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La “Causa Kirchner”: restituzione di «Scena di strada berlinese»

L'opinione pubblica tedesca nel 2006 si è divisa: è giusto restituire alla famiglia il dipinto trafugato dai nazisti? Oppure l'opera dovrebbe rimanere pubblica? Il "Caso Kirchner" fa discutere ancora oggi

12 minuti di lettura

Scena di strada berlinese è un dipinto a olio su tela di Ernst Ludwig Kirchner realizzato nel 1913 e conservato oggi a New York presso la Neue Galerie – Museum for German and Austrian Art. Fa parte di una serie di tele che Kirchner dipinse tra il 1913 e il 1915, le cosiddette “scene di strada“. Nonostante si tratti di un dipinto piuttosto celebre, non tutti sanno che Scena di strada berlinese è stato per diverso tempo al centro di un caso nell’ambito della Nazi Looted Art, ovvero la restituzione di opere sottratte durante il periodo nazista, in gran parte a proprietari ebrei.

«Scena di strada berlinese», Kirchner e il Nazionalsocialismo

Ernst Ludwig Kirchner nacque nel 1880 e già nel 1905 partecipò alla fondazione del gruppo di artisti Die Brücke, i cui membri si trasferirono a Berlino, all’epoca il fulcro delle arti in Germania.

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Le scene di strada segnano per il pittore la via verso una pittura più emotivamente carica e drammatica. Ne è un esempio Scena di strada berlinese, che la critica dell’epoca etichettò come “brutale”. Oltre a voler essere una critica nei confronti della società borghese dell’epoca, quest’opera è servita anche a sviluppare il linguaggio pittorico dell’artista sempre più vicino al concetto di pittura “libera” dai tecnicismi della pittura accademica, dal quale il gruppo Die Brücke, ma vale in generale per tutti gli espressionisti, prese le distanze. Nelle opere del periodo berlinese dell’artista si respira un’atmosfera di degenerazione, decadenza. A Berlino il pittore fissa il declino di una società sull’orlo di un baratro, dal quale prenderanno vita due guerre mondiali che lasceranno l’Europa in macerie.

Scena di strada berlinese

Proseguendo nella sua sperimentazione espressionista, bisogna dire che Kirchner era inizialmente fiducioso che i nazionalsocialisti potessero abbracciare la sua arte. Dopotutto, non solo era profondamente nazionalista, ma, per quanto lo riguardava, il lavoro che faceva era tedesco fino al midollo e si chiedeva se le autorità culturali nazionalsocialiste «sarebbero state in grado di comprendere il [suo] lavoro». Kirchner sembra aver simpatizzato brevemente con le idee nazionalsocialiste. Era d’accordo con la loro affermazione che l’arte «emerge dalla razza», condivideva il loro punto di vista che «i musei sono pieni di ebrei» in Germania. Tuttavia, verso la fine della sua vita, ammise che senza il supporto iniziale delle sue opere da parte di collezionisti ebrei non avrebbe avuto successo:

Il mio migliore e più onesto mercante d’arte era un ebreo; la prima persona che ha prestato attenzione al mio lavoro è stato un ebreo. Nessuno di loro era in alcun modo politicamente attivo. Nessuno di loro voleva che fossi in qualche modo diverso da quello che ero.

Nel frattempo, le aspettative di Kirchner che i nazionalsocialisti potessero valutare la sua arte erano state deluse nel 1933. Scriveva a Hagemann: «Ho fondato Die Brüke in particolare per promuovere l’autentica arte tedesca, che era maturata in Germania. Ora la mia arte dovrebbe essere non tedesca». È interessante notare che più gli diventava chiaro fino a che punto il suo lavoro veniva spinto verso i perimetri della scena artistica tedesca, più si sottolineava come artista tedesco. 639 delle sue opere erano state rimosse dai musei tedeschi da funzionari nazionalsocialisti. Come si è scoperto, venticinque dei suoi migliori dipinti sono stati invece presentati alla mostra Entartete Kunst (Arte degenerata).

La famiglia Hess e la sua collezione

Tra i collezionisti ebrei dell’epoca non si può non citare Alfred Hess. Hess è stato un industriale e collezionista d’arte ebreo tedesco di Erfurt, in Turingia. Nel corso della sua vita fece donazioni ai musei locali e i suoi libri dei visitatori furono così riccamente decorati, da artisti come Klee, Kandinskij, che le illustrazioni furono pubblicate come libro nel 1957 dal figlio Hans, intitolato Dank in Farben (Thank You in Colours).

Con sua moglie Tekla, nata Pauson, aveva una collezione d’arte di circa 4mila opere contemporanee, che contenevano importanti opere espressioniste tedesche e che fu saccheggiata dai nazisti negli anni Trenta. Quella della famiglia Hess è ancora oggi considerata una delle più importanti collezioni d’arte espressionista tedesca, considerata una delle più belle in mani private in Germania.

L’avvento della Grande Depressione e l’ascesa di Hitler

La morte di Alfred coincise con l’impatto della Grande Depressione che portò l’azienda al collasso e alla crescente persecuzione nazista. Nel novembre 1933, la Hess Schuhfabrik venne arianizzata. Nello stesso anno, Hans fuggì in Francia dopo che il suo appartamento a Berlino fu saccheggiato da una squadra nazista e venne licenziato dal suo lavoro in un giornale perché ebreo.

