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«Atti Umani»: il romanzo di Han Kang che svela l’altro volto della storia

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7 minuti di lettura

Con il romanzo Atti Umani, la scrittrice sudcoreana Han Kang mette ancora una volta alla prova la coscienza dei suoi lettori attraverso una cronaca, intima e drammatica, del colpo di Stato militare che ha sconvolto la Corea del Sud negli anni Ottanta. Un’opera che parla all’Occidente, al cuore di quegli uomini convinti che una tragedia, per considerarsi tale, debba colpire solo sé stesso o il proprio vicino.

Una nuova immagine della Corea

Prima con La Vegetariana e ora con Atti Umani (entrambi editi in Italia da Adelphi,) Han Kang sta aprendo le porte a una letteratura d’oltreoceano, facendo entrare la cultura orientale negli scaffali delle nostre case.

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La sua non è però la delicatezza nipponica di Banana Yoshimoto, né tanto meno la sua opera si avvicina alla vena satirica che avvolge come un fungo radioattivo la vicina Corea del Nord.

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‘Atti Umani’, Han Kang, Adelphi, 2017

Quella di Han Kang in Atti Umani è una scrittura di denuncia, che vuole far conoscere al mondo la storia di un Paese che sembra vivere nell’ombra: nell’ombra dei grattacieli di Seoul, metropoli al centro dell’espansione dei mercati internazionali, meta ambita da società quali Chanel e Gucci che investono in eventi, sfilate, mostre e aperture di nuovi store. Nell’ombra dell’industria cosmetica, che propina giovani donne dalla pelle bellissima, bagni di latte, makeup camouflage per i soldati dell’esercito, e che grazie a confezioni a forma di panda e scimmie kawaii fa credere che, banalmente, il Paese del Bengodi profumi di rosa e sia affollato da barbecue restaurant con cappa aspiratrice su ogni tavolino. No, la realtà che Han Kang racconta è un’altra.

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È quella di milioni di civili massacrati nella piazza d Gwangju l’8 maggio 1980, durante una manifestazione pacifica contro il regime di Chun Doo-hwan: bambini dalle membra contorte a causa della violenza dello sparo, palestre e sale comunali riempite di cadaveri dai volti tumefatti, irriconoscibili persino dai familiari, che si aggrappano a brandelli di vestiti o a un paio di scarpe, quegli indumenti indossati prima di uscire, prima di non fare più ritorno. La scrittrice non risparmia il lettore: non le importa se le descrizioni macabre, i continui riferimenti al puzzo della decomposizione, siano troppo cruenti, troppo forti da sopportare. È quello che lei desidera: se ci sono coscienze troppo delicate per affrontare certe verità, è meglio che si sveglino; se altre sono troppo indifferenti, bisogna che finalmente aprano gli occhi e guardino.

La narrazione corale: la voce dell’individuo, la melodia del gruppo

Il tipo di narrazione prescelto da Han Kang è quello corale: diversi personaggi, ognuno con la sua personale versione da raccontare, ma tutti partecipi di un unico racconto. Tante voci che cantano un’unica canzone. Voci di donne, bambini, studenti, prigionieri. Tutti hanno perso qualcuno; un figlio, un amico, un fratello, sé stessi. Niente di nuovo fin qui, la coralità è di moda nella letteratura contemporanea – si fa a gara per imitare il vocalismo di Martin in Game of Thrones. La qualità di Han Kang sta nel non fossilizzarsi in un momento: le tragedie hanno ripercussioni che durano nel tempo, così, dal 1980, arriviamo al 2010, passando per il 1985, per gli anni Novanta.

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Una madre non piange il figlio solo al suo funerale; i dolori di una tortura non svaniscono dopo la scarcerazione. Il Sud Corea che si esplora in Atti Umani è così vicino ai giorni nostri da spaventare una mente attenta: in Occidente si sono conosciuti olocausti, foibe, gulag, e si tende a dimenticare massacri avvenuti a quattordici ore di volo, soltanto quarant’anni fa. Oggi sono pochi i sopravvissuti alla Shoah, ma in Sud Corea sono molti quelli che ancora si recano sulle tombe dei cari perduti. La differenza? Per le vittime di entrambe le tragedie, nessuna. Per noi, un abisso di film, romanzi, testimonianze, che mantengono viva la memoria di un dramma, mentre gli occhi si distolgono da quello che accade a chi non abita accanto a noi.

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Il frutto della rabbia

Arrivare alla fine di queste pagine non è semplice. Il romanzo di per sé è di duecento pagine, ma in ognuna c’è dolore a sufficienza da avvelenare goccia dopo goccia: bisogna smaltire quella precedente per proseguire senza intossicarsi. Quando però si chiude il libro si scopre la verità della scrittrice, e tutto acquista un sapore più amaro: il filo conduttore dell’opera, la morte di un bambino, Dong-ho, ha toccato di persona Han Kang. Il piccolo viveva nella sua vecchia casa di Gwangju, venduta quando lei e la famiglia si trasferirono a Seoul. Due vite parallele, unite dal nido familiare: Dong-ho ha studiato sul pavimento legnoso come un tempo faceva Han Kang, e ha contemplato il cortile interno in primavera quando il caldo faceva nascere i primi boccioli. L’aver condiviso qualcosa con un essere umano mai conosciuto ha dato alla scrittrice la voglia di avvicinarvisi, seppur da lontano, scoprendo come è stato ucciso, parlando con i suoi fratelli, che ancora sentono gli echi della sua voce infantile, o restando in silenzio di fronte alla sua tomba – accanto, tante lapidi bianche.

 

Anna Maria Giano

Mi chiamo Giano Anna Maria, nata a Milano il 4 marzo 1993. Laureata Lingue e Letterature Straniere presso l'Università degli Studi di Milano, mi sto specializzando in Letterature Comparate presso il Trinity College di Dublino.Fin da bambina ho sempre amato la musica, il colore, la forza profonda di ciò che è bello. Crescendo, ho voluto trasformare dei semplici sentimenti infantili in qualcosa di concreto, e ho cercato di far evolvere il semplice piacere in pura passione. Grazie ai libri, ho potuto conoscere mondi sempre nuovi e modi sempre più travolgenti di apprezzare l'arte in tutte le sue forme. E più conoscevo, più amavo questo mondo meraviglioso e potente. Finchè un giorno, la mia vita si trasformò grazie ad un incontro speciale, un incontro che ha reso l'arte il vero scopo della mia esistenza... quello con John Keats. Le sue parole hanno trasformato il mio modo di pensare e mi hanno aiutata a superare molti momenti difficili. Quindi, posso dire che l'arte in tutte le sue espressioni è la ragione per cui mi sveglio ogni mattina, è ciò che guida i miei passi e che motiva le mie scelte. E' il fine a cui ho scelto di dedicare tutti i miei sforzi, ed è il vero amore della mia vita.

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