Il suo protagonista immerso nel blu di una silenziosa piscina. Così Pedro Almodóvar apre la sua ultima pellicola, Dolor y gloria, con il più classico degli incipit, ovvero l’acqua, metafora del liquido amniotico, principio della vita umana, individuale e universale.
Presentato quest’anno in concorso alla 72ª edizione del Festival di Cannes, Dolor y gloria ripercorre i primi passi della vita del regista spagnolo e della sua storia d’amore con il cinema. Gli spensierati bagni nel fiume da bambino accanto alla madre – un’intensa Penélope Cruz – appaiono come una forma di battesimo pagano, una bellezza dal sapore antico. Queste scene aprono Dolor y gloria come Almodóvar apre una pagina del suo diario, iniziando a leggere dalla prima riga, a cuore aperto, affidandosi alla voce e agli occhi del fedelissimo Antonio Banderas. Banderas, premiato come miglior attore a Cannes, raggiunge qui il pieno della sua maturità artistica.
Il film
Salvador Mallo, chiaramente alter ego di Almodóvar, è un regista che si sente ormai alla fine della sua carriera, che ha perso tutto proprio perché orfano del cinema e della forza di girare nuovi lungometraggi. Le malattie e la stanchezza lo opprimono, è totalmente dipendente dalle medicine e soffre di numerosi disturbi – il peggiore è il mal di testa cronico. Spesso rischia anche di strozzarsi sorseggiando semplicemente dell’acqua a causa di una sospetta malformazione. Nel racconto di Almodóvar, a cavallo tra passato e presente, la paura della malattia e della morte cammina di pari passo con i ricordi d’infanzia. Sono due binari paralleli che marciano spediti per incontrarsi al termine del film, con l’uscita dalla depressione e il ritorno di Salvador dietro alla macchina da presa.
Dolor y gloria: riscoprire il passato per riscoprire se stessi
Come era stato per Julieta (2016), fare i conti con il proprio passato è per i protagonisti di Almodóvar un passaggio necessario per riscoprire se stessi e quel motore originario che sta alla base della vita e dell’amore. Dolor y gloria è per questo una celebrazione della vita in quanto connubio tra corpo e anima che si tramuta inevitabilmente in arte, animato dall’insostituibile fuoco del desiderio. Per ritrovare se stesso, Salvador ricostruisce le tappe più significative del proprio passato. Non si tratta di ricordi ormai sfumati, ma sono schegge di passione ancor più vive del tempo presente e che nulla hanno a che vedere con il successo, le case, i soldi e le costose collezioni d’arte che per Salvador paiono ormai aver del tutto perso la propria ragione di essere. A contrasto con la ricchezza accumulata in età adulta, Salvador ritorna con la mente ai tempi di un’infanzia povera e frugale, in una caverna nella cittadina di Paterna, metafora di una vita primitiva ed essenziale ma non per questo meno avvincente.
L’inevitabile confronto con il corpo, strumento di introspezione in Dolor y gloria
Nei film di Almodóvar, l’analisi dell’essere impone ai suoi personaggi un momento di confronto con il proprio corpo, strumento di introspezione che costringe a fare i conti con la propria coscienza e con il proprio passato. Un corpo stanco e malato non è qui solo segno di una depressione che annienta qualsiasi voglia di reagire, ma corrisponde all’allontanamento dalla vocazione del protagonista, il cinema, e quindi a una totale mancanza di arte. Per questo, nel momento della perdita dell’emozione e, ancor peggio, dell’ispirazione, Salvador si rivolge disperato all’eroina, che schiavizza prima di tutto il corpo del regista che letteralmente succube “si inginocchia” al suo cospetto.
La riscoperta della passione
Quando Salvador riscopre la vera passione?
