Nel 2024 tre dei paesi più importanti a livello globale sono andati, e andranno, alle elezioni, modificando il panorama geopolitico.
Se l’esito delle elezioni in Gran Bretagna ha di gran lunga rispettato le aspettative, in Francia abbiamo assistito a un ribaltamento abbastanza clamoroso delle proiezioni pre-voto. Quello che è certo è che i risultati ci restituiscono il clima che si respira nei due Paesi: aria di cambiamento nel primo, confusione nel secondo. Negli Usa, invece, il dibattito politico si porta ancora dietro gli strascichi del confronto televisivo tra Donald Trump e Joe Biden. La performance di quest’ultimo ha suscitato più di qualche dubbio che fa vacillare la sua campagna elettorale e preoccupare i democratici. Inoltre, Il tentativo di attentato a Trump ha rafforzato la sua candidatura e una sua vittoria appare sempre più probabile.
Leggi anche:
Elezioni europee: se non le racconti bene, come faccio a votare?
Francia: dalla paura per l’ascesa dell’estrema destra al rischio di paralisi politica
Al secondo turno delle elezioni legislative francesi, in maniera sorprendente, ha trionfato la coalizione di sinistra Nuovo Fronte Popolare (Nfp). Nonostante tutti i sondaggi preelettorali avessero pronosticato una vittoria del partito di estrema destra Rassemblement National (Rn), il tentativo di Emmanuel Macron, e della sua coalizione Ensemble pour la République, di creare, insieme alla sinistra, un “fronte repubblicano” ha funzionato. Questa strategia ha fatto leva sulla paura: un governo presieduto da Rn di Marin Le Pen avrebbe posto dei limiti enormi all’immigrazione, messo in pericolo i diritti civili e avvicinato pericolosamente il paese alla Russia di Putin. Dunque, bisognava fare da diga all’ascesa di questa forza. E così è stato.
Infatti, i risultati ci dicono che Nfp, che riunisce partiti che vanno dai socialisti all’estrema sinistra, ha ottenuto 182 seggi. Ensemble ha eletto 168 deputati che, seppur lontani dai 250 della scorsa legislatura, rappresentano comunque un buon risultato viste le aspettative iniziali. Infine, Rn nonostante abbia ottenuto il maggior numero di seggi della sua storia, 143, ha raggiunto un risultato scarso considerando che al primo turno era stato il più votato.
L’affluenza al secondo turno è stata la più alta dal 1997, con una percentuale del 66,63%. Rispetto al 2022, quando solo il 46 per cento dei votanti si recò alle urne per il secondo turno, c’è stato un aumento di quasi 20 punti. Questo a dimostrazione del peso che hanno assunto queste elezioni.
Tuttavia, nonostante i leciti festeggiamenti da parte dei socialisti e dei repubblicani, per la sconfitta del Rn, ora la Francia dovrà affrontare un pericolo, diverso da un possibile governo di estrema destra, ma altrettanto preoccupante: lo stallo politico. Infatti, dato che nessuna coalizione ha raggiunto la maggioranza assoluta, per governare è necessario formare delle alleanze. Questo, però, rappresenta uno scoglio molto difficile da superare. In primo luogo, perché la Francia non è abituata a trattative parlamentari per i governi di coalizione. In seconda battuta, poi, ci sono poche possibilità che le tre coalizioni, Nfp, Ensemble e Rn, possano trovare un accordo. Infatti, esclusa a priori la possibilità di allearsi con Rn, Nfp ed Ensemble non hanno molto terreno in comune. Al contrario, i rapporti tra Macron e il leader di Nfp, Jean-Luc Mélenchon, non godono di ottima salute. Inoltre, il programma di Nfp è molto ambizioso e, soprattutto, distante dagli ideali di Ensemble. Tra le altre cose, prevede l’abbassamento dell’età pensionabile dai 64 ai 60 anni; reintrodurre una tassa patrimoniale, e bloccare i prezzi di gas e luce. Pertanto, una coalizione tra Nfp ed Ensemble sembra molto difficile.
Per uscire dall’impasse, si potrebbe tornare al voto. Ma, secondo la Costituzione francese, l’Assemblea Nazionale può essere sciolta solo una volta in un anno e almeno un anno dopo l’ultimo scioglimento. Per questo motivo, si è paventata la possibilità di creare un governo di unità nazionale, un governo tecnico o un governo per gli affari correnti. Tutte queste tre possibilità, anche se di difficile attuazione, eviterebbero un blocco istituzionale e darebbero la possibilità di aspettare un anno in vista di nuove elezioni.
Questo, però, significherebbe che un governo di estrema destra guidato da Rn sarebbe stato solo rimandato. Infatti, il partito di Marine Le Pen è cresciuto molto e la sua sconfitta sembra essere arrivata solo in virtù di una grande mobilitazione contro di esso e non per una reale preferenza per gli altri partiti.
