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Sixteen Conversations on Abstraction
Sixteen Conversation on Abstraction. Foto di © Alberto Paolo Palumbo. Tutti i diritti riservati

«Sixteen Conversations on Abstraction (table/table)»: il racconto della mostra

Il racconto della visita alla mostra dell’artista olandese Riet Wijnen visitabile fino al 19 marzo presso gli spazi espositivi di Assab One a Milano

14 minuti di lettura

Come precedentemente raccontato, fino al 19 marzo si terrà la mostra Sixteen Conversations on Abstraction (table/table) dell’artista olandese Riet Wijnen, organizzata da Kunstverein Milano con il contributo del Mondriaan Fund e il supporto di Assab One e dell’Ambasciata e del Consolato Generale dei Paesi Bassi in Italia.

Noi di Frammenti Rivista siamo andati recentemente a visitarla, e proveremo in questo articolo a raccontare una mostra nata da un insieme complesso di idee e ricerche, ma che dà ai visitatori un’esperienza a portata di tutti.

Dove si svolge Sixteen Conversations on Abstraction (table/table)

La mostra Sixteen Conversations on Abstraction (table/table) si svolge negli spazi espositivi di Assab One, organizzazione no-profit milanese fondata da Elena Quarestani con l’intento di dare agli artisti uno spazio di ricerca ed espressione, e ai visitatori una possibilità di dialogo con i protagonisti dell’arte contemporanea coniugando tra loro arte e cultura in progetti diversi per meglio indagare il presente.

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Assab One realizza le sue mostre utilizzando gli spazi dell’ex stabilimento industriale GEA (Grafiche Editoriali Ambrosiane), dando loro il nome “Assab One”. Questo non solo indica la strada e il numero civico in cui è situato (Via Assab 1, zona Cimiano a Milano), ma, come recita il sito dell’organizzazione, è anche il nome di un porto africano:

[…] diventato simbolo di un possibile luogo di incontro e di scambio tra soggetti, realtà e culture differenti: Assab One, uno spazio fisico e ideale, aperto al quartiere e alla città, in costante dialogo con gli artisti e con iniziative e istituzioni affini, in Italia e nel mondo.

Assab Ones
Assab One. Foto di © Alberto Paolo Palumbo. Tutti i diritti riservati

Gli spazi espositivi di Assab One ci sembrano, dunque, un luogo adatto a ospitare la mostra dell’artista olandese, che per la prima volta in assoluto in Italia espone delle opere che nascono dalla complessità intermediale e interdisciplinare e dal confronto fra culture e persone di epoche differenti. Bisogna tener presente, inoltre, che la zona in cui si svolge la mostra è periferica, a riprova del fatto che, come i cambiamenti sociali e strutturali messi in luce da Riet Wijnen partono da chi vive ai margini della Storia, così il rinnovamento culturale e artistico parte da tutto ciò che viene considerato marginale e atipico.

La struttura di Sixteen Conversations on Abstraction (table/table)

Entrati all’interno dell’edificio di Assab One, si ha accesso allo Studio 3 al piano terra, dove è ospitata la mostra. In un locale ben illuminato grazie alle grandi vetrate e alle pareti bianche presenti al suo interno, la prima cosa che salta subito all’occhio è la distribuzione della mostra su due piani.

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Al piano terra sono situate le installazioni di Wijnen e l’archivio del Wages for Housework Campaign di New York donato dalla femminista italoamericana Silvia Federici a MayDay Rooms di Londra e ceduto in prestito alla mostra per essere consultato dai visitatori. Sul soppalco, invece, a cui si accede salendo la scala a chiocciola, si possono trovare le pubblicazioni dell’artista olandese e i libri che hanno ispirato la realizzazione del ciclo Sixteen Conversations on Abstraction.

