Lasciati alle spalle i due appuntamenti regionali del 26 gennaio, mettiamo da parte per un momento i risultati per capire quanto le elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna raccontano di tutti noi e dell’Italia come Paese.
Il Nord e il Sud, lo sviluppo industriale e l’emorragia demografica, l’Emilia Romagna e la Calabria. Una è una storica roccaforte della sinistra, esempio di buona amministrazione e simbolo della sinistra di palazzo e di piazza. L’altra è una terra calda e ruvida che contrappone le storture del Sud alle sue bellezze. Da un lato l’Emilia Romagna, indiscussa protagonista di questa campagna elettorale. Una roccaforte da difendere o da espugnare. Per la sinistra, l’Emilia Romagna è un simbolo, è una casa. Per la destra è l’ultimo baluardo di qualcosa che proprio da lì potrebbe rinascere in altra forma e che quindi è meglio tagliare alla radice. Laboratorio politico e di idee innovative, l’Emilia Romagna ha primeggiato in questa campagna elettorale anche perché è considerata un esempio di successo in fatto di crescita e di collaborazione tra cultura, tradizioni e impresa.
Dall’altro lato la Calabria sulle cui elezioni regionali si sapeva poco ancora qualche settimana prima del voto. Forse per i protagonisti, forse per l’assenza di gesti eclatanti o forse perché in fondo «al Sud il voto è ballerino» quindi è meglio non darvi troppa importanza. La Calabria è una regione che come molte altre nel Meridione d’Italia soffre problemi quali la disoccupazione, lo spopolamento e la presenza della criminalità organizzata pronta ad infettare non solo la politica, ma anche e soprattutto l’economia.
Due scenari molto diversi che, di fatto, raccontano molto di tutti noi e del nostro paese troppo spesso diviso, più nero nel viso, più rosso d’amor…
La comunicazione e la tendenza alla via più facile
Come spesso accade nel caso di elezioni regionali ed europee, i temi della politica nazionale le fanno da padrone. È più facile puntare su temi conosciuti dalla platea nazionale distraendo da temi locali o internazionali in cui di solito si pecca clamorosamente. Questa tendenza ha caratterizzato maggiormente l’appuntamento emiliano romagnolo.
Nel periodo pre-elettorale, la compagine di centrodestra ha sventolato bandiere come l’immigrazione e la lotta alle droghe cadendo in scivoloni come il caso dell’oramai famosa citofonata a favore di telecamere e social ad un privato cittadino minorenne (stranamente di origine nordafricana) accusato di essere uno spacciatore.
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Una voce spiacevole
A ciò si aggiunge l’oramai noto caso dei bambini di Bibbiano, che dopo essere stato sbandierato a livello nazionale con tanto di magliette ed accuse incrociate, viene messo nuovamente sotto i riflettori nella perenne spettacolarizzazione del dolore. Dall’altro lato, si è risposto con solide barricate tenute in piedi dai dati di 5 anni di amministrazione e di risultati considerati positivi dall’elettorato, ma mettendo da parte i simboli di partito che lasciano spazio ad un verde chiaro che poco ha a che vedere con la storia della sinistra emiliano-romagnola.
Spostandoci nella punta dello stivale, sarebbe stato interessante vedere la stessa forza nello stigmatizzare un cancro come la ‘Ndrangheta che affligge la Calabria e la sua economia. È inutile negare che non tutte le liste erano pulite come più volte affermato dal Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri e non tutti i candidati si sono chiaramente espressi contro la criminalità organizzata. Ma al Sud, si sa, il voto è ballerino…
Quanto sapete delle elezioni in Emilia Romagna? E quanto sapete sulla competizione calabrese?
È evidente che l’informazione influisca pesantemente sulla partecipazione e sul peso delle singole campagne elettorali. La sovrarappresentazione dell’Emilia Romagna risalta ancora di più se confrontata con l’appuntamento calabrese al quale giornali e telegiornali hanno dato un ruolo marginale. L’impressione è che come al solito, il Sud sia meno considerato e che sia più importante segnare un punto facile a proprio favore che scendere in campo e lottare su terreni difficili.
La Calabria è una terra in crisi che perde ogni anno i suoi figli regalandoli alle regioni del Centro-Nord o alle più varie destinazioni estere. Si fugge da casa propria alla ricerca di migliori opportunità di studio e di lavoro perché la terra dove si è nati non ne offre abbastanza o perché, in quella terra, amicizie e parentele sono più importanti del proprio Curriculum Vitae. È proprio lì che serve creare un’alternativa e un modo di fare politica che sia diverso. Bisogna sporcarsi le mani creando un’alternativa all’emigrazione che è una delle cause dell’alto astensionismo. Il voto ai fuorisede rimane un diritto negato e uno spreco elettorale perché si impedisce a una larga fetta della popolazione (solitamente giovane e scolarizzata) di esprimere il proprio diritto/dovere al voto.
Parlando di partecipazione, non ci sorprende che nella regione di Peppone e del primo Vaffaday nasca un movimento di piazza come le Sardine, che crea in poche settimane un’onda che risveglia le coscienze e dà fiducia ai molti che si oppongono ad una politica che spinge verso una lotta fratricida. Il primo pregio di questo movimento è quello di aver fatto sentire «meno sole» tutte le persone scese in piazza nelle varie città d’Italia e di aver fatto credere che in fondo non tutto è perduto. Questa forte mobilitazione, insieme alla polarizzazione del voto in un rinnovato bipolarismo, è uno dei principali fattori che ha contribuito alla crescita della partecipazione in Emilia Romagna toccando punte superiori al 70% nella provincia di Bologna.
Un’alternativa
Numerose sono le voci che nelle ultime ore hanno invocato la creazione di un fronte progressista che si opponga alle destre e che ponga al centro un rinnovato Partito Democratico (con qualche goccia di sinistra in più) attorniato da quelli che una volta si definivano «cespugli». L’idea è quella di unire sensibilità leggermente diverse puntando ad un medesimo obiettivo. La storia ci insegna che le coalizioni elettorali non bastano e che serve un corposo progetto politico che guardi lontano e non solo al successivo appuntamento elettorale.
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Per creare un’alternativa dobbiamo innamorarci della politica
I dati ISTAT del 28 gennaio sulla forbice economica tra Nord e Sud dipingono uno scenario disastroso. In virtù di ciò, è necessario pensare che valorizzare ogni territorio sia il primo passo per creare un’alternativa sia dal lato economico, che dal lato politico. È fondamentale parlare delle storture per poterle correggere e non per stigmatizzare un territorio. Allo stesso modo, è importante pensare al domani guardando a chi sta peggio e non a chi sta meglio. L’eguaglianza – di cui tanto si parla – si raggiunge migliorando la condizione degli ultimi, dei territori più depressi, e non abbandonandoli al proprio destino. Forse le elezioni sono un primo passo per guardare al domani, ma una volta tanto possiamo dirlo: «Ve lo chiedono le piazze, ve lo chiediamo tutti noi!».
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