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9 maggio: omaggio a Peppino Impastato e Aldo Moro

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5 minuti di lettura

Il 9 maggio è una data alla quale spesso non viene dato il peso che meriterebbe. Ricorre l’anniversario di una delle pagine più brutte della storia del nostro Paese, una data che parla di terrore, di violenza, ma anche di lotta.

Il 9 maggio 1978 vennero assassinati Peppino Impastato e Aldo Moro.

Peppino Impastato

Peppino Impastato era un giovane siciliano nato e cresciuto nella provincia di Palermo. Giovane attivista, poeta e giornalista era però nato in una famiglia mafiosa. Questo non fermò la sua lotta, infatti ruppe col padre da giovanissimo e si dedicò interamente a un’attività politico-culturale antimafiosa.

Parlare di mafia negli anni ’60-’70 in un piccolo paese siciliano richiedeva estremo coraggio e determinazione. Peppino condusse lotte estreme per la difesa dei disoccupati palermitani nelle file del PCI e denunciò a gran voce gli espropri fatti contro i contadini della provincia di Cinisi, dovuti alla costruzione di una terza pista dell’aeroporto di Palermo. Fondò un circolo chiamato «Musica e Cultura» con lo scopo di diffondere e far proliferare in massima parte le attività culturali della zona. Più volte all’interno di questo circolo sostenne l’importanza fondamentale che aveva in quell’epoca la diffusione radiofonica, soprattutto per la lotta politica.

Credeva che questa fosse un mezzo estremamente importante per la diffusione del pensiero e delle notizie, che la controinformazione creasse una strada di diffusione della pluralità e delle fonti fondamentale per lo sviluppo di una coscienza intima e collettiva. Per questo nel 1977 fondò Radio Aut, una radio che trasmetteva da Cinisi a Terrasini, completamente autofinanziata. Lo scopo era propagandare, dar voce e diffondere la cultura antimafiosa in un momento e in un luogo dove questo retroterra era assolutamente assente. Da una parte alcuni esponenti dello Stato sostenevano che la mafia non esistesse, dall’altra la cultura popolare dell’epoca vedeva la lotta alla mafia come inconcepibile, perché quest’ultima era radicata nel tempo, poterla sconfiggere era un’ipotesi del tutto remota e comunque considerata non proficua. In questo clima di paura, terrore e disinformazione Peppino Impastato fece rimbombare la sua voce.

Peppino Impastato e Aldo Moro

Le notizie nazionali servivano come spunti per approfondimenti e critiche sull’operato del governo Andreotti, sul terrorismo degli Anni di Piombo, sui vari rapporti tra Stato e mafia e anche sul compromesso storico, buttando sempre un occhio vigile sulle condizioni e le leggi sociali. Vi era anche uno spazio dedicato alle notizie operaie, in cui si trattava delle condizioni dei lavoratori nelle fabbriche, gli scioperi, i maltrattamenti e le morti sul lavoro.

Impastato e tutti coloro che con lui collaboravano assiduamente, mettendo a rischio la propria vita per questo progetto, utilizzavano poi in larghissima parte Radio Aut per denunciare i crimini mafiosi del boss Gaetano Badalamenti, uno degli esponente principali del traffico di droga del periodo. Peppino era quel genere di eroe che non aveva paura di toccare con mano il pericolo pur di dire la verità. Con intelligenza, arguzia e profonda ironia scherniva la mafia, temendola, come tutti, ma non piegandosi a lei:

«Lo sai chi c’abita qua? Ah, u’zu Tanu c’abita qua! Cento passi ci sono da casa nostra, cento passi! Vivi nella stessa strada, prendi il caffè nello stesso bar, alla fine ti sembrano come te! E invece sono loro i padroni di Cinisi! E mio padre, Luigi Impastato, gli lecca il culo come tutti gli altri! Non è antico, è solo un mafioso, uno dei tanti! Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!»

