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Venezia76. «Woman», il volto della donna nell’ultima opera di Yann Arthus-Bertrand

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La maternità, l’educazione, la sessualità. La donna come identità plurale mostrata nelle sue infinite manifestazioni. Questo è Woman, ultimo documentario di Yann Arthus-Bertrand. Un progetto animato dalle voci di migliaia di donne la cui testimonianza libera il racconto del mondo femminile dalle facili retoriche della contemporaneità.

Presentato fuori concorso alla 76^ edizione del Festival del Cinema di Venezia è un imperdibile appuntamento con un cinema come luogo d’incontro con il volto umano.

Dal pianeta terra alla Donna, storia di un percorso che rivela l’uomo

Yann Arthus-Bertrand, fotografo e documentarista, ha iniziato a circoscrivere lo spazio di interesse della sua ricerca nel 2009, con Home. Quel primo documentario, risultato di svariate migliaia di ore di voli in elicottero, era una lettera d’amore alla nostra casa, la terra; mostrata in un collage di quadri la cui bellezza riassumeva in uno sguardo il volto della terra. Osservata questa, Bertrand ha proseguito. Sceso dall’elicottero ha infatti iniziato a incontrare gli abitanti di quella grande perla blu, gli uomini. Human (2015) è così il risultato di 2.020 interviste a persone di ogni dove, genere o cultura, riunite nella struttura di un carosello da cui il volto dell’essere umano ne esce chiaro e indimenticabile. Una dopo l’altra ogni persona parlava dei più svariati temi, senza che la voce di Bertrand, ossia dell’intervistatore, fosse mai udibile. Scopriamo le domande solo attraverso le risposte, verificando quanto entrambe varino a seconda dell’interlocutore. L’insegnamento di Oriana Fallaci, la quale affermava che «in un’intervista, non sono le domande che contano ma le risposte», viene dunque ripreso anche nell’ultima importante opera di esplorazione umana compiuta da Betrand, Woman.

Non più l’essere umano in tutta la sua varietà, ma la donna, in tutte le sue possibilità. L’intervista come mezzo torna qui ancora una volta in un montaggio serrato di volti mostrati in primo piano, lasciando il dubbio sul limite tra l’intervista e la libera confessione.

Quest’ulteriore restringimento del campo esplorato da Betrand è dunque l’inevitabile evoluzione di un percorso il cui indiscutibile fascino sta componendo il più grande foto-mosaico mai dedicato all’essere umano.

Woman: un film sulla Donna, diretto da un uomo, narrato da donne

A quasi due anni dalla nascita del movimento MeToo è difficile affermare che qualcosa nel cinema non si sia mosso, tanto nei modi di produzione quanto nell’interessamento alla donna come tema. Ne è uno dei più loquaci esempi proprio la 76^ edizione del Festival del Cinema di Venezia, con una competizione molto attenta al racconto di donne, seppur non sempre portato avanti da queste stesse. Ecco perché il lavoro di Yann Arthus-Bertrand è differente da qualsiasi altra opera presente alla kermesse. Il modello del documentarista, riproposto senza variazioni dal collaudato e amato Human, elimina il problema del racconto del mondo femminile da parte di uomini, poiché non c’è modo per lui di imporre punti di vista o prospettive. L’aspetto retorico, spesso avanzato da chi rincorre una rinnovata e opportunistica presa di coscienza, fatica a manifestarsi in Woman, il quale è in un certo senso manifestazione esclusiva delle sue protagoniste. Camera fissa, sfondo neutro. L’unica azione, encomiabile, di Bertrand è l’aver cercato queste 2.000 donne ed aver montato i loro racconti. Tutto il resto è invece in mano a loro, talmente diverse le une dalle altre da bloccare in partenza una retorica comune, un grande messaggio.

Ciò che invece si consegna allo spettatore è la varietà e la complessità di un mondo che non poteva essere meglio esposto se non da chi lo vive. Woman ne risulta dunque un titolo contraddittorio, poiché posto al singolare. La donna è plurale in questo carosello di umanità alla fine del quale si afferra solo le infinite manifestazioni di essere donna.

Esattamente come in Human, Woman è un esperienza che tanto varia di intervistata in intervistata, tanto muta di spettatore in spettatore. In tal senso è consigliabile una visione in sala, la quale accresce il valore del film nel doppiare l’accostamento di persone tra loro sconosciute ed estratte dalle più impreviste realtà. Solo così si può testare la verità di questa pellicola, scoprendosi in lacrime mentre qualcuno ride, ed osservando quanto sincero possa risultare un cinema in cui il volto è una mappa in cui leggere l’essere umano.

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Alessandro Cavaggioni

Appassionato di storie e parole. Amo il Cinema, da solo e in compagnia, amo il silenzio dopo una proiezione e la confusione di parole che esplode da lì a poche ore.
Un paio d'anni fa ho plasmato un altro me, "Il Paroliere matto". Una realtà di Caos in cui mi tuffo ogni qual volta io voglia esprimere qualcosa, sempre con più domande che risposte. Uno pseudonimo divenuto anche canale YouTube e pagina instagram.

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