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«Giovanissimi» di Alessio Forgione: un’educazione sentimentale di periferia

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20 minuti di lettura

Quando si parla di Napoli, sui giornali e nei vari siti web, l’attenzione si concentra soprattutto sulla periferia, di cui spesso si dà un’immagine negativa, mettendo in luce soprattutto i problemi riguardanti la criminalità giovanile e mostrando come la violenza sia all’ordine del giorno. Il tutto descritto con fare un po’ moralistico, sensazionalistico, con tanto di spiegazioni sociologiche su quello che succede in quella realtà. C’è un autore, però, che nella periferia napoletana ci è vissuto e che con il suo nuovo romanzo è riuscito a dare uno ritratto sincero della periferia, i cui abitanti sono tratteggiati in tutta la loro umanità. Stiamo parlando dello scrittore napoletano Alessio Forgione, che nel 2019 vinse il Premio Berto per l’opera prima con Napoli mon amour, e che è tornato lo scorso gennaio al romanzo con Giovanissimi (acquista), che come il suo romanzo di debutto è edito NNEditore.

Giovanissimi è stato accolto molto bene dalla critica, tanto da arrivare alla dozzina semifinalista dell’edizione 2020 del Premio Strega, grazie alla candidatura di Lisa Ginzburg.

Giovanissimi
Giovanissimi di Alessio Forgione. Copertina a cura di ©NNEditore

«Giovanissimi»: la trama

Giovanissimi ha per protagonista Marco Pane, detto Marocco, personaggio che appare già in Napoli mon amour, dove in alcune pagine parla del Napoli con il protagonista Amoresano in un bar. Se in Napoli mon amour Alessio Forgione ha narrato la Napoli del centro storico e la vita di un trentenne nel mondo d’oggi, in questo nuovo romanzo l’attenzione si concentra sulla periferia di Soccavo sull’adolescenza negli anni Novanta, poiché, come ha affermato lo stesso scrittore in varie interviste, è una realtà che ben conosce

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La storia, come detto prima, è quella di Marocco, chiamato così «per la carnagione scura, la pelle olivastra, ma soprattutto per i capelli ricci». Un adolescente di 14 anni che vive solo con il padre, in quanto la madre ha abbandonato la famiglia senza dare una spiegazione. Marocco fa il centrocampista nei Giovanissimi Regionali della Pro Calcio Napoli, è un appassionato di Dylan Dog e del paranormale e frequenta il liceo scientifico con controvoglia, dove comincerà, con la complicità di Lunno, a vendere hashish nei bagni per potersi comprare il motorino. Nonostante l’apparenza da prototipo perfetto di bulletto di periferia, Marocco inizierà una vera e propria educazione sentimentale di periferia, grazie alla quale comincerà ad accettare le sue fragilità e la sua normalità. Punti cardine di quest’educazione sono l’abbandono della madre, il rapporto con gli amici (Lunno su tutti) e l’incontro con Serena.

«Giovanissimi»: la struttura

Quello a cui punta Alessio Forgione è dare un racconto introspettivo di un abitante della periferia come Marocco, in modo da comunicare ai lettori che anche chi appartiene a una realtà che tanto viene considerata in maniera negativa è capace di sensibilità e di riflessione. Un ritratto che punta anche a essere universale, ovvero a ritrarre una condizione che appartiene a tutti. Il romanzo, infatti, è da considerarsi una lunga riflessione di Marocco sulla sua adolescenza, narrata attraverso una prospettiva in prima persona. Inoltre, tranne l’ultimissima pagina, tutto il romanzo è scritto al passato, un tempo verbale che solitamente crea distanza da ciò che si narra. Se la prospettiva in prima persona suggerisce un coinvolgimento emotivo del personaggio nella storia, il racconto al passato crea quella distanza che serve ad Alessio Forgione per narrare gli avvenimenti di Marocco non come qualcosa di sensazionale, ma qualcosa di normale, appartenente alla vita di tutti i giorni

Ciò che avvalora l’idea di un racconto introspettivo sono anche i titoli dei cinque capitoli di Giovanissimi, qui chiamati fasi: Rifiuto, Rabbia, Patteggiamento, Depressione e Accettazione. Queste sono le cinque fasi dell’elaborazione del lutto teorizzate dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross (1926-2004) nel 1970. Quest’ultimo dettaglio mette in evidenza il graduale percorso che fa Marocco nell’accettazione della propria sensibilità e fragilità. Un percorso che avverrà in due sensi: da un lato nel rapporto con le figure femminili più importanti per lui, ovvero la madre, con la cui assenza deve fare i conti, e Serena, di cui si innamora e che tanto lo farà riflettere sulla sua persona; dall’altro, invece, con aspetti della vita come l’amicizia e la solitudine.

