Il 2 agosto appena passato è stato rinominato l’Ecological Debt Day in Earth Overshoot Day o “giorno del sorpasso“, che ogni anno calcola l’impronta ecologica dell’umanità sul pianeta e i rifiuti da lei prodotti, secondo le elaborazione del Global Footprint Network.
Un pianeta “in rosso” a ritmi sempre più accelerati e con conseguenze prevedibili e poco rassicuranti. La chiamano Human Footprint, l’indicatore per calcolare precisamente l’impronta umana fisicamente visibile, e valutabile dai satelliti. Secondo recenti studi il 75% della superficie terrestre ha subito trasformazioni causate dal nostro intervento sul pianeta. Non si parla solamente della terra ferma: la preoccupazione è infatti rivolta sopratutto alle acque. La produzione di plastica, a livello mondiale, ha raggiunto, oltre 310 milioni di tonnellate annue. Questo significa aspettarsi una quantità inimmaginabile di rifiuti di plastica nelle discariche e nei sistemi naturali di oggi e di domani. Nel solo 2010 si stima che da 4 a 12 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica siano finiti negli ambienti marini.
Oggi sono molti gli artisti e i fotografi che vogliono sfruttare appieno la propria arte per l’attivismo ambientale. Fotografia che riesce tuttora a parlare una lingua più forte e comprensibile a qualsiasi parallelo, che ha il potere di arrivare più in fretta al consumatore, di interrogarlo, di divulgare storie che altrimenti rimarrebbero nascoste. Il fotografo J Henry Fair, nel suo Industrial Scars ha deciso di non essere da meno e si batte perché lo spettatore veda l’effetto dei rifiuti tossici sull’ambiente.
Con l’aiuto delle compagnie aeree Southwings e Lighthawk, Fair utilizza una tecnica zenitale per fotografare i paesaggi come un’arte astratta. «Il mio obiettivo è quello di produrre belle immagini che stimolino una risposta estetica e quindi creino un dialogo. Se le immagini non sono belle, lo spettatore non si fermerà a considerarle».
Le sue fotografie, che a un primo colpo d’occhio sembrano quadri di un artista espressionista contemporaneo, nascondono in realtà il duro rapporto che c’è tra l’umanità e il pianeta.
Sembra di vedere “cicatrici”, Scars appunto, più che semplici impronte sulla terra.
Con una visione più ravvicinata, la fotografa tedesca Constanze Flamme è riuscita catturare i rifiuti intorno a Beirut come un alone nascosto, immortalandone le implicazioni ambientali.
Il Libano, che ama pubblicizzare il suo stile di vita mediterraneo per i suoi turisti, ha nella realtà gravi problemi ambientali da risolvere. I rifiuti intorno a Beirut stanno sciogliendo sostanze chimiche tossiche direttamente nel mare, uccidendo la vita marina e contaminando le spiagge.
Confessa l’autrice a Zenith magazine:
«Una fotografia è sempre una cornice e alcuni fattori sono lasciati al di fuori della cornice. Come è talvolta sperimentato in vasti paesaggi, una fotografia non necessariamente cattura il timore del momento. Era simile ad alcune attrazioni: l’enorme scala di bottiglie di plastica che coprivano le spiagge e la lettiera marina scintillante al sole. L’odore era particolarmente pungente, specialmente dove c’erano le fognature grezze che scorrono nel mare, come nella baia di Costa Brava, dove le acque di scarico colorano l’acqua di arancione. Non ho potuto guardare le immagini il giorno dopo che le ho scattate perché ho avuto una reazione fisica e il ricordo dell’odore e dell’immensità dei rifiuti era troppo forte».
Come al solito, bisogna tornare indietro nella storia per chiederci da dove questi comportamenti hanno iniziato a radicarsi, nel caso del Libano concentrandosi sulla mancanza di organizzazione durante e dopo la guerra civile, i problemi di corruzione e la priorità degli interessi della privatizzazione. Per risolvere, o almeno iniziare a guardare verso questo intento, è necessario attivare la consapevolezza comune e parlare di una crisi dei rifiuti che non investe un luogo soltanto, ma l’intero Pianeta.
L’ultimo progetto riguarda l’intero pianeta e in particolare i social media: 5 minute beach clean up è la sfida di una ragazza, Carolina Sevilla, artista e ambientalista, che tenta di coinvolgere chiunque a dedicare cinque minuti della propria giornata in spiaggia. Cinque minuti per raccogliere i rifiuti tra sabbia, piante, rocce e acqua. Cinque minuti donati al pianeta, meglio ancora se documentando e condividendo il momento di raccolta nelle sue fasi. #5minutebeachcleanup è la risposta contemporanea alle spiagge invase di rifiuti.
La crisi dei rifiuti riecheggia in ogni metro quadro del pianeta. La produzione di rifiuti ha ritmi incredibili e non risparmia nessuno spazio (naturale o artificiale che sia) e nemmeno le persone e le specie che lo abitano. Attualmente noi umani riusciamo a mantenere un record imbattuto: siamo produttori di rifiuti come nessun’altra specie sul pianeta. Che sia l’arte a parlarne o una pagina dei social network, la conoscenza può essere sfruttata al meglio proprio perchè condivisa.