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Andare con lentezza tra i ghetti d’Italia

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Dedali di vie segnate a mezz’aria dal procedere silenzioso delle papaline. Orde di bambini che schiamazzano nei vestiti neri. Profumi insoliti a impregnare l’aria e sguardi indecifrabili, a tratti inquietanti, dalle finestre. Spazi chiusi un tempo votati alla segregazione e oggi aperti alla curiosità dei turisti. Allegri nel proporre il loro patrimonio culturale, ma ancora guardinghi nell’accettare comportamenti smaccatamente “occidentali”. Sono i ghetti ebraici che disegnano le vie di molte città, d’Italia e d’Europa.

A Venezia i ghetti ebraici si conservano in fotogrammi fuori dal tempo. Sono stati fissati su pellicola diverse volte, tra le ultime da Ferdinando Scianna.

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Uno spazio aperto, di reclusione

Il ghetto è uno spazio aperto di reclusione dove genti affini per etnia, cultura o religione vivono insieme, volontariamente o meno. Il nome cela probabilmente un’origine veneziana: quello di Venezia fu uno dei primi a sorgere, già nel XIV secolo. Fu ricavato in una zona che in precedenza ospitava una fonderia di ferro, e in veneziano il geto o gheto è appunto il getto, di metallo fuso. Paradossalmente in origine l’area era destinata a pochi privilegiati, mercanti e usurai, e l’ingresso era vietato ai non ebrei. Il procedere degli anni vedrà scadere la ricca oasi, che arriverà a rappresentare uno spazio opprimente e povero.

I divieti d’accesso per gli ebrei a terreni al di fuori dei ghetti compressero l’urbanistica di questi agglomerati, stringendoli tra vie strette e anguste. Su queste pendevano case alte e affollate.

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Ghetti rinchiusi dal Papa, liberati dalla Rivoluzione

La forma abitativa del ghetto ebraico ha origini relativamente recenti, in risposta ai dettami della bolla Cum nimis absurdum del 1555, opera di Papa Paolo IV. L’insediamento degli ebrei era limitato all’Italia al centro-nord, dato che al sud i decreti di espulsione li avevano in precedenza allontanati. Dal ghetto gli ebrei usciranno definitivamente solo nell’Ottocento, nonostante già da principio avessero fatto di tutto per evitarne l’istituzione. In Piemonte la nascita fu ritardata mentre a Pisa e Livorno addirittura evitata. Dal Settecento, con il primo serpeggiare degli ideali della Rivoluzione francese, iniziò un’emancipazione poi sancita dallo Statuto Albertino nel 1848.

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Strade che tengono vive le memorie

In Italia fu Roma a chiudere l’ultimo ghetto, nel 1870, con l’annessione al nuovo Stato italiano. Lo spazio di confino del ghetto fu riscoperto durante la Seconda guerra mondiale, con intenti ben più tristi e malsani. La conformazione opprimente doveva facilitare il controllo della popolazione da parte dei nazisti.

Di alcune di queste istituzioni sono completamente sparite le tracce, altre sono rinate: cuori pulsanti di una comunità che le riconosce non più forzatamente come proprie. Alcune furono risanate, fisicamente e spiritualmente. Oggi la tendenza è alla conservazione. Del patrimonio storico, artistico e culturale, e della memoria che veicola e conserva. L’indolenza e l’incuria del periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale sono sfociati nella demolizione, nello sventramento, o, talvolta, si sono rovesciati nella conservazione integrale.

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Fonte dell’immagine di copertina: www.themammothreflex.com

Francesca Leali

Nata a Brescia nel 1993. Laureata in lettere moderne indirizzo arti all'Università di Bergamo, dopo un anno trascorso in Erasmus a Parigi. Appassionata di fotografia, cinema, teatro e arte contemporanea.

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