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Giovani e Meridione. Cronaca di una fuga annunciata

Un andare necessario e indispensabile per non tornare. Questo è il destino dei giovani meridionali, che lasciano il paese che, per loro, non ha prospettive, né mezzi da offrire.

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9 minuti di lettura

Non è mai facile mollare tutto e partire. Lasciare amici, compagni di vita, il luogo dove si è nati per posti nuovi e sconosciuti che incuriosiscono, ma spesso spaventano. Quello degli ultimi anni è un tempo fatto di fughe, di scissioni – tranquilli, non parliamo né di Matteo Renzi, né di Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti – di migrazioni e di spostamenti di esseri umani da zone meno sviluppate a luoghi dove sono maggiori le possibilità di realizzazione.

Per quanto mediatico, il tema delle «migrazioni» è emblematico per analizzare la divergenza tra percezione e realtà che sembra affliggere il nostro Paese. Sguainato ad arte dalla peggiore destra xenofoba che si propone come forza di governo in un Paese la cui Repubblica nasce dalla Resistenza antifascista, si fa presto ad ascoltare parole come «invasione», «porti chiusi», «ci rubano il lavoro». Poi però basta guardare i dati per vedere che i flussi in entrata sono inferiori ai flussi in uscita.

Giovani in fuga, dati alla mano

Il nostro Paese si sta svuotando. Se ne vanno i giovani che sono la linfa vitale di ogni terra. Tale fenomeno è maggiormente accentuato a Sud e nelle Isole dove spesso mancano i servizi, mancano le possibilità di realizzarsi attraverso studi universitari di qualità, manca un collegamento rodato tra giovani e mondo del lavoro, o – ancor peggio – semplicemente mancano le possibilità economiche per intraprendere un percorso universitario.

I dati AIRE (Anagrafe Residenti all’Estero) dimostrano infatti che in Italia sono le aree del Meridione ad aver maggiormente subito il fenomeno delle migrazioni verso l’estero. Se guardiamo alle regioni, la prima per percentuale di residenti esteri è il Molise, con quasi un terzo dei suoi abitanti iscritti all’Aire, seguito da Basilicata e Calabria (oltre il 20%) e Sicilia, Abruzzo e Friuli-Venezia Giulia (con oltre il 14% dei residenti esteri). In termini assoluti, il maggior numero di iscritti, oltre 755 mila, viene dalla Sicilia. Ma non è tutto. Secondo i dati del rapporto Ocse 2018 quasi un terzo dei «cervelli in fuga» ha in tasca una laurea. E per il Paese questo rappresenta una perdita in tutti i sensi: ogni emigrato istruito è infatti un vero e proprio investimento che se ne va: mediamente 164 mila euro per un laureato, 228 mila un dottore di ricerca.

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da LaSicilia.it

Mancano molte, troppe cose per chi a Sud è nato e dal Sud è dovuto scappare. Non vi sono decisioni giuste o sbagliate, scappare non è sempre una soluzione, ma bisogna confrontarsi oggi con una realtà che troppo spesso è crudele.

Dal Meridione scappano i giovani che fanno le valigie per andare a studiare a centinaia di chilometri da casa, quegli stessi giovani che fanno lustro a prestigiosi atenei italiani ed europei coi loro risultati e, con molta probabilità, non torneranno nella loro regione di origine dopo la laurea. Scappano anche giovani laureati in cerca di impieghi degnamente retribuiti o di occasioni di formazione professionale in linea col loro percorso di studio. Allo stesso modo, partono giovani meno qualificati, i cosiddetti low skilled workers, ​che si spostano per essere impiegati nei settori più disparati.

Da quanto emerge dalle Anticipazioni del Rapporto SVIMEZ 2019, nel periodo 2002-2017 il flusso migratorio che dal Meridione d’Italia porta verso le regioni del Centro-Nord o verso l’estero, supera i 2 milioni di unità. Sono numeri che parlano da soli: una fuga annunciata e troppo spesso obbligata dalla mancanza di prospettive vere o presunte.

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da ecodibergamo.it

Ma come è possibile tamponare una tale emorragia demografica?