Interni di Studio 3 di Assab One. Foto di © Alberto Paolo Palumbo. Tutti i diritti riservati

Questa disposizione non è per niente casuale. L’intento, infatti, è quello non solo di illustrare il dialogo fra editoria e arte – fondamentale per l’opera di Riet Wijnen –, ma anche di dare da un lato le prove della presenza di ricerche concrete realizzate per ideare le sedici conversazioni fittizie a cui fa riferimento l’opera dell’artista olandese, e dall’altro dimostrare come le idee e le parole (concetti astratti) siano il primo livello per iniziare un dialogo volto a concretizzare e a dare forma all’astrazione.

Le installazioni di Sixteen Conversations on Abstraction (table/table)

Il punto centrale della mostra di Wijnen è sicuramente l’installazione Sculpture Sixteen Conversations on Abstraction, una scultura in legno e vernice iniziata dall’artista nel 2016 e ancora in divenire. Questa scultura raffigura le conversazioni fittizie che l’artista olandese inscena con personalità della cultura, dell’arte, della scienza e dell’attivismo di ogni epoca sul concetto di astrazione mettendone in luce la sua evoluzione, che procede di pari passo con quella della storiografia. Essa è formata da sedici quadrati concentrici rappresentanti le conversazioni, e sopra di esse si trovano delle strutture in legno verniciate di diversi colori con diversi significati: il rosso rappresenta i personaggi, il verde menta gli argomenti, il giallo i luoghi e il blu le parole chiave.

Riet Wijnen, Sculpture Sixteen Conversations on Abstraction (2016-ongoing), wood and paint. Foto di © Alberto Paolo Palumbo. Tutti i diritti riservati

Un’altra installazione interessante è Conversation Table, una serie di sculture-tavolo di colore nero su cui sono incise delle brevi annotazioni delle conversazioni. Queste incisioni sono usate per creare delle xilografie da cui trarre le sculture. Quest’opera non solo ribadisce l’importanza del tavolo come oggetto da cui partono le conversazioni e si evolve il modo di pensare di una società, ma anche dello sviluppo del testo e della stampa (rappresentato dalle xilografie) per diffondere la conoscenza di certe idee. Tutte queste idee si sovrappongono l’una sull’altra e così facendo cercano di prevedere una direzione per il futuro, come dimostrano i sedici tavoli neri impilati a formare un monolite della scultura Conversation Table: Monochrome.

Riet Wijnen, Conversation Table (2017-ongoing) e Conversation Table: Monochrome (2017). Foto di © Alberto Paolo Palumbo. Tutti i diritti riservati

L’archivio di Silvia Federici e l’anteprima del libro d’artista

In fondo alla sala si trova, invece, l’archivio di Silvia Federici e del Wages for Housework Campaign, situato sotto la struttura Bench and Table Sixteen Conversations on Abstraction: Locations, una struttura che non svolge la semplice funzione di mobile composto da una panchina e un tavolo, ma fa anche da tavolo per la consultazione del materiale dell’attivista.

L’artista ha progettato una cassetta e un piano d’appoggio per ospitare l’archivio di Federici – formato da pamphlet, manifesti e riviste scritti a mano, autopubblicati oppure editi da case editrici indipendenti americane e italiane – per permettere facilmente ai visitatori di avere accesso al laboratorio di studio e ricerca di Wijnen e dimostrare loro che le idee e gli studi dell’artista hanno basi concrete e solide.

Oltre all’archivio, Wijnen ha messo a disposizione anche un’anteprima del libro d’artista Love Doesn’t Pay the Bills, previsto per l’autunno e che, indirizzato a un pubblico di bambini e ragazzi, vuole trasmettere un nuovo metodo di apprendimento nei più giovani che si prefigge l’obiettivo di scardinare i costrutti sociali preesistenti e storicamente imposti.

L’editoria secondo Riet Wijnen

Il lavoro di Wijnen assume più forza con l’esposizione delle sue pubblicazioni e dei libri da lei usati per fare ricerca nel soppalco di Studio 3. Qui non solo sono presenti le pubblicazioni di Kunstverein Milano, ma anche quelle dell’artista, oltre ai libri che fanno da base per i suoi lavori. Fra i libri di Wijnen figurano le biografie dedicate a Grace Crowley e Marlowe Moss, Conversation One: a Preface, Conversation Four: First Person Moving e Conversation Six: Double-Lines, mentre le pubblicazioni usate per le ricerche sono Homophone Dictionary di Sue Nixon, Inverted Commas di F.R. David e un cahier di Abstraction Création: art non-figuratif.