Il processo di rinascita comincia proprio con un ritorno dal passato: Sabor, il suo più grande successo cinematografico, diventa un classico, si pensa alla proiezione straordinaria della versione restaurata e finalmente, dopo 32 anni, Salvador riesce a trovare il coraggio di rivedere la pellicola. Proprio Alberto, attore protagonista di Sabor, è il primo dei protagonisti che riemergono dal suo passato. Grazie a lui avviene il secondo incontro: Federico, la sua grande passione giovanile, che riporta Salvador ai momenti di spensieratezza e amore disperato, dove tutto trasudava di cinema e di vita. L’incontro tra i due innamorati è la vera chiave di volta nel film in quanto momento di rinascita del desiderio e di riconciliazione con la propria sessualità.
Il terzo e lungo incontro è con l’immagine di sua madre ormai scomparsa, con la quale Salvador dialoga. Parlare con lei, nei suoi sogni e nei suoi pensieri, ripercorrere i sacrifici e i rimorsi di una famiglia in fuga dalla povertà sembra aiutarlo a superare finalmente il lutto per quella perdita che, come dice lui stesso, non aveva mai elaborato. Il senso di colpa per «non essere stato un bravo figlio» e il non aver mantenuto la promessa di riportare la madre “al paese” prima della sua morte, perseguitano il protagonista, impedendogli di sentirsi veramente libero.
A causa della sua forte carica emotiva, Dolor y gloria non è solo un film sui sentimenti, ma più di tutti è un film delle sensazioni, lente e privilegiate, attraverso cui il regista guarda al proprio passato, ricordando che «il cinema dell’infanzia sapeva di pipì. Di gelsomino. E di brezza d’estate», mentre oggi il dolore fisico paralizza la personalità e le idee del regista. L’eccitazione che gli dona l’eroina è segno tangibile di in una dipendenza in principio finalizzata a ritrovare quella adrenalina primigenia che la visione della nudità di un giovane statuario aveva provocato nel suo intimo da fanciullo. Il senso di vertigine, in occasione del primo confronto con la più naturale e umana forma di sublime, fulmina letteralmente il giovanissimo e inconsapevole Salvador, che inerme cade svenuto.
Forme d’arte che scandiscono il tempo
In questa confessione sensibile e personalissima di cui Almodóvar srotola e riannoda le trame, qual è quindi il ruolo dell’arte?
L’arte e le sue declinazioni accompagnano il protagonista/regista in tutte le fasi della sua vita, in quanto linfa vitale del genio e sublimazione della passione che ne anima e muove il corpo. Il rapporto con il giovane uomo che sfocia per Salvador nel primo desiderio sessuale si fa infatti disegno, la forma artistica più semplice e immediata, che cattura quel momento conservandolo nel tempo. Il disegno diventa testimonianza materiale di un passato che ritorna 50 anni dopo, per caso, tra le mani di Salvador, aiutandolo ad accettare quella prima e irrisolta pulsione.
Sarà invece il teatro a favorire l’incontro tra Federico e Salvador, altra forma d’arte che più di tutte ha il potere di parlare franco, di far ricordare e piangere di nuovo, di tirare fuori ciò che era stato lasciato in sospeso, dimenticato. Trascorsa l’infanzia e quel primo periodo di gaia adolescenza che lascia ora i dolorosi strascichi di una fiducia delusa e di un amore finito, Salvador raggiunge la propria maturità grazie al cinema, che, come dichiara, lo ha letteralmente “salvato” da un pericoloso momento di perdizione. Il cinema diventa per lui mezzo ideale per dare forma alle idee e alle emozioni che, come lui racconta, lo renderanno uno dei cineasti più apprezzati del panorama internazionale.
La storia di Salvador si esplica attraverso diverse forme artistiche, dalla più semplice alla più complessa, accomunate dalla dualità tra Dolor y gloria, dolore e gloria, le due facce complementari di un motore chiamato desiderio. Desiderio è infatti dolore, in quanto paura, vertigine, distacco e cambiamento, è segno di una mancanza che scatena inevitabilmente una ricerca. Perché parlare di gloria? La gloria è il regalo che il cinema, ultima forma d’arte della sua storia, ha fatto a Salvador, salvandolo dal perdita dell’amore, e permettendo al nostro protagonista di fare della cinepresa il suo mestiere e la sua ragione di vita.
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