La periferia di Soccavo: un luogo esistenziale

Il contesto in cui avviene il percorso di consapevolezza di Marocco è quello della periferia di Soccavo, nominata pochissime volte, ma che tuttavia fa da sfondo alle vicende del romanzo. La periferia domina tutto Giovanissimi, con i suoi palazzi e i suoi muri che rendono impossibile la vista di ciò che si nasconde dietro di essi:

«[…] l’aria divenne di nuovo immobile e irrespirabile, spostata solo dalle macchine che mi passavano di fianco. C’erano i clacson e i rumori della città, inutili e brutti e tutti uno sopra l’altro. C’era l’asfalto, i palazzi e nessuna cosa bella, solo cose normali».

La periferia appare a poco a poco come un luogo che rispecchia i sentimenti del protagonista, un luogo che esprime la sua solitudine e la sua impossibilità di fuga, anche con l’immaginazione, se pensiamo che Marocco poche volte esce dal quartiere per le sue trasferte con la squadra di calcio e il mare lo vediamo solo pochissime volte. Il paesaggio che di solito vede il protagonista quando sale sul tetto della stazione per fumare assieme agli amici è un paesaggio pieno di solitudine, dove si vedono «palazzi grigio chiaro e per terra carte e pagine di quotidiani e più avanti lo scheletro di una sedia lasciata a morire». Quando si affaccia alla finestra di casa per fumare la sera, invece, non riesce a vedere il cielo, poiché «oltre il tetto dei palazzi che stavano attorno a noi, tutto era nero»; mentre quando incontra Serena per la prima volta, assieme a Lunno e Maria Rosaria, oltre al muretto vede «il vuoto e nel vuoto c’erano i binari e gli scambi ferroviari, le pietre marroni e le erbacce, e poi, ogni tanto, un treno che passava». Un paesaggio, insomma, che presagisce all’inizio della fine della giovinezza e l’inizio dell’età adulta, in cui Marocco dovrà confrontarsi con la durezza della vita, ma anche con la solitudine

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La periferia è anche il luogo dell’epifania, in cui si rende conto di quello che vuole veramente:

«Pensai fosse un peccato, essere così, e i palazzi diventarono un po’ più alti, bianchi, pieni di tende, e provai pena per Lunno. Perché mi sembrò che passasse il tempo sforzandosi d’apparire sempre forte e duro. Non mi piaceva questa cosa ed io non volevo essere così. C’avevo provato e avevo capito che non ero così e che invece volevo solo amare ed essere felice e volevo che tutti se ne accorgessero. Volevo fare del mio sorriso un simbolo, uno sfregio permanente che mi rovinava la faccia».

Le figure femminili: la madre di Marocco

È in questo contesto, dunque, che Marocco si confronta con i suoi desideri e le sue fragilità. La consapevolezza di sé passa in primo luogo attraverso le due figure femminili più importanti del romanzo: la madre e SerenaLa madre abbandona il marito e il figlio senza motivo, e di lei sapremo soltanto che è andata a Bologna. Quella della madre è una presenza in assenza, vale a dire che Marocco si confronta con lei attraverso la sua immagine, attraverso i ricordi e i sogni di lei. La sua è una figura ingombrante, che porta il ragazzo a soffrire, a sentirsi ignorato da lei e non amato, come dimostra uno dei primi sogni in cui viene chiuso da lei e da un suo amante nel bagagliaio di una macchina, al punto da pensare che ciò che li avrebbe tenuti assieme sarebbe stato «il suo ignorarmi, ignorare i miei sentimenti, i miei pensieri e, per questo, la mia esistenza». 

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Il suo dolore è dovuto al fatto di non sapere nulla di lei, di quello che prova verso di lui e suo padre. Marocco comprende, però, che è inutile soffrire per il suo abbandono, poiché a lei non importa quanto lui soffra. Comincia, così, a liberarsi del pensiero di sua madre: «In un angolo della mia testa, mattone dopo mattone, muravo viva mia madre, per lasciare il resto dello spazio al resto della mia vita». Sente la necessità di liberarsi di questo pensiero perché sa perfettamente che non può convincerla a tornare indietro, a volergli bene, e che bisogna continuare ad andare avanti nonostante la sua assenza. 

Le figure femminili: Serena

I sentimenti entrano in gioco anche in rapporto a Serena, la persona che cambia il modo di vedere la realtà di Marocco. Parafrasando il romanzo stesso, Serena è «l’ulteriore possibilità di qualcun altro», in questo caso del protagonista, che dopo l’abbandono della madre trova in lei la persona che lo ama veramente e che lo porta a riconsiderare se stesso. Infatti, non è un caso che Serena sia l’unica persona con cui Marocco si presenterà con il proprio nome, Marco, quasi a sottolineare come la ragazza sia l’unica che lo porta ad abbandonare quel soprannome simile a un nome di battaglia, a disfarsi della corazza da duro per mostrarsi in tutta la sua normalità. Il nostro protagonista si rende conto di essere capace di sentimenti, di amore, ma soprattutto di vivere. Tuttavia, anche la relazione con Serena nasconde i suoi momenti di paura, in particolare paura dell’abbandono, come dimostrano i seguenti passi:

«Lo volevo, l’avevo aspettato per molto tempo, ma pensavo anche che forse non mi sentivo pronto e mi chiedevo cosa si faceva e cosa si diceva dopo che cose del genere erano accadute e pensai che, più di tutto, avevo paura».