Sebbene alcune opere siano state vendute per raccogliere fondi, Tekla ha tentato di proteggere la maggior parte della collezione inviando alcuni pezzi all’estero come prestito a gallerie svizzere. Poco dopo, le autorità tedesche ordinarono la restituzione della collezione Hess in Germania, dove gran parte di essa fu successivamente venduta illegalmente o scomparve; stessa sorte toccò ad alcune opere rimaste in Svizzera. Senza entrate e di fronte a crescenti minacce, nel 1939 Tekla prese la difficile decisione di lasciare la Germania per raggiungere suo figlio, sua madre e suo fratello in Gran Bretagna. Delle migliaia di opere che avevano formato la collezione Hess, a Tekla ne rimaneva solo una manciata.

Alfred Hess, ritratto di Max Pechstein

Le prime misure di risarcimento e restituzione delle opere saccheggiate o trafugate durante il periodo del Nazionalsocialismo tedesco sono state intraprese a livello internazionale subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Dagli anni Novanta in poi, l’interesse pubblico per le opere trafugate durante questo tempo non ha fatto che aumentare. Sul piano internazionale, la Conferenza di Washington del 1998 porta quarantaquattro Paesi a impegnarsi nell’elaborazione di Principi applicabili alle opere d’arte confiscate dai nazisti. Tali principi non vincolanti hanno come obiettivo il raggiungimento di soluzioni giuste ed eque in materia di opere d’arte frutto di spoliazioni.

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Quando si pensa alle opere d’arte depredate durante la Germania nazista ci si immagina una scena violenta, con la Gestapo che entra nell’abitazione di un collezionista ebreo e confisca i beni. Ma non sempre questa scena corrisponde al modo in cui molte opere d’arte sono state sottratte ai loro legittimi proprietari fra il 1933 ed il 1945. I beni degli ebrei che fuggivano dalla Germania nazista o di coloro che venivano deportati erano confiscati dalle istituzioni, oppure i proprietari erano forzati dalle circostanze avverse a svendere per nulla i propri beni. In un contesto in cui la dittatura nazista ha escluso gli ebrei dalla vita economica e li ha depredati mediante le arianizzazioni forzate, fino a che punto è lecito parlare di libera scelta nella vendita di un’opera d’arte da parte di un proprietario ebreo?

La “Causa Kirchner”

Il ritorno del dipinto di Ernst Ludwig Kirchner Scena di strada berlinese all’erede dell’ex proprietario ebreo e le reazioni che ne derivano sono indicate come “Causa Kirchner”. Nell’agosto 2006, l’allora senatore per la cultura di Berlino Thomas Flierl annunciò che lo Stato di Berlino avrebbe accolto la richiesta di Anita Halpin, nipote del collezionista d’arte ebreo Alfred Hess, che viveva in Gran Bretagna, e che il dipinto sarebbe stato restituito in conformità con la Dichiarazione di Washington.

Tekla e Alfred Hess

La provenienza del quadro si traduce in una situazione che suggerisce la restituzione secondo la Dichiarazione di Washington: l’acquisizione da parte di Carl Hagemann, chimico, industriale e collezionista d’arte tedesco, è avvenuta dopo il 15 settembre 1935, cioè dopo l’introduzione delle Leggi razziali di Norimberga, ed è quindi da classificare come perdita di beni a causa della persecuzione nazista.

Il caso ha suscitato accese discussioni. Si dubitava che il dipinto della vedova Hess fosse stato venduto, anche se nel 1936, sotto la pressione dell’antisemitismo e fosse quindi un caso di arte saccheggiata. Si sostenne inoltre che le difficoltà finanziarie della famiglia Hess fossero dovute alla Grande Depressione del 1929 e che la vendita del quadro nel 1936 non avesse quindi nulla a che fare con la persecuzione dei cittadini ebrei.

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Il Brücke-Museum-Förderverein – associazione di supporto al Brücke-Museum di Berlino, dove Scena di strada berlinese era conservata ormai da anni – ha cercato di impedire l’asta. Tuttavia, l’ufficio del pubblico ministero di Berlino ha rifiutato di avviare un procedimento investigativo. Nonostante ciò, il dibattito non accenna a diminuire. La decisione del Senato di Berlino a fine luglio 2006 di restituire il dipinto ad Anita Halpin è stata deplorata come un’«amputazione» della «collezione unica» del Brücke-Museum, una perdita inestimabile per Berlino e probabilmente anche per l’opera d’arte stessa, poiché un dipinto non assumerà lo stesso carisma fuori Berlino.

Il tono acceso della discussione ha mostrato quanto le cause di restituzione trascendano il fine di ogni processo, quello cioè di stabilire e risarcire abusi precedenti. Come tutta la giurisprudenza sulle riparazioni di crimini avvenuti durante il periodo nazista, anche le cause di restituzione di beni depredati implicano un giudizio non tanto giuridico-legale, quanto più politico e morale su quello che è successo tra il 1933 ed il 1945 e polarizzano il dibattito.

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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