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Bill Viola, e la morte non è mai stata così viva

Quindici opere che ripercorrono gli ultimi trent’anni di lavoro dell’artista. Fino al 25 giugno 2023 la retrospettiva al Palazo Reale di Milano

8 minuti di lettura

«Un mondo digitale, visivo e non materiale, ci ricorda la nostra fragilità e impermanenza». Questo è il mondo di Bill Viola spiegato con le parole della moglie Kira Perov, direttrice esecutiva del Bill Viola Studio. L’universo dell’artista è quello di una video art dove la realtà si rallenta tanto da sembrare immobile: statico e dinamico finiscono per avvicinarsi a tal punto da darci l’illusione di coincidere. L’unico modo per vedere il movimento nelle installazioni video di Bill Viola è allora fermarsi, raccogliendosi in un momento di contemplazione ed intima riflessione. I tableaux vivants proiettati sui grandi schermi al plasma prendono così davvero vita, rivelando un movimento che in una società così frenetica potrebbe sfuggire. 

Kira Perov suggerisce quindi un atteggiamento meditativo a tutti i visitatori della retrospettiva BILL VIOLA al Palazzo Reale di Milano fino al 25 giugno 2023. Quindici opere che ripercorrono gli ultimi trent’anni di lavoro dell’artista, curate nell’allestimento dal Bill Viola Studio con la collaborazione di Artemasia, viaggiano nella storia dell’arte fino a riflettere su un tema universale, ossia quello dei concetti di vita e di morte.

I rimandi alle opere del passato

A volte si tratta di vere e proprie citazioni, altre di intuibili riferimenti; in ogni caso, Bill Viola tiene sempre in considerazione l’arte del passato. Ne è un esempio The Greeting, ispirato al quadro La visitazione del Pontormo. L’artista racconta di aver visto per la prima volta l’opera in una libreria:

Mentre stavo uscendo vedo con la coda dell’occhio un volume appoggiato sul banco. Un nuovo testo su Pontormo. Sulla copertina era riprodotta la Visitazione, mi colpirono i colori. Di quel quadro non sapevo niente, ma non potevo smettere di guardarlo. Ho comprato il libro e l’ho portato a casa.

Lo stesso vale per Catherine’s Room, un’installazione di quattro schermi dove compare una donna in una stanza, intenta a svolgere dei rituali quotidiani. Da una piccola finestra, il colore del cielo passa dal rosato dell’alba fino al buio della notte. Ma il tempo non è quello di un solo giorno: un ramo visibile dalla finestra viene rappresentato in ognuna delle quattro fasi stagionali di fioritura. Il tempo si distorce, dilata e restringe mentre Catherine continua a svolgere le attività di tutti i giorni. Il riferimento è ad un’opera della fine del XIV secolo di Andrea di Bartolo, Caterina da Siena fra beate domenicane.

Riferimento nascosto o sovra-lettura?

Spesso, nell’analisi di un’opera di qualsiasi genere, si corre il rischio di dare interpretazioni che superano la volontà stessa dell’autore. Molti artisti apprezzano questo gesto (come ha affermato Gian Maria Tosatti in occasione dell’inaugurazione della propria personale presso Pirelli HangarBicocca). Altri, per non traviare la volontà originale dell’autore non osano, screditando chi ha provato con umiltà a fare una riflessione in più. Chi appartiene alla categoria di coloro che amano «cercare oltre» sono invitati a soffermarsi su una video-installazione delle prime sale, The Quintet of the Silent. Sullo schermo appaiono cinque uomini che, con una riproduzione in slow-motion, reagiscono a qualcosa che li turba emotivamente. Ognuno manifesta lo stupore in un modo diverso, proprio come gli apostoli del Cenacolo Vinciano che sentono il Messia pronunciare le parole «uno di voi mi tradirà». Addirittura il performer in arancione riprende proprio lo stesso gesto dell’apostolo Filippo che porta le mani verso di sé per difendere la propria innocenza. Anche i colori degli abiti dei performer sembrano riprendere alcune tonache degli apostoli.

La vita e la morte

Attraversando le sale, il tema del passaggio dalla vita alla morte si fa sempre più evidente. Bill Viola associa a questo concetto l’acqua e il fuoco. Entrambi sono elementi che ricompaiono in molte opere, in forme molto diverse fra loro. In The Raft, l’acqua è un potente getto che improvvisamente colpisce un gruppo di persone di età, genere ed etnie differenti, per poi cessare di colpo. Una catastrofe naturale colpisce tutti, senza porre freno alla sua potenza facendosi scrupoli legati a classificazioni sociali, etniche o di genere. In Emergence, ispirato al Cristo di Pietà di Masolino da Panicale, l’acqua è un battesimo, una resurrezione ma anche un passaggio nel mondo dei morti. Due donne, in ginocchio ai piedi di una vasca di marmo, pregano. Un uomo emerge dall’acqua, sotto gli occhi stupefatti delle due. Sembra un miracolo, una resurrezione; eppure, una volta caduto fuori dalla vasca, il corpo pallido dell’uomo resta senza vita tra le braccia della madre. 

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Niente muore

Tuttavia, la più incredibile e suggestiva metafora del passaggio dalla vita alla morte è la doppia installazione dell’ultima sala. Due video, Fire Woman e Tristan’s Ascension (The Sound of a Mountain under a Waterfall), proiettati uno di seguito all’altro, ci raccontano la storia di una morte, e di ciò che segue ad essa. Quello che è più interessante è proprio il concetto di passaggio su cui Bill Viola si sofferma. Il movimento non inizia o finisce con la morte dell’Uomo, ma è solo un passaggio. Il tempo non cessa quando gli occhi si chiudono per l’ultima volta, ma inesorabile procede, perché è un’energia inesauribile ed inesorabile. Così, dopo che la donna vista dall’uomo morente dietro alle proprie palpebre cade dall’altra parte, le lingue di fuoco si trasformano in acqua. Il movimento esiste e non dipende nella sua essenza dalla velocità che assume. In ogni modo, in ogni mondo, tutto scorre.

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Crediti:
Bill Viola, Tristan’s Ascension (The Sound of a Mountain Under a Waterfall), 2005
Installazione video/audio, proiezione video a colori in alta definizione; quattro canali audio con subwoofer (4.1), 5,8×3,25 m, 10:16 minuti
Performer: John Hay
Fotografia: Kira Perov © Bill Viola Studio

Clarissa Virgilio

Studentessa di lingue e letterature europee ed extraeuropee a Milano, classe 2001. Durante gli anni della triennale di lingue, ho seguito un corso presso la NABA sulle pratiche curatoriali. Amo guardare ciò che ha qualcosa da dire, in qualsiasi lingua e forma.

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