In definitiva, se Macron ha indetto le elezioni per ottenere un “chiarimento”, dopo il voto di domenica 7 luglio la situazione in Francia è tutt’altro che chiara.
Leggi anche:
Come arriviamo alle elezioni europee?
Il Regno Unito di Keir Starmer
Con 412 seggi su 650 i Laburisti hanno superato di gran lunga la maggioranza assoluta della Camera dei comuni, fissata a 326 seggi, segnando un punto di rottura rispetto agli ultimi governi. Al contrario, il partito conservatore di Rishi Sunak è crollato rovinosamente con la peggiore sconfitta della sua storia. Infatti, ha ottenuto solamente 120 seggi, 36 in meno rispetto al suo precedente record negativo del 1906. Reform, un partito populista e anti-immigrazione, ha ottenuto una manciata di seggi, così come i liberali centristi.
La vittoria del partito laburista arriva nel pieno di una svolta interna. Infatti, da quando è iniziata la guida di Keir Starmer, nel 2020, succeduto a Jeremy Corbyn, il partito ha via via eliminato le sue frange più estreme. Starmer, ex avvocato per i diritti umani, ha infatti abbandonato alcune proposte e idee più radicali. Per esempio, ha rifiutato il progetto di nazionalizzazione delle aziende energetiche britanniche aspirato da Corbyn. Per scrollarsi di dosso l’etichetta antipatriottica di cui si è macchiato il partito laburista con Corbyn, Starmer si è anche impegnato a sostenere l’esercito. Infine, ha cercato di sradicare l’antisemitismo che secondo alcuni aveva contaminato il partito. Per questi motivi, Starmer viene inquadrato come un politico povero di principi, ma moderato e rassicurante.
Il Regno Unito che i laburisti si apprestano a governare è in crisi sotto diversi punti di vista. Stando all’Institute for Fiscal Studies, l’ultima legislatura, cioè quella di Sunak, ha coinciso con la più bassa crescita del tenore di vita da quando sono cominciate le rilevazioni, nel 1961. I salari hanno ristagnato per la maggior parte del periodo in cui i conservatori sono stati al potere, anche se recentemente hanno ripreso a crescere. Questo, però, non basta. I servizi pubblici si stanno deteriorando nonostante il carico fiscale sui cittadini sia alto. Per affrontare questi problemi, il Regno Unito avrebbe bisogno di ulteriori entrate sotto forma di debiti e tasse che, tuttavia, entrambi gli schieramenti non hanno il coraggio di introdurre. In più, la popolazione sta invecchiando e ciò graverà sul sistema sanitario, già in condizioni pietose. Gli adulti in età lavorativa faticano a comprare casa senza l’aiuto dei genitori. A ciò si sommano gli impegni che bisogna sobbarcarsi per far riuscire la transizione energetica.
A fronte di questo, il partito di Starmer ha promesso di rivitalizzare l’economia e di fornire buoni posti di lavoro. Starmer ha affermato che si lavorerà più a stretto contatto con le aziende per proteggere i diritti dei lavoratori e per aumentare gli investimenti. Inoltre, il tentativo sarà quello di sbloccare miliardi di investimenti privati attraverso modifiche di istituzioni. Per esempio, il partito vorrebbe facilitare la costruzione di infrastrutture e di case; creare un fondo nazionale per investire nell’energia verde; e fondare una società energetica pubblica per ridurre la dipendenza del Regno Unito dai mercati energetici internazionali.
Staremo a vedere se questa ventata di cambiamento permetterà al Regno Unito di uscire dal pantano, nel quale si è impelagata con la Brexit.
Leggi anche:
Le elezioni, la Francia e l’altra Europa: riflessioni sul voto
Biden è ancora adatto alla presidenza?
Dallo scorso 27 giugno, la campagna elettorale statunitense si è accesa di colpo. Durante il primo confronto televisivo tra i due pretendenti alla presidenza, Donald Trump e Joe Biden, quest’ultimo si è mostrato in forte difficoltà. Nonostante avesse passato i giorni precedenti a Camp David per prepararsi al dibattito, l’attuale presidente americano si è dimostrato incerto, con una voce roca, e molto confuso. Non è riuscito in nessun modo a contrastare un Trump deciso e tagliante, scatenando un’ondata di panico tra i democratici. Emblematico è stato il momento in cui Biden, invece di affermare di aver sconfitto il Covid, ha detto «abbiamo sconfitto il Medicare», ossia il piano sanitario pubblico per la cura degli anziani. Trump, naturalmente, ha subito colto l’occasione per farglielo notare.
