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Frankenstein: tra corpo e mente

Sin da quando è stato scritto da Mary Shelley, «Frankenstein» ha affascinato intere generazioni. La versione teatrale del 2011 di Danny Boyle riesce a rivoluzionare il classico.

9 minuti di lettura

Il dottor Frankenstein e la sua creatura nascono, come tutti sanno, dalla penna dell’autrice britannica Mary Shelley. In quella fatidica notte di tempesta, insieme al marito Percy Shelley e Lord Byron, Mary compone un grande classico, in grado di rimanere per sempre nella storia della letteratura e nei cuori dei suoi lettori. Frankenstein parla a tutti, in tutte le epoche, da che è stato scritto. Lo dimostrano gli innumerevoli adattamenti che sono tratti dall’opera originale. E il teatro non fa certo eccezione.

La figura del dottore, tormentato e ossessionato, accompagna la figura della creatura, dapprima innocente e indifesa e pian piano sempre più corrotta. Una dicotomia incessante tra ciò che è il corpo – naturale o artificiale – e la mente – immacolata o traviata. Le due figure si alternano in un continuo dialogo tra loro che infiamma i cuori dei lettori e degli spettatori.

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Caso di studio: Frankenstein al National Theatre

Lo spettacolo risale al 2011, un adattamento di Nick Dear e diretto da Danny Boyle. Riscontra talmente tanto successo che viene ripreso e proposto prima nei cinema inglesi – tramite National Theatre Live – e poi aggiunto alla nuova piattaforma National Theatre At Home negli ultimi anni.

La produzione attira l’attenzione fin da subito, dalla nomina del cast. I due protagonisti, infatti, sono Benedict Cumberbatch e Jonny Lee Miller: i loro ruoli, però, sono intercambiabili. Questo dialogo di Frankenstein e la sua creatura continua sul palco, ogni sera. I due si scambiano ogni volta il ruolo, in un continuo rimescolamento di punti di vista e spunti di riflessione. Non esiste, di fatto, un Frankenstein senza la sua creatura e non può esistere la sua creatura senza Frankenstein, il suo creatore.

I due sono uniti da un legame imprescindibile. Non si sviluppa nell’immediato della storia, ma si costruisce nel frattempo. La creatura ricerca sempre, senza fermarsi mai, il suo creatore. Così come l’uomo è sempre alla ricerca di un Dio o di qualcosa che gli si avvicini, Frankenstein e la sua creatura non possono non continuare a cercarsi a vicenda. Seppur “il mostro” venga preso sotto le ali di un vecchio – ma sapiente – cieco, si ritrova alla fine comunque a scappare via. Non è fatto per il mondo, non potrà mai mischiarsi tra la folla: lui può solo tornare dal dottore.

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La ricerca di una morale

Sono poche le macro-differenze che intercorrono tra l’opera originale e lo spettacolo di Danny Boyle. Una in particolare può sviluppare un interessante spunto di riflessione: la morte di De Lacey e i suoi familiari. Nell’opera originale, la Creatura impara a leggere e a scrivere attraverso l’osservazione di De Lacey e la sua famiglia: ne coglie i riti quotidiani, le relazioni, i sentimenti, man mano che li osserva impara a capire come funzionano gli essere umani, come imitarli.

Nello spettacolo, invece, De Lacey e la Creatura intessono un rapporto stretto, amicale, di profonda compatibilità. La Creatura offre al vecchio qualcuno con cui parlare quando i suoi familiari sono assenti nei campi, un figlio a cui insegnare qualcosa di nuovo. Al contrario, De Lacey è cieco e non può vedere “la bruttezza” della Creatura e, quindi, non lo giudica. Immagina sia un soldato, ridotto così male dalla guerra. Non può che compatire la Creatura ed educarla, renderla più umana, per quanto possibile.

La conoscenza offre alla Creatura uno sfogo, la lettura sveglia in lui un tumulto interiore. Capisce la filosofia, la mitologia, la poesia… la morale. Dapprima completamente ammirato dai comportamenti naturali e umani, ma ne comprende prima di tutto la crudeltà, sperimentandola sulla sua pelle. Abbandonato dal suo creatore in un mondo ostile, come un Adamo cacciato dal Giardino, la Creatura sperimenta la differenza tra la bontà di De Lacey e la cattiveria del resto del mondo, tra cui anche i familiari del vecchio una volta che viene scoperto.

E a quel punto, qual è la giusta via? Quella del libro, in cui la Creatura decide semplicemente di scappare per cercare Victor, lasciando gli uomini alla loro cattiveria per creare un suo simile, oppure quella dello spettacolo, in cui punisce De Lacey e la sua famiglia bruciandoli nella loro stessa casa?

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L’importanza del contatto

Una volta tornato da Victor, la Creatura sa bene cosa vuole dal suo creatore. Non il suo affetto, sa bene che non può ottenerlo. Chiede un suo simile, una donna fatta e creata come lui: se non può vivere tra gli umani, vivrà con lei, lontano dalla loro vista. L’importanza del corpo, che anche se creato ha bisogno di una socialità e soffre la solitudine, è un grande tema sia dell’opera originale che dello spettacolo.

Fin dall’inizio, la Creatura cerca un contatto. Da quando nasce e scopre i suoi movimenti, come un bambino che impara a camminare, tende la mano verso Victor ma viene rifiutato, fino alla necessità di chiedere un suo simile, quando torna dal creatore, per avere qualcuno che lo possa capire e accettare a pieno. Una richiesta immorale, secondo il pensiero di Victor, ma comprensibile. Chiunque, anche un “mostro” come la Creatura deve avere la possibilità di essere accolto, accettato e sostenuto da qualcuno. De Lacey non era, forse, abbastanza e la Creatura non poteva accettare l’odio negli occhi dei suoi familiari.

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Frankenstein: lo spettacolo a teatro

Per chi fosse interessato, consigliamo vivamente la rappresentazione, disponibile su National Theatre At Home, con i due attori principali in entrambi i ruoli. La recitazione dei due protagonisti è magistrale e la capacità degli attori di usare il proprio corpo per esprimersi – soprattutto nei panni della Creatura – è attentamente calibrata, diretta da un occhio professionale come quello di Danny Boyle.

Uno spettacolo emozionante e vibrante, che lascia spazio alle riflessioni ma che offre un punto di vista nuovo: è la Creatura che parla, che mostra chi sia veramente, cosa pensa e i motivi per cui agisce. Non vuole essere solo un’equazione sul quaderno degli appunti del suo creatore, ma essere vivo e senziente.

La scenografia, straordinaria e finemente pensata, abbraccia tutti gli ambienti del libro. Dalla casa di De Lacey, al castello e al lago della famiglia Frankenstein, al laboratorio segreto di Victor. Tutto è pensato nei minimi dettagli e la visione amplifica la maestria degli attori.

Uno spettacolo imperdibile, ora che si può avere di nuovo la possibilità di rivedere ancora tramite la piattaforma. Non è mai, certo, come essere a teatro e sperimentarlo in prima persona, ma è un’occasione senz’altro senza pari quella di poter aver accesso a questi spettacoli di grande livello senza non solo uscire di casa, ma anche dall’Italia.

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Greta Mezzalira

Classe 1995, laureata in Filologia Moderna. Innamorata del teatro fin dalla prima visione di "Sogno di una notte di mezza estate" durante una gita scolastica. Amante di musical e di letteratura.

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