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«Contagiati» di Andrea Mauri: la paura del contatto e l’isolamento

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Contagiati: la necessità di porre in isolamento i malati e di ridurre in quarantena tutti coloro che vi hanno avuto contatto.Un virus letale che sta contagiando la popolazione: ma cosa significa essere obbligati alla quarantena? Come ci si sente a stare lontani dai propri affetti, dal lavoro, dalla vita di tutti i giorni?

Un disagio fisico, emotivo e mentale. In un mondo in cui si è sempre circondati da cose e persone cosa significa trovarsi all’improvviso soli con se stessi? Situazioni di isolamento totale che possono condurre alla pazzia.

La quarantena è il periodo di segregazione cui è sottoposto il contagiato, il diverso, una fase probatoria necessaria a smascherare la malattia, un luogo di isolamento in cui la salute è sospetta, spiata da dietro un vetro di diffidenza. Fino al momento della diagnosi, la condanna alla solitudine forzata è preventiva, perché la salute degli uomini è troppo precaria per rischiare, e l’untore va isolato. Il virus fa tanto più paura quanto più viene da lontano, perché le vie sconosciute percorse dal diverso non possono che essere strade pericolose, terre infette.

contagiati

Contagiati di Andrea Mauri (Edizioni Ensemble 2019) è una narrazione ossessiva sulla caducità delle relazioni umane, sul senso psicoanalitico di angoscia che separa la mente dal corpo con il cambiamento inevitabile delle patologie improvvise che influenzano i legami con gli altri.

La fredda ed implacabile indicazione delle storie è un’esecuzione prolungata di insicurezza ed esitazione, contaminata da ogni influsso negativo conseguente ad ogni sentimento di umanità, diffusa in un’apprensione corale quando il contagio si impone a scompenso aggressivo dell’intelletto e priva l’onesta maturità dei rapporti umani.

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Il castigo corrisponde alla colpa e la sofferenza: in Contagiati è la riflessione sull’incomunicabilità, il tormento insistente ed assillante è tradimento e separazione. L’autore riconosce la trama maniacale del malessere emotivo e ammette la manipolazione della solidarietà. L’ansia disastrosa di isolamento impulsivo che orienta i racconti è il cedevole scenario in cui si proietta l’interpretazione trattenuta e soffocata della vita, nel contesto terapeutico della cura decadente alle affezioni della realtà.

Ogni racconto è comunicazione satura di estraneità  nella sfida quotidiana e morale per la guarigione, nell’assurda ed illogica contraddizione dei protagonisti, custodi della dolorosa difficoltà, disperata e vitale, di sostenere il tempo ed impedire il congedo dalla vita.

I personaggi ammettono la debolezza malinconica e fiera di chi rivolge lo sguardo alla fine e vivono affatturati, ammaliati da pensieri filosofici impassibili ma nell’intento introspettivo di dare un significato alle loro vicissitudini ne diventano ineluttabilmente schiavi.

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Spaventati da un eccesso di lucidità, scossi da caotici clamori, si abbandonano a nocivi ed impazienti monologhi. Lo stile dell’autore, autentico, sano ed essenziale implica nelle parole incessanti il coinvolgimento apprensivo di ogni confessione.

Le variazioni dell’inquietudine dilatano una letteratura della fine contro la fine, come principio nella finalità inviolata di un antidoto che coesiste con le nostre tensioni, con il decoro della cognizione, con la sapienza dell’accortezza. L’omaggio all’inizio del libro ne è serena profezia: «A chi ama lasciarsi contagiare dalla vita».

Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”

 


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