civiltà nuragica

I misteri della Sardegna

Torri ciclopiche, tombe monumentali, pozzi sacri: la civiltà nuragica affascina e confonde da millenni. Cosa si nasconde dietro le costruzioni degli antichi Sardi?

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Costruzioni ciclopiche svettano nel cielo sardo, mura e torri che riportano alle radici dell’antica Sardegna. La civiltà nuragica: il nome delle popolazioni che hanno dato vita a tali opere architettoniche è tanto evocativo quanto avvolto dal mistero, come complessa è una ricostruzione del passato di quest’isola. La civiltà nuragica costituisce un grande enigma per gli studiosi, in quanto non è stato lasciato nulla di scritto, fatto che contribuisce alla genesi di teorie – spesso anche molto fantasiose. In mancanza di prove la fantasia galoppa, ma cosa si sa veramente? Partendo dalle evidenze archeologiche, si può arrivare, almeno in minima parte, a ipotizzare chi fossero i popoli nuragici.

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La Sardegna presenta una storia millenaria: i primi resti di umani rinvenuti sull’isola sono databili all’alto paleolitico, con diverso materiale risalente fino a 35mila anni fa (ad esempio delle veneri preistoriche). Con il neolitico fanno la loro comparsa delle strutture megalitiche come il dolmen di Sa Coveccada (o S’Accovaccada) e il menhir di Corru Tundu, ai quali si attribuiscono funzioni religiose; tuttavia, è con l’avvento dell’età del bronzo che entrano in scena i grandi protagonisti della storia archeologica sarda: i nuraghi. Termine di origine pre-latina, significa “ammasso di rocce” o “cavità” e viene utilizzato per designare quelli che rappresentano solo lo scheletro di strutture molto più imponenti, attorno alle quali si crearono presumibilmente dei villaggi abitati da persone appartenenti alla stessa tribù e, molto spesso, consanguinee. Due sono le tipologie delle suddette strutture, a “corridoio” e “a tholos”, la seconda delle quali, insieme alla conformazione ciclopica, ricorda molto da vicino delle soluzioni architettoniche adottate nel sito archeologico dell’antica Micene (es. la cosiddetta “tomba di Agamennone”). Si tratta dei resti di un’epoca protostorica: lo sviluppo della civiltà nuragica può essere collocato tra il 1700 e il 1400 a.C. (Età del Bronzo), fino a coprire le prime fasi dell’Età del Ferro (1100-1000 a.C. circa), periodo in cui vengono solitamente collocati ascesa e declino del popolo miceneo.

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Affascinanti sono soprattutto le cosiddette “Tombe dei giganti”, un unicum archeologico che deve il suo nome all’enormità di queste tombe megalitiche. Una serie di stele sono poste in prossimità di queste costruzioni, a indicare l’ingresso nel mondo dei morti. Data l’enormità, sorge spontanea una domanda: chi dovevano ospitare? Si trattava forse di tombe collettive, destinate all’intera comunità? Oppure, forse nelle fasi più avanzate, sono state dedicate alle famiglie “aristocratiche”? Come nella maggior parte delle questioni legate alla cultura nuragica, non esiste una risposta certa.

Altro sito nuragico particolarmente icastico è il santuario di Santa Cristina: all’interno di quel che pare essere un recinto sacro, una scalinata porta dalla superficie a un pozzo sacro sotterraneo. Poco si sa della religione nuragica, ma sicuramente l’acqua svolgeva un ruolo chiave per via della sua connessione con la sfera della fertilità. Una serie di statuette votive ritrovate in loco mette in luce delle caratteristiche della società che le ha generate: demoni cornuti e guerrieri fanno pensare a una comunità di stampo guerriero, organizzata in clan; inoltre, la loro fattura evidenzia un ulteriore dato interessante: qualsiasi fosse l’occupazione principale di questo popolo, possedeva una grande abilità a livello di artigianato e nella lavorazione del metallo. Che si trattasse di commercianti e navigatori? Degli elementi comuni con la civiltà micenea, come le sopra citate strutture ciclopiche e la centralità della figura del toro negli oggetti d’artigianato, farebbero optare per questa soluzione. Inoltre, la posizione della Sardegna, unita all’abilità dei suoi artigiani, farebbe pensare a un coinvolgimento dei suoi abitanti nelle rotte commerciali presenti all’interno dell’antico Mediterraneo; non esistono, tuttavia, dati certi che vadano in questa direzione.

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La tarda Età del Bronzo fu un periodo di conflitto e – inseriti in questo contesto – è probabile che i nuraghi avessero prevalentemente uno scopo difensivo, ma l’ipotesi non esclude che le costruzioni potessero essere dotate di altre funzioni: magazzini, osservatori, strumenti di potere… le congetture di storici e archeologi sono molte, eppure non vi è alcuna prova che faccia propendere per l’una o l’altra interpretazione.

Ma chi erano gli uomini che hanno costruito queste opere ciclopiche?

Già Plinio il Vecchio citava gli abitanti della Sardegna, dividendoli in tre tribù principali: Iliensi nella parte meridionale, Balari al centro e Corsi nel nord dell’isola. Gli studiosi concordano nell’affermare che si trattasse di popolazioni autoctone, ma non si esclude la possibilità di una colonizzazione dell’isola a seguito di ondate migratorie avvenute nel corso dell’Età del Rame (4000-2200 a.C. circa). Una teoria interessante è quella supportata da Giovanni Ugas, e dal suo maestro Giovanni Lilliu prima di lui, secondo il quale i Sardi dell’età del Bronzo sarebbero quelli che le fonti egizie chiamano Shardana, meglio conosciuti come “popoli del mare”: dal termine šrdn, presente in fonti del Vicino Oriente e dell’antico Egitto e che viene normalmente tradotto con “guerriero” o “mercenario”, gli antichi Sardi si inserirebbero all’interno delle popolazioni che contribuirono al collasso di molte civiltà del bacino del Mediterraneo, conosciuto come “Collasso dell’Età del Bronzo” (XIII-XI sec. a.C.).

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Pur collocandosi in un periodo di estrema fragilità economica e sociale, la civiltà nuragica generò le più antiche e colossali statue d’Europa: i “Giganti” di Mont’e Prama, sculture antropomorfe monumentali datate tra il 1150 e il 900 a.C. Rimane tuttavia un mistero l’identità di queste figure: ricordo degli antenati, raffigurazioni di divinità o guerrieri?

Questa e altre domande rimangono ancora senza risposta, contribuendo ad accrescere il mito di un popolo tanto affascinante, quanto ancora poco conosciuto.

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Bibliografia:

Eleonora Bonacina

Sognatrice disillusa, classe 2000. Proveniente dalla leggendaria Domodossola, sono laureata in Filologia, Letterature e Storia dell’Antichità all'Università degli Studi di Milano. Interessata a tutto ciò che ha una storia da raccontare - con un fetish per il curioso e l’assurdo - vivo per i piccoli istanti rubati.
È facile che io sia quella ragazza seduta da qualche parte con un libro in mano.

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