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La violenza domestica come effetto collaterale del Covid-19

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Ci sono degli effetti collaterali che spesso non vengono considerati quando si parla dell’emergenza sanitaria del Coronavirus. Le restrizioni messe in atto nelle ultime settimane (dal “restiamo in casa”, fino alle più stringenti delle ultime ore) potrebbero avere delle conseguenze estremamente gravi per molti soggetti fragili o in difficoltà, vittime di violenza domestica.

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Secondo un report delle Nazioni Unite, la pandemia attualmente in corso in tutto il mondo avrà un doppio effetto per le donne. La chiusura delle scuole da una parte e dei centri diurni per gli anziani o per le persone non autosufficienti dall’altra, stanno aumentando – in Italia e non solo – gli oneri di lavoro domestico e di cura non retribuito, che continua a ricadere principalmente sul genere femminile. A questo si aggiunge il tema della violenza di genere, un problema ancora purtroppo molto diffuso nel nostro Paese con cui difficilmente riusciamo a fare i conti.

Negli ultimi giorni, le associazioni e gli enti che si occupano di violenza domestica stanno lanciando numerosi appelli per continuare a mantenere alta l’attenzione sul tema. Ci sono appositi hashtag, campagne social, attività ministeriali, catene su WhatsApp e il lavoro continuo dei centri antiviolenza. Eppure la preoccupazione resta e ciò che spaventa maggiormente gli esperti è che in questa grave situazione sanitaria diminuiscano le denunce da parte delle donne che vivono in casa situazioni di maltrattamento.

I numeri del Telefono Rosa

A sostegno di questa tesi, ci sono alcuni numeri che stanno accendendo qualche campanello d’allarme. Dai dati rilasciati dal Telefono Rosa (la onlus italiana che da oltre 30 anni si occupa di seguire donne, anziani, e minori vittime di violenza, mobbing o stalking, ndr) emerge infatti che le telefonate, rispetto a quelle dello stesso periodo dell’anno scorso, nelle prime due settimane di marzo sono diminuite del 55,1%. Da 1.104 sono passate a 496. Di queste, le vittime di violenza che hanno chiamato il telefono dedicato sono state 101 con una diminuzione del 47,7%. Sono crollate anche le telefonate di vittime di stalking: l’anno scorso erano state 33, quest’anno soltanto 7, registrando così una diminuzione del 78,8%.

Violenza domestica: cosa sta facendo lo Stato?

I numeri e gli appelli degli ultimi giorni non hanno lasciato il Governo indifferente al tema. La Ministra delle Pari Opportunità e della Famiglia, Elena Bonetti, dopo aver annunciato lo stanziamento di fondi extra per i centri antiviolenza, ha rivolto un appello a tutte le donne, invitando a denunciare qualsiasi episodio di abuso e a non aver paura di lasciare il proprio domicilio in situazioni emergenziali.

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«È vero – racconta la Ministra a Repubblica – che abbiamo detto di stare a casa, ma se la casa è un incubo le donne devono farsi sentire». In accordo con la Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, la Bonetti ha inoltre dichiarato che le donne che andranno presso un centro antiviolenza saranno dispensate dal riempire con dati sensibili il modulo dell’autocertificazione obbligatorio per gli spostamenti.

«È un documento che è stato pensato per tutelare i cittadini però è importante che le donne sappiano che possono uscire e recarsi ai centri antiviolenza dichiarando che lo fanno per stato di necessità, mantenendo la riservatezza sulla causa specifica senza dichiarare altro motivo».

Violenza domestica
La Ministra Elena Bonetti. Lo scatto è di Romasette

Il Ministero chiarisce inoltre che il numero di aiuto per le vittime di violenza e stalking – il 1522 – è ancora attivo e gratuito. Inoltre, da poche ore è disponibile l’app del 1522, che permetterà di scrivere direttamente agli operatori, evitando quindi il rischio di essere ascoltate durante la chiamata. La chat con gli operatori è comunque disponibile anche sul sito 1522.eu.

Cosa stanno facendo le associazioni e i centri antiviolenza?

Sul tema della violenza di genere, le associazioni che si occupano delle donne non hanno fatto passi indietro, nonostante l’emergenza sanitaria del Coronavirus. In diverse stanno continuando a rilanciare l’hashtag #nonseisola, invitando a chiamare il 1522 in casi di abusi o maltrattamento di qualsiasi tipo. Le operatrici e le volontarie stanno attivando anche reti WhatsApp e Telegram per rimanere in contatto con le vittime (qui il canale di Obiezione Respinta, uno dei più importanti).

Tra le associazioni di spicco c’è Non una di Meno, che da giorni rilancia sui propri canali social appelli video e articoli di giornale relativi al tema, chiedendo maggiore attenzione da parte del Governo e del Ministero.

Violenza domestica

Intanto, anche i centri antiviolenza dicono la loro: «Per una donna che è vittima di maltrattamenti dire di restare a casa è un forte rischio, vuole dire passare giornate intere sotto lo stesso tetto con il maltrattante». A raccontarlo è Giulia Masi, presidente di GiuridicaMente Libere, realtà che ha un centro antiviolenza a Roma, nel quartiere Pigneto. Insieme a Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea e coordinatrice della rete Reama (Rete per l’empowerment e l’auto-mutuo aiuto) hanno chiesto alla ministra Bonetti l’istituzione di una task force con tutti i ministeri interessati.

Violenza domestica, cosa possiamo fare noi?

C’è un appello importante che fanno le operatrici del centro antiviolenza romano. «Se sentite rumori strani – raccontano – chiamate la polizia. Le vittime di violenza non possono». È davvero importante: spesso la violenza domestica è subdola e silenziosa, ma ci sono casi in cui non riesce a nascondersi e diventa evidente, anche per chi non è coinvolto in prima persona.

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Paradossalmente, possiamo fare tanto in questi giorni per sensibilizzare (e sensibilizzarci) sul tema. La rete D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) propone corsi e raccolte fondi per dare un aiuto concreto e tiene informati, tramite i propri canali, sulle principali iniziative dei centri antiviolenza italiani. Nel nostro piccolo possiamo parlarne della violenza domestica utilizzando i nostri canali social: informiamoci e promuoviamo i servizi che possono dare una mano concreta in caso di maltrattamento (primo fra tutti quello del 1522). Facciamo circolare le notizie e premuriamoci di fornire informazioni – anche generiche, ma importanti – alla maggior parte delle persone con cui entriamo a contatto, anche sul web.

La violenza è subdola e pericola. Ma questa volta, anche da casa, anche dai nostri smartphone possiamo fare qualcosa. Non sprechiamo questa opportunità.


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Agnese Zappalà

Classe 1993. Ho studiato musica classica, storia e scienze politiche. Oggi sono giornalista pubblicista a Monza. Vicedirettrice di Frammenti Rivista. Aspirante Nora Ephron.

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