Premessa: questo scritto è una provocazione e come tale va letto. Il suo fine è di riflettere e far riflettere sulla nostra ipocrisia occidentale.
Io i jihadisti li capisco. Non li giustifico, sia ben chiaro, ma li capisco.
Provate a immaginare di essere trattati per secoli come foste degli esseri biologicamente inferiori, a metà fra scimmia e uomo;
provate a immaginare di essere governati da nazioni diverse che non ti ritengono in grado di governare autonomamente il territorio;
provate a immaginare di essere depredati dell’unica risorsa che possa garantire uno sviluppo economico alla vostra gente;
provate a immaginare di essere considerati selvaggi, barbari, incivili, sottosviluppati e provate a immaginare che ve lo si ripeta in continuazione;
provate a immaginare di essere costretti ad accettare i costumi che vi impone una potenza straniera.
Potremmo andare avanti ancora con questo elenco ma non è necessario, anche perché i jihadisti li capisco, ma non voglio con questo giustificarli.
La nostra presunta superiorità di occidentali civili, ogni volta che viene evocata, non può che far sorridere. Già: «Noi abbiamo una civiltà millenaria ricca di storia e cultura, che loro mai avranno». Non so quante volte mi è capito di imbattermi in frasi analoghe, in questi ultimi giorni. Bene: se qualcuno vi dicesse una cosa del genere, che si appartiene a una civiltà inferiore, voi non vi incazzereste? Io sì. E non vedo perché non dovrebbero farlo chi a cui questa frase è riferita. No?
«Noi abbiamo una civiltà millenaria ricca di storia e cultura, che loro mai avranno». Proviamo ad immaginare che questo enunciato sia riferito al mondo islamico e analizziamolo.
Il primo termine problematico è “noi”. Noi chi? Noi occidentali? Perché forse spagnoli, tedeschi, italiani, svedesi, inglesi, greci, francesi, statunitensi, lituani, polacchi, canadesi, portoghesi siamo tutti uguali?
Il secondo termine problematico è “civiltà”. Che cos’è una civiltà? Nel 2015 è lecito parlare ancora di civiltà? Civiltà è un termine antico ma che, nel XIX secolo, quando nacque l’antropologia, fu associato a cultura, intesa come insieme degli usi e dei costumi di un popolo. Parlare di civiltà in questo contesto significa dire che esiste una scala evolutiva unilineare su cui è possibile collocare le culture umane dalla meno evoluta alla più evoluta. Nel 2015. Che, poi, anche questo “evoluto”, in ambito sociale, cosa vorrà mai dire?
Il terzo termine problematico è “loro”. Per questo punto, vedere analogamente a “noi”. Marocchini, arabi, nigeriani, pakistani, algerini, senegalesi, indiani, afghani, uzbeki e così via sono tutti uguali? Facciamo attenzione a non confondere la religione con l’etnia e l’etnia con la nazione. Il mondo culturale umano è più variegato e fluido di quanto si possa immaginare e no, non lo dico io: lo dice l’antropologia.
Il quarto termine problematico è “che loro mai avranno”. Rimaniamo per comodità nel mondo islamico e prendiamo in esame l’impero arabo prima e ottomano poi. È ormai risaputo ad esempio che i numeri che noi usiamo sono inventati dagli arabi. Oppure consideriamo la Moschea Blu di Istambul. O, ancora, i filosofi Avicenna e Averroè, grazie ai quali conosciamo ancora Aristotele.
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Si potrebbe ancora andare avanti ancora, ma meglio fermarsi qui, per non voler dare l’idea di giustificare i jihadisti (abbiamo considerato il mondo arabo/islamico, ma il ragionamento di fondo può essere applicato a qualsiasi altro universo culturale).
Insomma: se qualcuno mi dicesse che sono sottoevoluto, che non sono civile, che non ho una cultura, io mi incazzerei. Non siamo costretti a piacerci tutti a vicenda, sia chiaro, ma il rispetto non può mai venire a meno e per rispettare gli altri bisogna saper pensare la diversità. Purtroppo la maggior parte delle persone, sia occidentali che non, non vuole, o comunque non è in grado di, pensare la diversità. È più facile stigmatizzare l’altro, ghettizzarlo – sia culturalmente sia fisicamente – che apprezzare la diversità come momento di arricchimento.
Come si può pensare la diversità? Innanzitutto bisogna sapersi mettere nei panni altrui. Biologicamente gli uomini sono tutti uguali, questo ormai è assodato. Quindi anche gli altri uomini, da qualsiasi parte del mondo che vengano, hanno le nostre stesse facoltà intellettive. Non dobbiamo pensare che solo noi occidentali, superbi, possediamo un pensiero razionale.
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In seguito all’attentato a Charlie Hebdo, scrivevo che solo con la cultura si possono sconfiggere i fondamentalismi, perché è con cultura – come la intendiamo noi di iFdI – che si può pensare la diversità. I fondamentalismi di ogni sorta, religiosi come atei come etnici, sono la causa di tutti i mali. Mettendo radicalmente in questione i fondamenti dei fondamentalismi, tramite l’esercizio di una critica culturale, si può passare da un pensiero verticale ad un pensiero orizzontale, dall’assolutismo al relativismo. E il relativismo è la base per pensare la diversità: capire che niente è dato per sempre, che non c’è nulla di assoluto, ma siamo tutti uomini e, in quanto tali, continuamente costruiamo, distruggiamo e ricostruiamo ancora i sistemi simbolici e le culture.
Pensare la diversità ovviamente è un compito che non spetta solo all’Occidente: spetta a tutti. Spetta a tutti coloro i quali si sono stancati delle guerre inutili, del sangue inutilmente sparso, dell’intolleranza, del razzismo, dello sfruttamento occidentale del mondo. Perché, è bene ricordarlo, il fondamentalismo islamico, ad esempio, nasce come reazione al tentativo di occidentalizzare il mondo islamico. Così come noi saltiamo sulle barricate e siamo pronti anche ad andare in guerra di fronte alla presunta minaccia di essere islamizzati, così hanno fatto loro. Per questo capisco i jihadisti, anche se non li giustifico.
Se tutti imparassimo a pensare la diversità, il mondo sarebbe sicuramente un posto migliore in cui vivere. Forse è utopia, ma non per questo non dobbiamo almeno provarci.
[…] e per multiculturalismo si intende amare e conservare le proprie origini e tradizioni, ma anche sperimentare la diversità come fonte di arricchimento e […]