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Fernanda Wittgens: una protagonista dimenticata della cultura milanese

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Se fermassimo per strada un milanese qualunque e domandassimo chi è Fernanda Wittgens, probabilmente penserebbe all’ennesimo fenomeno di Instagram o YouTube. Eppure, questo nome di donna significa molto per la storia di Milano, e per quella dell’Italia intera. Fernanda nasce nel 1903 da una famiglia benestante di origine svizzera trasferitasi a Milano. Il padre Adolfo è un insegnante di lettere con la passione per l’arte, che trasmette ai figli portandoli ogni domenica a visitare un diverso museo. Laureatasi con lode all’Accademia scientifico-letteraria di Milano, lavora come insegnante di storia dell’arte nei licei. Tale insegnamento era ritenuto prettamente femminile, mentre le materie scientifiche erano viste come “cose da uomini”. Il suo professore di storia dell’arte all’università, Paolo D’Ancona, la spinge a partecipare al concorso pubblico per entrare a lavorare all’Accademia di Brera. Nel 1928 inizia la sua storia nel museo più importante di Milano.

Fernanda Wittgens
Fernanda Wittgens

Accanto al direttore Ettore Modigliani, Fernanda Wittgens lavora alla più grande mostra di arte italiana della storia. Mussolini aveva accolto con entusiasmo la proposta di Lady Chamberlain, moglie del primo ministro britannico, di una mostra che raccogliesse il meglio dell’arte italiana. Le opere, provenienti da tutta Italia, arrivarono a Brera in enormi casse, che Fernanda aveva il compito di catalogare e ispezionare. La mostra fu un enorme successo, che richiamò l’attenzione del mondo sull’arte italiana. Nonostante il grande contributo di Modigliani alla riuscita dell’operazione (rischiò la vita accompagnando personalmente le opere sul bastimento che le trasportava, che quasi naufragò al largo della Manica), egli fu allontanato da Brera in quanto ebreo e antifascista.

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Fernanda mantiene con lui contatti continui, firmando anche come prestanome un libro pubblicato dall’ex direttore della Pinacoteca. Nel 1940 Fernanda sale alla direzione di Brera, prima donna in Italia a dirigere un museo. Sono anni difficili, dove le persecuzioni razziali seminano il terrore e venti di guerra spirano sull’Italia. Forte della sua influenza, fa quello che può per aiutare i suoi concittadini ebrei a fuggire, tra i quali anche Paolo D’Ancona, il professore a cui tanto doveva. Tradita da un collaborazionista, viene condannata a quattro anni di prigione. Non ha paura del carcere Fernanda Wittgens; nelle sue lettere lo descrive come «una specie di esame di laurea», un modo per crescere. In prigione scrive un’importante biografia del pittore milanese Vincenzo Foppa, interamente a memoria. Dopo sette mesi, viene scarcerata grazie ad un falso certificato di malattia. È il 24 aprile 1945. Appena in tempo per festeggiare la Liberazione di Milano dall’odioso nazifascismo.

Fotografia aerea della Pinacoteca di Brera distrutta dalle bombe – fonte: www.pinacotecadibrera.org

Milano è libera, ma completamente distrutta. Brera è rasa al suolo, così come il Museo Poldi Pezzoli, la Scala e il Cenacolo. L’arte ha subito un duro colpo, ma saprà rinascere dalle proprie ceneri, come ha sempre fatto. Prima del suo arresto, Fernanda aveva saggiamente ordinato di trasferire le opere di Brera in posti sicuri lontano dalla città, nonostante la diffidenza dei colleghi sul fatto che un posto come Brera potesse essere bombardato. Occorreva rimboccarsi le maniche, ricostruire lentamente la città e i suoi musei. Modigliani viene reintegrato, e insieme designano l’architetto Pietro Portaluppi come fautore della rinascita di Brera. Il museo verrà ricostruito con le migliori tecniche museografiche, trasformandolo in un polo culturale di prima grandezza. Purtroppo Modigliani non vedrà mai la fine dei lavori, terminati nel 1950, tre anni dopo la sua morte. Fernanda Wittgens lo ricorda nel toccante discorso di inaugurazione della “nuova Brera”, un luogo simbolo della concreta possibilità di Milano di rialzarsi dal proprio dolore.

Fernanda Wittgens

Insieme a Brera, l’inarrestabile direttrice si occupa anche di salvare il museo Poldi Pezzoli e Palazzo Reale, entrambi colpiti in pieno dalle bombe e considerati troppo pericolanti per essere ricostruiti. Grazie a Fernanda abbiamo ancora due degli edifici più belli di Milano, ricostruiti fedelmente grazie a fotografie d’epoca. Fu proprio a Palazzo Reale che iniziò l’attività di promotrice di mostre della donna. Nel 1951 riuscì personalmente a convincere Pablo Picasso a riportare Guernica in Europa e ad esporla a Milano, nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, appositamente lasciata con i segni della devastazione della guerra. Il grande dipinto di Picasso fu esposto appoggiato a terra in mezzo alla sala. Due simboli forti, per dimostrare come la guerra sia uno stupido, implacabile orrore.

La grande mostra che Milano dedicò a Picasso a Palazzo Reale nel 1953 (Archivi Alinari) – fonte: www.repubblica.it

Negli anni ’50 Fernanda Wittgens continua a battersi per Milano. Indice una raccolta fondi popolare per comprare la Pietà Rondanini, ultima opera di Michelangelo, battendo Roma e gli USA. Dal 1952 la scultura appartiene ai milanesi, fieramente esposta al Castello Sforzesco. Fino alla morte Fernanda ha dedicato ogni suo istante a donare l’arte di Milano ai suoi cittadini, con iniziative avanguardiste per l’epoca: laboratori didattici, visite guidate per i bambini, abbattimento delle barriere architettoniche. Se i musei non sono rimasti luoghi per ristrette ed elitarie cerchie di studiosi lo dobbiamo anche a lei.

Fernanda Wittgens
“Fiori a Brera”, sfilate di moda e concerti in Pinacoteca, 1956-57, Milano. Fonte: Laboratorio fotoradiografico della Pinacoteca di Brera

Morirà improvvisamente l’11 luglio 1954. La camera ardente verrà allestita davanti allo scalone d’onore della sua Brera. È sepolta al Cimitero Monumentale, tra i grandi milanesi di ogni tempo. Il suo nome si è perso nelle pieghe della storia, ma la sua dedizione e l’amore profondo per l’arte e per le persone le hanno riservato la gratitudine, anche involontaria, di tanti. Nel 2014 viene insignita dell’onorificenza di Giusta tra le Nazioni, ricordando il suo enorme valore umano, oltre che quello insostituibile come storica dell’arte, al quale dobbiamo la bellezza dei luoghi che con tanta forza ha insistito per salvare e restituire ai milanesi, e al mondo intero. 

Beatrice Curti

 

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Beatrice Curti

Laureata in Beni Culturali, ama l'arte sin da quando ne ha ricordo. Ha bisogno come l'aria di viaggiare, leggere e guardare film. Mai darle da mangiare dopo mezzanotte.

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