Biden, ormai ottantunenne, in questo dibattito avrebbe dovuto dimostrare la sua conformità al ruolo di presidente degli Stati Uniti. Al contrario, a partire dalla sera stessa si sono moltiplicate le voci per le quali dovrebbe essere sostituito come rappresentante dei democratici. Stando ad un sondaggio di The New York Times/Siena College, se tra i democratici, prima del dibattito, il 52% credeva che Biden sarebbe dovuto rimanere alla testa del partito, dopo il dibattito la percentuale è scesa al 48%.
Effettivamente, già quando fu annunciata la scelta di ricandidarsi, a novembre del 2022, qualche dubbio era stato sollevato. Biden sarebbe stato in grado di governare con lucidità per tutta la durata del mandato? Tenendo conto del fatto che resterebbe in carica fino a 86 anni, la risposta non sembra così scontata. Dopo il confronto con Trump questi dubbi sono cresciuti esponenzialmente dividendo il partito democratico. Se il rappresentante del Texas Lloyd Doggett è stato il primo democratico eletto a chiedere a Biden di farsi da parte, altri, come il governatore della California Gavin Newsom, credono che il compito dei democratici sia quello di non voltare le spalle al proprio leader. Se questo non bastasse, bisogna considerare il fatto che molti ricchi donatori democratici stanno cercando di fare pressione al presidente affinché abbandoni la sua candidatura.
Da parte sua, in pubblico, Biden ha cercato di minimizzare il problema dichiarando di sapere di non essere più un giovane, ma affermando che non si sarebbe candidato di nuovo se non si sentisse convinto nel profondo di poter svolgere questo compito. Allo stesso tempo però, come ha rivelato il New York Times, lontano dai riflettori il presidente degli Stati Uniti ha confidato ad alcuni suoi stretti alleati di sapere che i prossimi giorni saranno cruciali per capire se sarà in grado di salvare la sua candidatura.
Se le preoccupazioni per la forma di Biden sono fondate, tuttavia, non è altrettanto chiaro se proporre un nuovo candidato porterebbe dei vantaggi. In primo luogo, perché le alternative non sono così allettanti come si può pensare. Si parla, per esempio, di Kamala Harris come sostituto naturale dell’attuale candidato che, se per un verso ha un certo peso all’interno del partito, per un altro nei sondaggi risulta poco popolare. Secondariamente, cambiare in corsa il candidato presidente potrebbe dare l’idea di un partito in confusione, stato in cui il partito democratico americano effettivamente è.
Chi, com’è ovvio, giova di questo delirio è Donald Trump. Apparso sicuro di sé e di certo capace di articolare le sue idee, Trump sembra essersi rafforzato dal confronto televisivo. Come dimostrano i sondaggi, infatti, il divario tra i due candidati si è ampliato, con Trump, col suo 49%, avanti di 6 punti rispetto a Biden. Il tentativo di attentato della scorsa domenica, poi, ha consolidato ancora di più la candidatura di Trump. Thomas Mattew Crooks, l’attentatore, ha sparato all’ex presidente da circa 150 metri. Per una fortuita rotazione del cranio, il proiettile ha colpito solo l’orecchio di Trump. L’immagine successiva di Trump che alza il pugno protetto dalla sua scorta, e con un rivolo di sangue sulla faccia, è già diventata iconica e con una potenza propagandistica enorme. Allo stesso tempo, il tentativo di assassinio permette all’ex presidente, ancora una volta, di mostrarsi vittima ai suoi elettori.
Tutto questo, aumenta esponenzialmente la possibilità che il Paese più influente al mondo venga governato per altri quattro anni da Trump, portandosi dietro enormi rischi e problemi per tutta la politica internazionale. Trump, infatti, se fosse eletto vorrebbe ritirarsi dagli obblighi della Nato e ha minacciato di abbandonare gli alleati in Europa in caso di attacco. Ciò aumenterebbe l’instabilità globale che già colpisce le catene di fornitura. Inoltre, ci sarebbero dei rischi per lo stato di diritto, poiché Trump ha annunciato l’uso dell’FBI e del dipartimento di Giustizia per colpire i suoi avversari. Per quanto riguarda il tema dell’immigrazione la posizione dell’ex presidente degli Stati Uniti è nota. Nonostante l’economia americana abbia bisogno di lavoratori aggiuntivi, Trump vorrebbe deportare i migranti con l’aiuto dell’esercito. Infine, bisogna ricordare tutti i rischi che una sua rielezione rappresenta per i diritti civili, come l’aborto.
Non è chiaro quali saranno le prossime mosse del partito democratico, ma la salita si è fatta ancora più ripida e altri quattro anni di Trump sembrano difficilmente evitabili.
Leggi anche:
Giorgia Meloni vince le elezioni. Le prime reazioni
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!
Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!