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Antonella Polimeni alla guida della Sapienza di Roma è un’ottima notizia

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8 minuti di lettura

Dopo settecento anni l’Università La Sapienza di Roma nomina una rettrice. Settecento anni. Non settanta o sette, ma settecento. E mentre dovrebbero sorprenderci eventi violenti, lasciarci senza parole, costernati e con la voglia di cambiare le cose, nel 2020 ciò che ci sorprende è che per la prima volta, dopo settecento anni, una donna, Antonella Polimeni, sia alla guida di una prestigiosa e antica università italiana. La caccia alle streghe, infatti, non ha mica avuto fine nel Seicento. Per tutti questi secoli la caccia alle streghe ha continuato ad essere un punto fermo delle società occidentali, maschiliste e patriarcali che si sono opposte in tutti i modi all’accoglienza delle diversità di genere e alla richiesta giusta di parità di diritti tra uomini, donne e qualsiasi tipo di essere umano che avanzasse questa “assurda” pretesa.

Perché un evento così ci sorprende

Per questo abbiamo dovuto attendere settecento anni per vedere una donna alla guida de La Sapienza. Qualcuno potrebbe obiettare sostenendo che, evidentemente, in settecento anni non si era mai distinta nessuna donna sul piano dei meriti e della ricerca e che quindi la scelta di uomini dopo uomini dopo uomini fosse stata dettata da necessità logistiche. Ma sappiamo tutti che non è vero. Al di là delle esasperazioni del politically correct, nessuno di noi può credere che in settecento anni non ci sia stata mai neanche una donna in grado di guidare La Sapienza.

antonella polimeni
Antonella Polimeni

Perché è vero, se si chiede la parità dei diritti logica vorrebbe che attraverso metodi e misure totalmente imparziali venissero valutati uomini, donne, transessuali, omosessuali, diversamente abili e persone di colore. Ma in realtà sappiamo tutti che non è così. Il sesso biologico e l’orientamento di genere, al pari del colore della pelle sono stati sempre considerati dei fattori di valutazione inequivocabilmente validi da un sistema di controllo e di potere prettamente maschio-centrico e bianco. Per questo ci sorprendiamo ancora se una donna diventa rettrice; per questo ci sorprendiamo ancora se un uomo di colore diventa il presidente degli Stati Uniti o se peggio ancora una donna di colore diventa vice-presidentessa degli Stati Uniti.

Antonella Polimeni: riconoscimento e auto- determinazione

Antonella Polimeni ha un curriculum universitario e medico invidiabile, in cui spicca la sua partecipazione attiva all’interno del contesto accademico, fin dai temi in cui era una studentessa di medicina, alle pubblicazioni scientifiche e al lavoro condotto instancabilmente in anni e anni di ricerca, di docenza e di professione medica. Nell’intervista rilasciata a Repubblica, Polimeni sottolinea la necessità di ringraziare due figure importanti nella sua vita, che l’hanno aiutata a non mollare mai e a non smettere mai di credere nei propri sogni: suo padre e suo marito. Due uomini, sì. Ovviamente non facenti parte delle schiere dei maschilisti che affollano ancora il nostro presente. Uomini che anziché schiacciarla per imporre la loro idea e il proprio dominio, l’hanno accompagnata nel lungo e difficile percorso che le si prospettava, come donna e come medico.

Riconoscimento: Antonella Polimeni come Kamala Harris

Non è questo chiaramente il luogo per discutere della biografia di Polimeni, di cui il web è già pieno, ma piuttosto un’occasione per riflettere sul tema del riconoscimento di cui donne, persone di colore e altre persone che hanno comportamenti sessuali differenti da quello che è il modello patriarcale maschio-eurocentrico prevede.

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Un fatto di attualità come quello dell’elezione di Antonella Polimeni ci pone di fronte la questione del riconoscimento al pari di quanto accaduto con l’elezione di Kamala Harris alla vice-presidenza degli Stati Uniti con il neo governo guidato da Joe Biden.

Pensiero del riconoscimento

Vivendo da secoli in una società che riconosce come unico modo d’essere possibile quello dell’uomo bianco e possibilmente ricco e occidentale, risulta ancora oggi difficile riconoscere la possibilità di esistenza dell’altro come naturale, normale. È per questo che ancora oggi ci sorprendiamo di fronte un fatto di questa portata.

Nel testo Vite precarie la filosofa Judith Butler sostiene:

Siamo esseri sociali perfino nella nostra dimensione più intima; siamo sempre rivolti verso un “tu”, sempre al di fuori di noi stessi, costituiti da norme sociali che ci precedono e ci eccedono, consegnati ad un insieme di norme culturali e dimensioni di potere che ci condizionano in modo determinante.

(Butler 2004, 66-67)

Riconoscimento e linguaggio

È per questo che le donne (e non solo) hanno faticato e faticano da secoli per essere riconosciute come esseri umani, nella loro possibilità di auto- determinazione e volontà. Siamo esseri sociali che si identificano in una comunità e che in quella comunità devono essere liberi di scegliere il proprio posto. Sempre ammesso, però, che quella comunità glielo consenta. Per Polimeni aver ricevuto il riconoscimento da due uomini, come lo sono stati suo padre e suo marito, evidentemente ha rappresentato un punto di svolta per la sua carriera, ma anche e soprattutto per il suo riconoscersi come essere umano e come donna. La sua elezione ci lascia sopresi perché, ancora oggi, la società patriarcale euro- maschio- centrica in cui viviamo, stenta a riconoscere alle donne il loro status di esseri umani, esattamente come stenta a riconoscerlo ai migranti o ai transessuali.

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E tutto parte dal linguaggio, che non è neutro. Testate giornalistiche, anche di taratura nazionale, hanno definito Polimeni “rettore” della Sapienza di Roma. Lei si definisce “rettrice”, declinando giustamente al femminile, una carica che è stata per secoli appannaggio maschile. Usare “rettrice” e non “rettore” pone un freno alla considerazione che alcune cariche di prestigio e potere in una società possano essere ricoperte solo dagli uomini, aprendo alle donne una possibilità di esistenza che prima non era loro consentita.

La prima, ma non l’ultima

Ci auguriamo che questo sia un ulteriore passo verso una rivoluzione che ormai si presenta come necessaria e imprescindibile e, per riprendere le parole di Kamala Harris nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca «sono la prima, ma non sarò l’ultima!».

 


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Anto D'Eri Viesti

A proud millennial. Dopo il dottorato in semiotica e gender studies decide di dedicarsi solo alle sue passioni, la comunicazione e la scrittura.
Copywriter e social media manager.
La verità sta negli interstizi, sui margini e nei lati oscuri.
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