Nel 1978 Peppino si candidò alle elezioni comunali nelle liste di Democrazia Proletaria. Venne però assassinato nella notte tra l’8 e il 9 Maggio 1978, proprio nel corso della sua campagna elettorale. Peppino venne fatto a pezzi sui binari della ferrovia. Lo depositarono sulle rotaie, stordito, lo imbottirono di tritolo e lo fecero saltare in aria. Pochi giorni dopo, durante il corso delle votazioni, gli abitanti di Cinisi lo elessero comunque simbolicamente nel Consiglio Comunale.
I media del tempo non dettero particolare rilievo alla morte di Peppino, perché quella stessa mattina vennero sconvolti da un lutto di portata nazionale: il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.

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Aldo Moro

Erano state le Brigate Rosse, 55 giorni prima dell’omicidio, a rapire il presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana. La mattina del 16 marzo 1978, il giorno nel quale il nuovo governo Andreotti si preparava per essere presentato in parlamento per ottenere la fiducia, l’auto di Moro fu colpita da un attentato delle BR, che uccisero i carabinieri di scorta e lo sequestrarono. Le BR processarono Moro durante la sua prigionia autodefinendosi «Tribunale del Popolo» e chiesero come riscatto per la liberazione del presidente della DC la scarcerazione di alcuni prigionieri brigatisti.

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Il processo a  Moro non voleva, come spesso ed erroneamente si crede, mostra la contrarietà al compromesso storico tra il PCI e la DC che era in corso in quegli anni, infatti le BR vedevano il PCI come un nemico da combattere e la DC come massimi sostenitori del sistema capitalista che stava piano piano andandosi sempre di più ad affermare. Lo scopo delle Brigate Rosse era invece quello di ricostruire una sinistra italiana con il proprio apparato come struttura volta alla prospettiva di uno scontro rivoluzionario per la lotta contro il capitalismo.

Durante la prigionia Moro scrisse ben 86 lettere rivolte alla famiglia, a esponenti della DC e del governo e anche al Papa. In queste cercò di aprire una trattativa per la sua liberazione. Molte arrivarono a destinazione, altre vennero ritrovate nel covo quando questo venne scoperto, dopo la sua morte.

«Siamo ormai credo al momento conclusivo…Resta solo da riconoscere che tu avevi ragione…vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo e incredibile comportamento…si deve rifiutare eventuale medaglia…c’è in questo momento un’infinita tenerezza per voi…uniti nel mio ricordo vivere insieme…vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo.»

Molto si è parlato di queste lettere: alcuni sostengono che Moro non avesse libertà di parola e che quindi questi scritti fossero o dettati o controllati direttamente dai brigatisti. La moglie però sostenne a gran voce, soprattutto durante il sequestro, che quello delle lettere era lo stile e il modo di porsi del marito e che per questo andassero considerate autentiche.

Durante il mese e mezzo di prigionia la politica si divise in fazioni sulla questione Moro. L’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti ed il ministro dell’Interno Francesco Cossiga (entrambi deputati del partito di Moro) rifiutarono qualunque ipotesi di trattativa, invece esponenti come Craxi e Pannella cercarono più volte di aprire un fronte in parlamento per arrivare ad un compromesso con i terroristi. Forte invece fu l’intervento di Papa Paolo VI, amico intimo di Aldo, che «supplicò in ginocchio» che egli fosse liberato.

«Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato»

Quel giorno perdemmo tanto

Queste furono le parole dei brigatisti, infatti quel 9 Maggio il cadavere di Moro, ucciso per mano di Mario Moretti, venne fatto ritrovare a Roma, dentro una macchina rossa.

Peppino Impastato e Aldo Moro

Quel giorno perdemmo tanto. Il 9 Maggio fu un attacco alla libertà per mano di due forze diverse ma in ugual misura bestiali e terrificanti. Si spense Aldo Moro, a causa della scelleratezza di un sistema malato e terroristico, per la libertà insindacabile che ha ognuno di noi di fare politica.

Si spense la voce di Peppino Impastato, un uomo che morì per combattere un cancro che da troppi anni affligge il nostro paese, per il diritto di parlare e di protestare contro le ingiustizie. La speranza dei mafiosi era che il silenzio potesse sopraggiungere, perché come Peppino tanti furono i morti di mafia, la verità è che da quel giorno la voce di tutti loro esce dalle nostre bocche.

Margherita Vitali

 


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