«Fu così che pensai che nel primo ciao che ci si dice è compreso anche l’addio e che l’inizio è solo l’inizio della fine e che ogni incontro non è altro che un lungo abbandono, centellinato goccia a goccia, lento».

«[…] considerai che niente era accaduto nella mia vita eccetto l’arrivo di Serena. Che era stata lei a mettere ordine e a disperdere i fantasmi. E m’infastidiva stare bene solo grazie a lei e me lo chiesi, quindi, mentre rallentavamo, cosa sarebbe successo quando anche Serena avrebbe deciso di lasciarmi».

L’educazione sentimentale di periferia di Marocco

Sia l’assenza della madre che la relazione con Serena insegnano, dunque, al nostro protagonista la paura, la solitudine e la durezza della vita. Se all’inizio del terzo capitolo Marocco ci appare come un bulletto che ha in pugno i ragazzi a cui vende l’hashish a scuola, a poco a poco ci apparirà una persona sempre più fragile e sola. Una persona che la notte «si allena a non soffrire», che inizia ad aver paura dopo che Lunno accoltella l’arbitro di una partita di calcio, temendo la reazione degli amici del ferito, ma soprattutto che:

«Sentivo che prima o poi anche la mia vita sarebbe finita o si sarebbe rovinata del tutto e che non avevo la possibilità di evitarlo né la forza per cambiare rotta. Mi guardavo alle spalle, per controllare che nulla mi stesse assalendo».

Marocco comprende la normalità della sofferenza, degli errori, ma anche della violenza, a cui guarda senza stupore. Impara soprattutto che nella vita si ritroverà sempre solo, anche in mezzo agli altri: il “tradimento” di Lunno con Maria Rosaria, l’abbandono della madreSerena che va in Calabria in vacanza… Tutte tappe obbligatorie della sua educazione sentimentale di periferia, della comprensione di se stesso e della realtà attorno a sé:

«E pensai pure che tutto, tutto quello che riuscivo a vedere, apparteneva alla normalità e, di conseguenza, alla mia stessa vita. L’essere stato bocciato, mio padre che appassiva in una casa troppo grande per noi due soli e mia madre che forse non mi amava. Serena, Lunno, l’estate, il fumo, i costumi da bagno bianchi».

Un’educazione che culmina, però, con la seguente consapevolezza:

«[…] non siamo altro che cose che rotolano giù per una discesa e che prima o poi si fermeranno. Perché siamo vivi finché ci muoviamo. Perché siamo vivi finché andiamo giù. […] La vita non è altro che un’inconsapevole attesa. Poi arriva, e fa male».

Vivere vuol dire sbagliare, soffrire, cadere ed essere pronti a fare i conti con la solitudine. Accettare gli abbandoni e i tradimenti. Accettare, insomma, le disillusioni della vita, che arrivano quando meno ce lo aspettiamo.

«Giovanissimi»: il ritratto sincero della periferia napoletana

Con GiovanissimiAlessio Forgione ci consegna un ritratto sincero della periferia napoletana, scevro del sensazionalismo e del moralismo a cui siamo abituati quando si sente parlare di quella realtà. Attraverso l’educazione sentimentale di Marocco conosciamo la periferia come microcosmo della nostra realtà, in cui anche i suoi abitanti imparano a conoscere le proprie fragilità e la vita con la sua durezza e le proprie disillusioni. 


Immagine in evidenza: Photo by Voldatron on Unsplash


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Alberto Paolo Palumbo

Laurea magistrale in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee all'Università degli Studi di Milano con tesi in letteratura tedesca.
Sente suo quello che lo scrittore Premio Campiello Carmine Abate definisce "vivere per addizione". Nato nella provincia di Milano, figlio di genitori meridionali e amante delle lingue e delle letterature straniere: tutto questo lo rende una persona che vive più mondi e più culture, e che vuole conoscere e indagare sempre più. In poche parole: una persona ricca di sguardi e prospettive.
Crede fortemente nel fatto che la letteratura debba non solo costruire ponti per raggiungere e unire le persone, permettendo di acquisire nuovi sguardi sulla realtà, ma anche aiutare ad avere consapevolezza della propria persona e della realtà che la circonda.