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Da Degas a Picasso: a Pavia in mostra i capolavori della Johannesburg Art Gallery

In mostra a Pavia opere di artisti di fama internazionale, collezione voluta dall'incredibile personalità di Lady Florence Philips.

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Fondatrice della collezione museale Johannesburg Art Gallery – esposta a Pavia fino al 19 luglio – è Lady Florence Phillips, moglie del magnate dell’industria mineraria Sir Lionel Phillips. Collezionista d’arte e donna dal grande fascino, persuase il marito e altre figure importanti dell’industria ad investire nel suo progetto, convinta che la sua città dovesse avere un museo d’arte.

La aiutò nell’impresa Hugh Lane, grande personalità nella scena culturale britannica, suggerendole delle possibili acquisizioni. Sin dalla prima apertura il museo presentò al suo interno opere di grande modernità e qualità, un nucleo che si arricchì nel tempo grazie a nuove acquisizioni e donazioni. Il percorso espositivo inizia, infatti, con Lady Phillips (1909), uno splendido dipinto firmato da Antonio Mancini che rende omaggio ad una donna particolare e visionaria nei suoi progetti, che ha realizzato con successo. Sebbene sia vissuta più a lungo in Inghilterra che a Johannesburg, Lady Phillips è una figura fondamentale per la storia del proprio paese, dal momento che, grazie ai suoi nobili ideali, è riuscita a dar vita ad un edificio prezioso per la collettività, in cui fare e promuovere cultura.

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Poiché l’eccellenza nell’arte è caratterizzata in buona parte dalla presenza britannica, la prima sala del museo è dedicata alla scena anglosassone del XIX secolo: dal periodo romantico, in cui trionfa lo splendido acquerello di William TurnerHammerstein sotto Andernach (1817), il cui paesaggio racconta la potenza della natura e la trascendenza divina del creato, fino ad arrivare agli artisti preraffaelliti della controversa ed affascinante età Vittoriana, Dante Gabriel Rossetti e Sir Lawrence Alma-Tadema.

La seconda sala del Johannesburg Art Gallery è dedicata al panorama degli artisti francesi dell’Ottocento, dai primi che scelsero un nuovo approccio al vero in pittura all’approdo della generazione successiva alla nouvelle peinture, conosciuta poi come impressionismo. Sono presenti i promotori di un nuovo approccio al vero: Camille Corot, che con Paesaggio ha tracciato un solco nella tradizione iconografica del paesaggio, e Gustav Courbet , che ha descritto la concretezza di rocce, acqua e sabbia, escludendo dalla visione ciò che è effimero e mutevole ne La Scogliera di Etretat (1869).

I grandi nomi della scena europea tra Ottocento e Novecento raccontano il passaggio aperto alla ricerca impressionista. Da Henri de Toulouse-Latrec e i suoi ritratti di ballerine e prostitute di Montmartre – i cui momenti di intimità femminile sono immortalati senza volgarità e malizia, facendo trasparire la complessità della vita in un solo quadro – a Paul Signac e il suo approdo al pointillisme ne La Rochelle (1886), “puntinismo” inteso come un’evoluzione dell’impressionismo. Non manca Edgar Degas con Due Ballerine (1898), in cui osserva i movimenti delle danzatrici, ritraendole come avrebbe potuto fare con l’anatomia di un cavallo al galoppo. La novità del dipinto consiste nell’utilizzo della tecnica a pastello, la quale, a differenza di quella ad olio, non interferisce con i problemi alla vista durante la fase tarda della sua produzione. Il suo è uno sguardo curioso e spietato che mira a catturare l’immediatezza e la fugacità di un gesto.

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Da Auguste Rodin a Paul Gaugain, da Vincent Van Gogh a Edvard Munch, da Pierre Bonnard per arrivare infine a Paul Cézanne con Bagnanti (1898), in cui la solidità e geometricità delle figure che rappresenta un momento di riflessione importante per le generazioni di pittori successive, su tutti Pablo Picasso e Georges Braque.

Alle opere del Novecento è dedicata la terza sala, in cui il “secolo breve” è rappresentato in tutta la sua dinamica eterogeneità, sebbene Lady Phillips prediligesse gli artisti ottocenteschi e dovette passare un po’ di tempo prima che si persuadesse ad includere anche le opere del XX secolo nella sua collezione. I visitatori vengono accompagnati nel fulcro del periodo delle Avanguardie storiche, rappresentato, in primis, da Amedeo Modigliani – il quale con una sola linea precisa la figura fisica e la personalità di Mme Von Mayden, mescolando culture e conoscenze diverse, come le avanguardie e l’arte africana – e, in secondo luogo, Picasso, di cui sono esposte cinque opere di grafica, appartenenti all’ultima fase della sua produzione. L’artista voleva ritrovare l’immediatezza della creatività e ricercava la spontaneità del segno grafico con una scelta cromatica senza limiti, quasi infantili.

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 Una di queste, Testa di Arlecchino (1971), scatenò un trambusto in occasione della sua prima esposizione dopo l’acquisto nel 1974: l’opera a matita e pastello fu assai criticata e definita “orrenda”, “scandalosa” e “brutta” da un pubblico insoddisfatto, malgrado fosse uno dei capolavori dell’ultima fase di produzione dell’artista.

Gli ultimi decenni del XX secolo, invece, sono affidati alle opere di pop art di Roy Lichtenstein, con il suo Crak! (1964), e di Andy Warhol con Joseph Beuys, nel quale, come fa in tutti gli altri ritratti, dipinge i divi, trattati alla stregua di un’immagine di consumo, prede di una società che tutto divora ed appiattisce.

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L’ultima sala ospita pezzi del pregiato repertorio di arte sudafricana del XX secolo, che rendono omaggio all’attività artistica del paese di Lady Phillips. Accanto ai magnifici dipinti ad olio di Irma Stern, la quale con Ritratto di giovane donna (1944) suggerisce la sua formazione interculturale divisa tra Europa e Africa, si possono ammirare opere poco note di Selby Mvusi, della pittrice ed educatrice Maggie Lausber e di George Pemba, che con Kwa Stemele (1981) testimonia la realtà locale dei neri durante l’apartheid.

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Le vicissitudini successive a questo periodo hanno allontanato il ceto medio istruito, amante dell’arte, dal cuore della città in cui fu edificata la struttura di Lutyens. Un tempo Joubert Park, dove sorge il museo, era l’epicentro della buona società di Johannesburg, luogo in cui i magnati dell’attività mineraria cenavano, passeggiavano e facevano compere. Nel XX secolo il museo di Lady Phillips si è imposto punto di riferimento e parte dell’identità cittadina.

Adesso la città vecchia è di gran lunga cambiata e il suo cuore ospita una comunità molto diversa, costituita da operai pendolari e da studenti; la gente passeggia ancora nel parco ed entra nel museo per rinfrescarsi e guardare le opere. Esso custodisce la prestigiosa collezione per l’intera popolazione e chi entra in contatto con l’arte della Johannesburg Art Gallery viene toccato da alcune delle opere migliori esposte al mondo, realizzate in diverse epoche storiche, motivo di grande orgoglio per la sua città.

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Nicole Erbetti

Capolavori della Johannesburg Art Gallery – da Degas a Picasso
21 marzo – 19 luglio 2015
Scuderie del Castello Visconteo di Pavia

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