Prima autrice sudcoreana a vincere il prestigioso Man Booker Prize (premio letterario britannico per autori internazionali) Han Kang (Hangul, 27 novembre 1970) ha conquistato il pubblico mondiale con La Vegetariana (Adelphi, 2016), storia tanto cruda quanto profondamente poetica, trattando in chiave intimista e sociale un tema ormai considerato di “moda” : il vegetarianismo. Sebbene il titolo possa deviare il lettore nel considerare quest’opera il mero resoconto di un regime alimentare, La Vegetariana nasconde in sé un’impietosa analisi antropologica, scevra da qualsiasi stereotipo moderno che vede il vegetarianismo, e ancor più il veganismo, come una scelta estrema, a volte salutare, a volte puramente estetica, ma sempre e comunque drastica.
Ambientato in una Seul quasi inesistente, che appare raramente fra le righe per accennare un senso di realismo, La Vegetariana segue la vita di Yeong – hye, una giovane donna, che in seguito ad un truculento sogno di tranci di carne sanguinolenti, decide di rinunciare per sempre al consumo di carne e a prodotti di origine animale. Imponendo tale regime anche al marito, Yeong – hye svuota il frigo di ogni traccia di carne, butta scarpe e borse in pelle, e inizia così un percorso di crescente intensità verso un’atrofizzazione della sua natura umana, per confluire interamente in un’essenza vegetale.
Osteggiata strenuamente dalla famiglia, in quanto, nonostante sia una pratica molto diffusa, il vegetarianismo è fortemente mal visto in Corea, Yeong – hye si trova sola a difendere questa scelta, mentre il marito l’abbandona e il padre la ingozza con la forza. Ciò che è da considerarsi sorprendente di questo grande romanzo, è che Yeong – hye non è mai la voce narrante, e le sue parole paiono distillate col contagocce. Descritta prima dagli occhi critici del marito, poi da quelli affascinati del cognato, e infine da quelli rassegnati della sorella, la giovane donna viene presentata in tutte le sue possibili sfaccettature, attraverso visioni a volte contorte a volte angosciate, da parte di chi la circonda. Inizialmente, nessuno comprende né accetta tale scelta, ma ciò non sembra turbare il placido e rassegnato animo della donna, il cui unico desiderio è quello di volersi liberare dal grumo di morte ingerito con ogni boccone animale, che le pesa sull’animo come un macigno insostenibile.
Cure mediche e ricoveri psichiatrici imposti dalla famiglia non paiono piegare la lignea volontà di Yeong – hye, che si erge come un tronco secolare a sfidare la bufera indolente dell’incomprensione e dell’ignoranza. Il suo corpo deperisce, le sue forze si ritirano, la sua coscienza si assopisce nel letargo della consapevolezza, dove essa si adagia con placida rassegnazione. Smette di uscire, di parlare, e apparentemente di pensare, lasciando che la vita le scorra addosso come la pioggia sulle foglie. Se da una parte il mondo si chiude nei suoi confronti, abbandonandola come accadrà col marito e i genitori, un’altra ne è irrimediabilmente attratta, come il cognato artista che immagina vivaci fiori sbocciarle su tutto il corpo. Ma solo una piccola nicchia, costituita dall’amata sorella, si sforzerà di comprenderla, di estirpare dal suo cuore il seme maligno che la sta portando alla morte.
Scavando a fondo nell’animo di Yeong- hye, la sorella maggiore troverà, sommerso da strati e strati di terra, il dolore segreto di Yeong – hye, il suo disgusto per la violenza e l’arroganza, che il suo essere ha subito con le percosse di un padre violento, con l’indifferenza di un marito mediocre, e che lei stessa sente di aver inflitto alla Terra, trucidando esseri vivente con il solo scopo di soddisfare il suo palato. Il suo percorso, lontano dall’essere legato al cibo, è una vera e propria fotosintesi, in cui essa assorbe l’energia della luce, la purezza dell’acqua, per tramutarle in un’aria più compassionevole, un ossigeno di misericordia vegetale tipica solo di quelle creature verdeggianti che, col capo immerso nel terreno, danno senza mai pretendere.
Sono dunque la pietà, l’espiazione, il perdono che Yeong – hye cerca; l’assoluzione per essere stata carnefice, pur avendo sempre vissuto da vittima, per aver ucciso, dopo essere stata massacrata, e mentre la sua essenza umana pare non appartenerle più, in una trasfigurazione metafisica che ricorda la trasformazione arborea della ninfa Dafne, essa si abbandona alla dignità della Terra, si abbandona alla carità e, per la prima volta nella sua esistenza, si abbandona alla vita.