Che bei tempi quelli del fascismo. I treni puntuali, le paludi bonificate, le pensioni, la libertà di espressione, l’indipendenza della donna. Non dobbiamo quindi meravigliarci se ancora oggi molti italiani, giovani e non, ripensino a questa grande epoca con malinconia, tanto da aver creato una sorta di nuovo fascismo, simile negli ideali, ma molto diverso nelle modalità. I nuovi fascisti sono quelli “da tastiera”: inneggiano al Duce, condividono sue foto con frasi ad effetto su Facebook e ricordano quanto fossero felici e spensierati i tempi in cui zio Benito era al comando. Tempi che, nel 99,99% dei casi, non hanno mai vissuto, altrimenti la penserebbero diversamente.
È comodo fare il fascista a casa, sul divano: basta sparare insulti a raffica verso i cosiddetti comunisti (leggi: chiunque la pensi diversamente), gli immigrati, gli omosessuali e altre simili creature indegne, inneggiando alle miracolose imprese del Duce come un Messia del XX secolo. Chissà come si sarebbero sentiti questi fan del fascismo in una società priva di libertà di espressione, a dover marciare per ideali non condivisi in pesanti camicie nere e a suon di manganellate. Chissà le giovani donne che oggi adorano il Duce come si sarebbero sentite chiuse in casa a sfornare figli come conigli, per la patria.
Ma perché preoccuparsene? Il fascismo moderno è molto meno faticoso. Basta creare una pagina su Facebook e raccogliere altri sfegatati fan del signor Benito e il gioco è fatto. Che poi l’apologia del fascismo sia reato poco importa: in Germania sarebbe scandaloso vendere sotto alla porta di Brandeburgo souvenir di Adolf Hitler, ma a Milano in piazza Duomo possiamo comprare per pochi euro un bel calendario del Duce (altro che Belén). Il secondo passo è darsi da fare su paint e creare immagini dall’impressionante valore artistico con la faccia di Mussolini e qualche frase altisonante per diffondere il verbo. Ovviamente a quel punto arriveranno le “zecche rosse”, ed è proprio lì che usciranno le vere argomentazioni del fascista da tastiera. I tormentoni sono sempre gli stessi, tanto che sembrano aver perso valore.
In testa alla classifica abbiamo il sempreverde «Italia agli italiani». Potrebbe essere un ragionamento condivisibile se esteso al mondo intero: Italia agli italiani, Inghilterra agli inglesi, Germania ai tedeschi e Svizzera agli svizzeri. Eppure un italiano che vive al nord non si farà sfuggire l’occasione di lavorare in Svizzera per avere uno stipendio più alto; uno studente senza lavoro non si farà problemi a spostarsi a Londra per fare il kitchen porter o in Germania per lavare i piatti. L’Italia è degli italiani, che però all’occorrenza, quando l’Italia non funziona, possono trasferirsi e rubare il lavoro ai giovani inglesi, svizzeri, tedeschi. Ma si sa, noi siamo bianchi e abbiamo voglia di lavorare, quindi possiamo farlo. Nessuno tiene conto del fatto che – in una visione forse utopistica – il mondo dovrebbe essere di tutti e ognuno dovrebbe essere libero di vivere dove più gli piace, nel rispetto del prossimo e nella tolleranza.
Il concetto di «amare e combattere per la patria» segue a ruota. Quel che spesso non si considera è che la tanto amata patria non è una bolla chiusa dove niente può cambiare. La patria è aperta alle influenze dei paesi intorno a noi, il mondo cambia e il multiculturalismo è per certi versi inevitabile: siamo bombardati da abitudini, piatti e film americani, eppure pensiamo che siano “i neri” a volerci cambiare e invadere. Il multiculturalismo è ormai imprescindibile, e per multiculturalismo si intende amare e conservare le proprie origini e tradizioni, ma anche sperimentare la diversità come fonte di arricchimento e conoscenza.
Segue «Mussolini ha fatto anche cose buone». Su questo punto basta citare le parole di Roberto Benigni: «Ma dico, se neanche di Mussolini si può parlar male, ma che deve fare uno perché si possa parlarne male? Deve stuprare le capre in via Frattina? Che deve fare? Dice “ha fatto delle cose buone”, certamente: anche Adolf Hitler o Stalin un ponte, una strada l’avranno fatta. Anche il Mostro di Firenze l’avrà detto “Buongiorno” a qualcuno qualche volta».
Abbiamo poi «gli immigrati ci rubano il lavoro, stuprano le nostre donne, rapiscono i nostri bambini», un bel capro espiatorio per un’Italia che è piegata non dai senegalesi e dai marocchini – che al massimo vanno a lavorare nei campi o vendono libri per strada, e di certo non ci rubano il posto di lavoro in banca o all’università – ma da una classe politica incompetente, pronta solo a riempire le proprie tasche. Di questo passo gli immigrati cattivi non avranno nemmeno la possibilità di stuprarci le mogli e rapirci i bambini: i giovani di oggi non avranno la possibilità di farsi una famiglia qui, se non grazie ai risparmi di genitori e nonni. Forse la penuria di donne in carne, lattanti da rapire e lavori da rubare li farà tornare a casa loro?
E infatti, «aiutiamoli a casa loro» è un altro dei cliché senza tempo. Io ti aiuto per carità cristiana, certo, ma a casa tua. Tra una bomba e l’altra ti invio pacchi di pasta e fagioli in scatola, così non mi disturberai cercando di vendermi un libro mentre per le strade di Milano vado a comprare un nuovo smartphone. Lasciare la propria terra e i propri cari non piace a nessuno. Non piace agli italiani che sono costretti a partire, così come non piace agli immigrati che vengono qui. Chi parte lo fa perché è costretto da cause di forza maggiore (fame, disoccupazione, guerra), raramente per il puro gusto di disturbare gli altri. Gesù ci ha insegnato l’accoglienza, eppure le parole della Bibbia vengono ricordate solo quando fanno comodo: «ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».
«E i marò?» è da poco entrato nella lista dei classici. Perché pensare alle imprese della Cristoforetti nello spazio quando l’Italia attende con ansia i suoi due marò, difensori della patria, orgoglio italiano? Ora, che l’orgoglio italiano siano due presunti criminali è poco rincuorante. Nessuno pensa a far rientrare in Italia i cervelli in fuga che arricchiscono le altre nazioni, ma i marò sono essenziali per il nostro paese. Con questo nessuno augura ai marò di marcire in India, ma considerare eroi due assassini fa seriamente riflettere sulle priorità di molti. E grazie al cielo hanno scarcerato Fabrizio Corona!
Se siete arrivati fino a qui, probabilmente sarete d’accordo con noi, oppure ci starete insultando considerandoci “comunisti”. Criticare il fascismo non significa appoggiare qualsiasi altro estremismo, significa lottare contro la xenofobia, l’omofobia e qualsiasi altra forma di discriminazione e odio. Siamo per la libertà di espressione, per il confronto, per il dialogo costruttivo, ma presupponendo che la libertà di uno finisca dove inizia quella dell’altro. E incitare all’odio non è libertà, è semplicemente stupidità, maleducazione ed egoismo. Insomma: fascismo.