Le chiavi di volta sono sempre e solo due: lavoro e formazione.
Servono università che diano una preparazione almeno a livello degli atenei italiani del Centro-Nord e che puntino ad una formazione d’eccellenza in determinati ambiti in modo da attrarre l’interesse di studenti locali e non. Servono maggiori finanziamenti per migliorare strutture, laboratori, impianti, ma serve anche puntare a rendere efficiente l’utilizzo delle risorse. Parliamo di corretta allocazione delle risorse anche quando ci si riferisce alla necessità di arginare la fuga di docenti che sono costretti ad emigrare per sfuggire ad un destino di precarietà spesso legata alla mancata appartenenza alle «baronie» delle varie università. L’Ottocento lo abbiamo lasciato, e anche da un po’: non servono illustri cognomi, ma competenze e preparazione. E serve – soprattutto – progettualità, una visione di lungo termine che sia garanzia di qualità per un progetto formativo avente al centro la collaborazione tra docenti e la multidisciplinarietà. A questo si aggiunge il necessario ricambio generazionale in un sistema oramai incancrenito.

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Ri-attrarre nelle proprie regioni d’origine le eccellenze emigrate verso il Centro-Nord e verso l’estero, sembra uno degli obiettivi dell’attuale Governo (e qualcuno in queste ore sta cercando di ricordarglielo). Allo stesso modo, si parla di trattenere gli studenti in loco migliorando la qualità dei servizi delle università meridionali. Anni di proclami e di frasi vuote sulla cosiddetta ​questione meridionale non hanno fatto altro che ingrossare il ventre molle della politica clientelare fungendo da miele per le api per il malaffare e la criminalità organizzata. È giusto essere positivi e fiduciosi, ma sicuramente non è un’operazione semplice.

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da Basilicata24

Non c’è soluzione ai problemi senza la creazione di posti di lavoro, possibilmente legati allo sviluppo economico e all’utilizzo positivo delle risorse e delle peculiarità di ogni territorio. Per fare ciò̀, è necessario iniziare a pensare che certe cose non sono «normali», così come non è normale dire «ma è sempre stato così!».

Inutile girarci intorno: il Meridione d’Italia vive una realtà in cui per troppo tempo lo sviluppo economico è stato legato in maniera lampante o marginale alla Mafia, alla criminalità organizzata e alla mentalità mafiosa che porta a considerare il pagamento del pizzo come un «costo fisso» , rendendo «normale» un sistema concorrenziale in cui «qualcuno è più uguale di altri» in una fattoria degli animali in cui è meglio avere un amico al posto giusto che saper vendere o produrre un prodotto.

Fortunatamente esiste anche una mentalità diversa, quella che fa dire orgogliosamente a chi scrive di essere nato nella terra dell’antimafia​, orgoglioso della propria sicilianità.

La paura è quella che sia troppo tardi e che prima che si risolvano tutti questi problemi, l’emorragia demografica abbia raggiunto livelli irreversibili, ma per sperare serve l’impegno di tutti. Serve un impegno vero, concreto e consistente dello Stato e degli enti locali, ma allo stesso tempo serve un impegno vero e concreto di chi c’è e di chi se n’è andato.

Il Meridione non è solo un problema del Meridione, serve avere una visione d’insieme e non chiudersi nel proprio castello dipinto d’oro e di finta autonomia. Perché si sa: solo camminando insieme si può arrivare lontano.

Giuseppe Vito Ales

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Giuseppe Vito Ales

Classe 1993. Cresciuto tra le montagne di Piana degli Albanesi, sono un Arbëresh di Sicilia profondamente europeo. Ho studiato economia, relazioni internazionali ed affari europei tra Trento, Strasburgo, Bologna e Bruxelles per approdare infine a Roma. Tra le grandi passioni, la politica, l’economia internazionale e i viaggi preferibilmente con uno zaino sulle spalle e tanta voglia di camminare.
Credo che nel mondo ognuno di noi possa contribuire al miglioramento della collettività in modo singolare e specifico, proprio per questo non mi sta particolarmente simpatico chi parla per frasi fatte o per sentito dire e chi ha la malsana abitudine di parlare citando pensieri e parole d’altri. Siate creativi, ditelo a parole vostre!