Sixteen Conversations on Abstraction
Pubblicazioni di Riet Wijnen. Foto di © Alberto Paolo Palumbo. Tutti i diritti riservati

Tutte queste pubblicazioni sono da considerarsi parte integrante della mostra, in quanto sono il punto di partenza per Wijnen per cercare di dare forma a ciò che forma non ha, ovvero l’astrazione. Essendo il capitolo (table/table) incentrato sul femminismo, la presenza e la consultazione di certe pubblicazioni servono a creare dialoghi e scambi di idee per dar forma al movimento femminista e a scardinare una storiografia che, con l’evoluzione delle strutture sociali, rischia di sradicare il punto di vista femminista.

Nel dare concretezza a queste idee, l’editoria e la stampa giocano un ruolo fondamentale, ed è per questo che è presente anche Sixteen Conversations on Abstraction: Tool One (Template Rulers 1-5), una serie di cinque template rulers progettati su invito di Wijnen da artisti italiani e internazionali e contenuti in un astuccio artigianale di tela cerata progettato dall’artista stessa. Queste sagome in metallo servono per creare caratteri tipografici per la realizzazione di nuovi lavori per la mostra e allo stesso tempo per portare la riflessione sul linguaggio dal piano astratto a quello concreto, proponendo alternative a un modo di scrivere e pensare l’astrazione imposto da determinate strutture sociali.

Sixteen Conversations on Abstraction
Dettaglio di Riet Wijnen, Sixteen Conversations on Abstraction: Tool One (Template Rulers 1-5), 2022. Foto di © Alberto Paolo Palumbo. Tutti i diritti riservati

Sixteen Conversations on Abstraction (table/table): le nostre considerazioni

La mostra Sixteen Conversations on Abstraction (table/table) fa conoscere agli italiani per la prima volta in assoluto un’artista come Riet Wijnen, che coniuga l’arte visiva contemporanea a un insieme complesso di idee derivanti dall’editoria, dalla storiografia e dal femminismo in uno sforzo intermediale e interdisciplinare atto a indagare il presente e a rifondarlo proponendo un sistema di conoscenza alternativo a quello imposto da costrutti sociali predefiniti.

Sebbene sia complessa dal punto di vista ideologico e strutturale, la forza di questa mostra è quella di riuscire a coinvolgere gli spettatori permettendo loro di essere parte attiva di essa consultando ad esempio i documenti dell’archivio del Wages for Housework Campaign, le pubblicazioni e gli studi di Riet Wijnen. Così facendo, diventano protagonisti di un processo di apprendimento volto a dar vita a nuovi modi di osservare la società e di ripensare sotto una nuova prospettiva i concetti astratti.

Questo articolo fa parte di Lente Olandese, la rubrica di Frammenti Rivista realizzata in collaborazione con l’Ambasciata e il Consolato Generale dei Paesi Bassi in Italia.

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Immagine in evidenza: dettaglio della mostra Sixteen Conversations on Abstraction. Foto di © Alberto Paolo Palumbo. Tutti i diritti riservati

Alberto Paolo Palumbo

Laurea magistrale in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee all'Università degli Studi di Milano con tesi in letteratura tedesca.
Sente suo quello che lo scrittore Premio Campiello Carmine Abate definisce "vivere per addizione". Nato nella provincia di Milano, figlio di genitori meridionali e amante delle lingue e delle letterature straniere: tutto questo lo rende una persona che vive più mondi e più culture, e che vuole conoscere e indagare sempre più. In poche parole: una persona ricca di sguardi e prospettive.
Crede fortemente nel fatto che la letteratura debba non solo costruire ponti per raggiungere e unire le persone, permettendo di acquisire nuovi sguardi sulla realtà, ma anche aiutare ad avere consapevolezza della propria persona e della realtà che la circonda.

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