nel Secondo Piano Nobile è come sollevare un sipario sulla storia e l’arte dei secoli passati: I pavimenti, restaurati, sono in seminato, piccoli pezzi policromi disposti secondo un disegno geometrico. Si inserisce perfettamente la metafora del “tiro con l’arco”, del momento decisivo, e arriva dritta ad ogni stanza, dietro ogni angolo. Non ha un andamento cronologico, né tematico; non segue una divisione precisa in sezioni e questo fa trasparire quanto la sua fotografia era un flusso continuo. Tra volte e pareti ornate in chiaroscuro il tempo sembra proprio fluire, come nello sguardo e negli appunti di Bresson.
Gli appunti del fotografo che accompagnano la mostra, che Curti chiama mantra, sono le sue frasi appuntate negli anni, mentre la storia del mondo passava, veloce, sotto ai suoi piedi.
Più volte nella carriera l’istante decisivo è stato paragonato a un colpo di fortuna, ma tutto ciò ha a che fare con la consapevolezza con cui riusciva a vedere il mondo, conclude Curtis. E queste 140 fotografie ne sono la prova.
La mostra resterà aperta dal 20 ottobre 2016 al 26 febbraio 2017 nei seguenti giorni e orari: dal martedì alla domenica dalle ore 10 alle ore 19, venerdì dalle ore 10 alle ore 22. Lunedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima.
http://www.mostracartierbresson.it