fbpx
"Madonna del parto", Piero della Francesca, 1455, affresco, Monterchi (Arezzo)

«Madonna del parto» di Piero della Francesca: una dimensione sacra pregna di vita

/
5 minuti di lettura

L’affresco della Madonna del Parto di Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro, 1416 – Borgo Sansepolcro, 1492) databile tra il tra il 1455 e il 1465, è un’opera magnetica, unica, enigmatica ma che conserva al tempo stesso una dimensione quotidiana e umana. Il suo pathos e quegli occhi “a fessura” leggermente socchiusi che sembrano scrutare con sospetto la realtà circostante (marchio distintivo dell’artista emiliano) hanno affascinato anche grandi intellettuali del mondo del cinema come Valerio Zurlini e Andrej Tarkovskij che resero protagonista l’affresco di San Sepolcro nei rispettivi film La prima notte di quiete (1972) e Nostalghia (1983).

"Madonna del parto", Piero della Francesca, 1455, affresco, Monterchi (Arezzo)
Madonna del parto, Piero della Francesca, 1455, affresco, Monterchi (Arezzo)

La proprietà e la scelta della collocazione definitiva della Madonna del Parto sono state oggetto di accesi scontri tra il Comune e la Diocesi di Monterchi (Arezzo). Infatti, sebbene fosse stato realizzato nella piccola Chiesa di Santa Maria di Nomentana, l’affresco venne ripetutamente spostato a causa di numerosi terremoti e restauri fino a trovare nel 1992 un’inusuale sistemazione nella piccola ex-scuola media di via Reglia, adibita proprio a Museo della Madonna del Parto. Negli anni è stata più volte proposto di collocarla nella vicina Chiesa di San Benedetto per restituirle l’originaria dimensione religiosa.

La personalissima e profonda carica emotiva di cui è pervasa quest’opera è riconducibile all’individuazione della Madonna con il ritratto ideale della madre di Piero, Francesca (Romana di Perino da Monterchia conosciuta tramite il cognome del marito Benedetto de’ Franceschi), da cui l’artista prese il nome in quanto nato e cresciuto senza aver mai conosciuto il padre. Rispetto alle più comuni raffigurazioni di una Madonna in trono, frontale, rigida, dall’aspetto ieratico e distaccato, Piero della Francesca pone questa umile ma dignitosissima gestante di tre quarti, così da mettere in evidenza i segni di una gravidanza ormai in stato avanzato (è da notare la veste slacciata) che la rende vicina alla quotidianità di una qualsiasi giovane madre.

Di fronte al realismo e all’umiltà quasi “contadina” di questa Vergine, vediamo stagliarsi una preziosissima tenda in visone che rivela e ostenta il lussureggiante sfarzo della fodera interna. Due angeli speculari e complementari realizzati probabilmente secondo la tecnica pittorica dello spolvero guardano direttamente all’osservatore, segno di un nuovo e più coinvolgente rapporto tra chi crea e chi guarda che diventerà fil rouge nell’evoluzione dell’arte moderna. Chi entra in contatto con l’arte non è più solo un mero spettatore, ma diventa vero e proprio lettore di una storia narrata attraverso immagini. La struttura del particolare tendaggio che sovrasta i personaggi riprende un personale motivo pittorico che l’artista propone anche nel Sogno di Costantino e ne Il Polittico della Misericordia, che probabilmente afferisce all’attributo iconografico della Madonna che attraverso l’interpretazione iconografica della “protezione del mantello” offre rifugio e salvezza alla comunità dei fedeli.

La dolcezza delle forme e delle linee che definiscono il profilo di questa giovane donna e la bellezza disarmante suggerita dal commovente tema della natalità fanno di Piero della Francesca il narratore di un’invincibile festività degli avvenimenti, dove il quotidiano assume una nuova e solenne dimensione sacrale. Secondo Roberto Longhi, celebre storico dell’arte che scrisse un’intera monografia dedicata al pittore toscano nel 1914 e poi nel 1927, Piero è stato capace di addolcire e rendere più coinvolgente ed efficace una rappresentazione prospettica dello spazio che era stata forse troppo rigidamente applicata nella pittura toscana del primo Rinascimento. Saranno proprio l’acuta indagine luminosa e l’innovativa rivoluzione del colore e delle forme del genio di San Sepolcro a porre le basi della maggiore pittura moderna veneta del XVI secolo.

Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.